Chiesa e convento di San Francesco
La tradizione vuole che siano stati gli Ubaldini da Ripa a donare a San Francesco e ai poveri la preesistente chiesa di Sant’Andrea, che si trovava fuori dal castello di Borgo, in direzione di Vicchio e a fondare il convento francescano attiguo, come testimonianza della loro devozione nei confronti dei Santo, a seguito di una sua visita a Borgo.
Nel corso dei XIII secolo la comunità conventuale crebbe e fu oggetto di numerosi lasciti e donazioni, una su tutte quella di un terreno da parte di Ardingo, vescovo di Firenze, nel 1245 o una di Folco Portinari, padre della Beatrice dantesca, risalente al 1287. Grazie a questi lasciti la comunità francescana, che nel frattempo era molto cresciuta di numero, poté iniziare la costruzione della nuova e più grande chiesa conventuale, quella attuale, che risale probabilmente alla seconda metà del XIII secolo, costruita a sinistra dell’attuale oratorio del SS. Crocifisso e orientata sull’asse est-ovest.
Verso il 1270 il Beato Benedetto del Mugello, rese illustre il convento con i suoi miracoli, mentre si sviluppava un’intensa attività spirituale e culturale che portò anche all’apertura di una scuola di teologia e filosofia. Nel corso dei secoli successivi, il convento, aderente all’ordine dei frati minori conventuali (gli stessi della basilica fiorentina di Santa Croce e di quella assisiate di San Francesco), si ingrandì e fu sottoposto a vari interventi di restauro e ristilizzazione, tra cui quello cinquecentesco di Alessandro Ferrini.
Nel 1443 la grande chiesa conventuale venne consacrata e nel 1456 fu costruita la cappella da Rabatta, aperta sul lato settentrionale della grande aula.
Altri ampliamenti, come la realizzazione della così detta cappella di San Sebastiano, e nuove ristrutturazioni interessarono l’edificio nel secolo XVI ad opera sempre del maestro Alessandro Ferrini e di Francesco Tedaldi. Verso la fine di quel secolo il convento perse prestigio a causa di una profonda crisi spirituale ed economica. Nel XVIII secolo vengono aggiunti nuovi locali sul fianco settentrionale, una nuova scalinata di accesso al presbiterio e nuovi altari di pietra serena che hanno comportato la perdita degli affreschi che dovevano trovarsi sulle pareti interne dell’aula.
Nella chiesa, nel corso del tempo, ebbero sede varie confraternite, dei Battuti, De Neri, del Corpus Christi (o Corpus Domini), dei Martiri, di San Sebastiano.
Nel 1808 il convento fu soppresso dal governo napoleonico, i frati allontanati e l’intero complesso, quasi completamente spogliato dei suoi beni, fu acquistato dai marchesi Negrotto Cambiaso.
Con la soppressione iniziò un lungo periodo di disuso e di degrado. Degli altari settecenteschi nessuno rimane in loco: due sono stati rimontati nella chiesa di Sant’Omobono e altri due nella chiesa di Sant’Antonio a Dicomano, mentre in quella che fu la sala capitolare del convento, restano ancora parti smontate delle finestre absidali, una delle quali è datata 1725.
L’altare principale, invece, fu spostato nella chiesa di San Cassiano in Padule.
Nel 1919, in seguito al terremoto, il campanile, dalla tipica forma a torre del XI secolo, crolla sulla parte absidale, provocando il cedimento della copertura.
I primi lavori di restauro furono eseguiti nel 1944 dalle truppe inglesi, e successivamente nel 1959 con la ricostruzione del tetto ma lo stato di abbandono termina grazie alla campagna di risanamento avviata dai proprietari dal 1987 ad oggi con il recupero integrale dell’edificio. E’ stato infatti restaurato il paramento murario dell’interno, dotando di vetrate l’ampia bifora ogivale e il soprastante occhio che domina la tribuna. Viene anche iniziato il restauro di numerosi affreschi che ornavano le cappelle poste sul lato absidale e sul fianco sinistro.
Opere
La chiesa che presenta una facciata principale, in piccole bozze di pietra cava, è a capanna e l’ingresso, che conserva tutt’oggi l’originale porta trecentesca, in solido legno di quercia, è sormontato da una lunetta ogivale con una grande monofora archiacuta, di stile gotico.
Sulla sinistra si vede la piccola ed elegante facciata della cappella seicentesca dedicata a San Sebastiano, forse in origine sede di una confraternita laicale e al cui interno è conservato l’originale altare in stucco policromo. Sul lato opposto, accanto alla facciata, si vede una porta ogivale, ora tamponata, che costituiva l’originale ingresso al convento, il cui muro di cinta è stato abbattuto, così come il loggiato con colonnine che correva lungo i quattro lati del chiostro.
L’interno, autentica e preziosa aula predicatoria francescana, di grandi dimensioni, ad una sola navata coperta con la realizzazione di capriate in legno rinunciando all’impiego delle più complesse grandi volte a crociera, modello della basilica superiore di San Francesco ad Assisi, termina con una tribuna ben definita da un arco a sesto acuto e coperta da una volta a crociera con quattro vele costolonate, egregiamente ricostruite coi materiali originali utilizzando i componenti originali recuperati ed evidenziando opportunamente le parti reintegrate con l’impiego dell’intonaco. La struttura è costruita interamente in laterizio, materiale che conferisce all’intero ambiente un caldo colore rosaceo.
Sul fianco destro si aprono tre grandi monofore in stile gotico mentre quelle sulla parete opposta, quella del lato sinistro, sono state chiuse per l’aggiunta di un corpo di fabbrica di cui restano un oratorio ed una cappella con volta a crociera poggiata su capitelli compositi parzialmente scalpellati per realizzare il tamponamento del vano e la conseguente intonacatura, frutto di uno dei tanti interventi di restauro succedutisi fra il XVI e il XVII secolo.
Sul lato destro si trova, molto ben conservato e restaurato, il basamento del pulpito, costituito da un grande peduccio in pietra serena scolpita che, con la veramente bella decorazione a cesto, richiama esempi di capitelli fiorentini della seconda metà del Quattrocento.
In prossimità dell’ingresso principale si trovano i resti, altamente significativi, di quella che doveva essere l’originaria decorazione pittorica delle pareti, secondo una consuetudine comune alle più importanti chiese francescane: sulla parete sinistra si trova la raffigurazione ad affresco di una Madonna coi Bambino tra angeli ed i santi Antonio da Padova e Ludovico di Tolosa. Ai piedi del trono, inginocchiate, si vedono due figure elegantemente vestite in abiti trecenteschi, identificabili nei donatori dell’affresco. L’opera è tradizionalmente attribuita al pittore mugellano Pietro Nelli da Rabatta (attivo dal 1375 al 1419, anno della morte), artista orbitante intorno all’ambiente di Niccolò di Pietro Gerini, uno dei più importanti e prolifici pittori fiorentini della fine del Trecento.
Più recentemente, il dipinto è stato attribuito a Pietro di Miniato, intorno al 1385-1390, un altro pittore fiorentino della fine del Trecento. Federico Zeri, invece, nella sua fototeca, catalogava la foto dell’affresco, riferendolo a Cenni di Francesco di Ser Cenni.
Sulla sinistra si vedono ancora i resti di un secondo affresco, sempre dello stesso pittore, che doveva raffigurare una santa seduta sul trono e dei quale rimangono in basso due piccole scene di martirio ad uso di predella.
Sul lato sinistro della controfacciata è tornato alla luce un affresco, seriamente danneggiato dalla sovrapposizione di un altare nel XVIII secolo, raffigurante la Deposizione di Cristo nel sepolcro, scena della quale si è salvata solo la parte inferiore. Magnificamente restaurata, la pittura, evidentemente protetta nelle parti superstiti da una scialbatura e dall’altare sovrapposto, ha conservato la sua splendida e smagliante policromia. L’opera si mostra di una notevole qualità artistica, evidente nella padronanza spaziale della realizzazione del sepolcro di scorcio e nella plastica definizione dei volumi, oltre che nella già ricordata bellezza della gamma cromatica. Si tratta certamente del lavoro di un Maestro fiorentino del XIV secolo di primaria importanza, probabilmente vicino a Niccolò di Pietro Gerini. La parete destra ospita, invece, un grande affresco tardocinquecentesco raffigurante il Martirio degli undicimila martiri. Si tratta di una complessa ed articolata scena, inquadrata architettonicamente da due grandi colonne dipinte, con un gran numero di figure, fra le quali campeggiano, in basso a sinistra l’imperatore Diocleziano nell’atto di giudicare uno dei martiri ancora rivestito della corazza, al centro una grande figura maschile crocifissa, mentre in alto appare il Cristo benedicente. L’intera scena ha ormai perduto il rigoroso rispetto delle proporzioni e della spazialità. La monumentale opera, attribuita al pittore fiorentino Girolamo Macchietti, detto “Il Crocifissaio” (Firenze, 1535 ca.-1592), importante protagonista della pittura fiorentina della seconda metà del Cinquecento e, più recentemente, assegnata al pittore veronese, ma attivo in Toscana tra Pistoia e Firenze, Sebastiano Vini (1530-1602), autore a Pistoia di un monumentale affresco, di analogo soggetto, nella ex chiesa di San Desiderio.
Interessante risulterà anche l’identificazione dello stemma, probabilmente gentilizio o appartenente ad una Confraternita del paese, dipinto in basso alla base della riquadratura architettonica dipinta, e comunque riferibile ai committenti dell’opera. Più avanti, sulla stessa parete, è stato recentemente collocato quanto resta di un affresco raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra due santi, opera risalente alla fine del Duecento e ricondotta all’ambito cimabuesco.
Sul pavimento si trovano alcune sepolture, la più significativa delle quali, posta al centro della navata, di fronte ai gradini di accesso al grande presbiterio, è costituita da una interessante lastra tombale gentilizia, della famiglia Da Rabatta (del ramo da Rabatta Grande, o del Poggiale), con iscrizione in caratteri gotici recante la data 1424.
Sulla parete sinistra si vede l’arco di accesso alla già ricordata cappella di San Sebastiano, accanto al quale si trova l’ingresso ad una seconda cappella, quella della locale famiglia dei Da Rabatta. Si tratta di un autentico gioiello di architettura quattrocentesca, anche se purtroppo non giunto sino a noi integralmente. L’accesso, ad arco, è caratterizzato da due monumentali semicolonne in pietra sormontate da splendidi capitelli compositi e dotate di stemmi della famiglia Da Rabatta (del ramo da Rabatta Piccola, o dei quattro venti). Il sottarco d’ingresso mostra una bella decorazione a nastro dipinta a monocromo. L’interno della cappella quadrangolare reca una sepoltura circolare, recante un’iscrizione datata 1456, e presenta quattro peducci angolari sui quali in origine si impostava la volta a crociera, purtroppo scomparsa nel corso del tempo. Sulla parete di fondo è emerso un notevole affresco (purtroppo non totalmente conservato ma ottimamente restaurato, raffigurante la Madonna col Bambino tra due Angeli e i santi Antonio Abate e Lorenzo, rispettivamente riferiti al nome del committente (Antonio da Rabatta) ed il santo titolare del paese. Siamo in presenza di un lavoro di rilevante qualità, databile alla fine del sesto decennio del Quattrocento, riferibile ad un pittore formatosi nell’ambito del Beato Angelico o Filippo Lippi come Benozzo Gozzoli o Pesellino. Di fianco alla scarsella terminale si trova anche un ambiente a pianta quadrata, anch’esso risalente all’epoca gotica e dotato di una grande mostra d’altare rinascimentale in pietra.
Nell’oratorio, al quale si accede anche da una porta esterna a fianco dell’ingresso principale, si trova un originale altare in stucco policromo del Seicento e al centro del pavimento si apre una botola circolare con iscrizione sepolcrale riferita ad una nobile famiglia borghigiana.
Nel chiostro adiacente alla chiesa, al centro del quale si trova l’anello ottagonale di un pozzo ottocentesco, si affaccia la sala capitolare del convento, della quale rimangono alcune strutture portanti in attesa di restauro e l’elegante prospetto in pietra, costituito da una porta centrale a sesto acuto e da due bifore arricchite da rosoni. Del campanile, crollato sulla chiesa per il terremoto del 1919, non rimane traccia.
Usciti dalla chiesa sarà opportuno segnalare, sul fianco destro, la presenza dell’antico portale d’ingresso al convento. L’ingresso a quella che doveva essere la sala capitolare del convento, è composto da due splendide bifore con rosone e da una grande monofora centrale. I capitelli dei sostegni sono splendidamente scolpiti con motivi vegetali del più puro ed elegante gusto gotico.
Foto interni ed esterni