BORGO SAN LORENZO – Fra i molti autori e libri che sono stati presentati alla seconda edizione dell’Ingorgo Letterario, quest’anno abbiamo avuto un ospite di tutto riguardo: Nicola Brunialti, pronipote di Alessandro Manzoni e personaggio eclettico. Nicola infatti, oltre ad essere uno scrittore che ha pubblicato diciannove libri, ha lavorato moltissimo in televisione facendo spot pubblicitari: suoi per esempio sono gli spot della Lavazza e del Crodino. Ha lavorato con Bonolis nei programmi televisivi “Chi ha ucciso Peter Pan” e “Ciao Darwin”.
Il libro che ha presentato sabato all’Ingorgo letterario si intitola “Il Paradiso alla fine del mondo” ed è il suo primo libro per grandi, dopo averne scritto diciotto per ragazzi. Essendo uno scrittore di libri per ragazzi, Nicola incontra spesso gli studenti nelle scuole, parla con loro e gli racconta un po’ di quelle storie che sono scritte nei suoi libri, fino a che non ha deciso di raccontare qualcosa di speciale, che affronta un tema molto delicato oggi: quella dell’immigrazione. Mentre scriveva, però, ha capito che non poteva parlarne solo ai ragazzi, doveva parlarne a tutti, a grandi e piccoli, doveva scrivere una storia che arrivasse a tutti, che portasse tutti a riflettere. “Il Paradiso alla fine del mondo” è la storia di Teresa, una ragazza che parte all’età di diciassette anni per un lungo viaggio, con i suoi genitori. In Germania, dove i tre abitano da moltissimo tempo, i conflitti tra forze politiche e la guerra mettono ogni giorno a rischio la vita dei cittadini, così che il padre di Teresa decide di scappar via per dare alla sua famiglia un futuro, una nuova vita. Da quel momento partono da zero. Con pochi soldi, salutano tutti (il fidanzato di Teresa, Hans, la nonna Maria che non vedranno mai più) con promesse di rivedersi, forse per dimenticare che la vita ha già deciso di dividerli per sempre, da un giorno all’altro. Chiudono la porta, e lasciano là dentro un mondo, il loro mondo. Dentro quella casa c’erano un tetto sicuro, un letto dove riposare la sera, un piatto caldo da mangiare, una presa di corrente per ricaricare lo smartphone e chattare con il fidanzato o con le amiche, un divano dove leggere i libri più belli, un tavolo dove studiare per il compito del giorno dopo, una tv per non annoiarsi troppo nei giorni di pioggia. Fuori da quella porta, il buio di chi si nasconde perché sta scappando, i trafficanti di uomini che ingannano e poi picchiano chi si ribella al sopruso, le macchine abbandonate dove dormire per poi svegliarsi con il gelo sopra le ossa, la vergogna di mangiare rovistando nei cestini tra gli scarti degli indifferenti. I diritti calpestati da chi dovrebbe garantirli. Un viaggio al contrario: l’Africa diventa meta di arrivo, non punto di partenza, e l’Europa non è più la “sponda fortunata”, quella dove tutti possiamo vivere felicemente e realizzare i nostri sogni.
La scelta di ribaltare la visione Europa/Africa ha un significato molto profondo: si sente parlare di immigrazione ovunque, in modo diverso, ma in modo sempre unidirezionale. Ci si ritrova sempre a giudicare se è lecito che qualcuno venga a casa nostra per costruirsi una vita migliore. Ma se fossimo noi a dover partire? Ci siamo mai immedesimati in una di quelle storie così orribili ma che sentiamo cos’ distanti?
Forse proprio immedesimarsi nelle storie degli altri, renderci conto che esser nati nella parte di mondo “felice” non ci dà l’autorizzazione a disinteressarci a quello che ci sta intorno, che prima di parlare e giudicare bisognerebbe capire e guardare le cose dall’altro punto di vista, rovesciando la medaglia.
Sabato mattina il libro è stato presentato agli studenti delle medie e delle superiori, e i ragazzi sono stati sottoposti, per gioco, a un quesito: “se doveste scappare, e portare con voi solo cinque cose (comprese le persone care), cosa portereste e cosa invece lascereste a casa? E se poi gli eventi decidessero di togliervi mano a mano ciascuno di questi affetti fino a farvi rimanere con uno di questi o senza neppure una delle cose che reputavate indispensabili per andare avanti, per vivere? Il gioco, in modo molto più ridotto rispetto al libro, ha fatto capire ai ragazzi come immedesimarsi, per una volta rendersi uguali agli altri e non giudicarli restando chiudi nella propria prospettiva, sia indispensabile in un mondo che, come oggi, ha bisogno di unire e non di dividere, di capire e non di temere.
Viola Arinci
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 novembre 2019