
Olio su tavola 110×70 (1981)
I nomi ti diranno poco o nulla. La memoria li ha cancellati. Solo i più vecchi ne serbano il ricordo offuscato dal tempo. E però, un secolo fa, quei nomi incutevano rispetto e timore. Taluni li ritenevano salvatori della patria, altri un pericolo per la loro vita. Parlo dei Baldi, dei Giunta, della famigerata ‘Sette gatti’, la banda che scatenò il terrore nei paesi lungo la Sieve. Parlo soprattutto di Amerigo Dumini, che mugellano non era ma che quassù – non solo quassù a dire il vero – si fece le ossa di picchiatore. Tutti figli della trincea nella guerra italo-austriaca, tutti convinti nazionalisti, tutti trasmigrati nel fascismo fin dalle origini.

Francesco Giunta nasce a S. Piero e si forma tra Roma e Firenze. Il padre è medico condotto e consigliere – amante? – della contessa Cambray Digny, la prediletta del sindaco di Firenze capitale. È proprio in Villa Schifanoia, la residenza della nobildonna, che si prepara la spedizione punitiva contro i popolari in sciopero. Un mezzadro, il Sitrialli, ci lascerà la vita. È il dicembre del 1920. Siamo di fronte al primo attacco fascista contro un obiettivo politico. Il Giunta non c’è. Dev’essere stato a Trieste a organizzare le squadre nere che imperversano nella zona del porto. Diventerà presto segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista e vice presidente di Montecitorio, nonché fedelissimo di Mussolini e membro della Ceka, la polizia segreta del duce.

Francesco Baldi ha un carattere più mite, un profilo più controverso. Possiede terre a Barberino – ne sarà podestà – e finanzia il fascismo fin dagli albori. Partecipa alla marcia su Roma e in Mugello fonda il suo feudo. Non durerà a lungo. Si suicida per aver profuso l’intero suo patrimonio nella causa in cui crede.
La ‘Sette gatti’ si forma a Borgo. L’appellativo discende dallo scarso numero di chi ne fa parte, tuttavia, seppur in pochi, devastano circoli rossi, picchiano, uccidono addirittura. La tragedia di Sagginale – un morto ammazzato – è opera loro.
E veniamo al Dumini. Inutile girarci intorno: ha una storia che sfiora la leggenda. Cittadino americano, gira voce sia stato al fianco dei gangster di Chicago. Di buona famiglia – madre insegnante londinese, padre pittore affermato – parte volontario per la guerra, ne torna devastato: mutilato a una mano, sfregiato, zoppo. Parteciperà agli attacchi fascisti a Montespertoli, a Sarzana, è uno dei protagonisti del rapimento di Giacomo Matteotti e del suo omicidio. È il braccio armato del Duce, uno dei pochi ad essere in confidenza col capo. Probabilmente c’era anche nell’assalto della sezione Comunista di Barberino. La squadraccia ‘Me ne frego’ si muoveva di rado senza di lui. Si presentava così: ‘Piacere, Amerigo Dumini, 5 rapine 11 assassini’.
Che tempo terribile! Attento: Marx ha torto marcio. Non è vero che la storia si ripete in farsa, almeno non sempre. Non penso affatto al ritorno di manganello e olio di ricino, sia chiaro. Ma la libertà – scriveva il grande poeta Mario Luzi – è una palestra nella quale andare ogni giorno sennò deperisce.
Riccardo Nencini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 febbraio 2019