Pieve di San Cresci in Valcava
SAN CRESCI (BORGO SAN LORENZO) – Pieve fra le più illustri del territorio, anche per la sua funzione di storico “santuario” mugellano, muta testimone e custode delle gesta e delle reliquie dei santi evangelizzatori del Mugello, San Cresci in Valcava sorge sul luogo nel quale, secondo la tradizione, trovarono il martirio e la sepoltura, nel III secolo, i martiri Cresci, Ezio e Onione (oltre agli altri martiri Panfila e suo figlio Cerbone che li avevano ospitati e che conobbero anch’essi il supplizio), durante la loro fuga da Firenze, nel tentativo di sfuggire alle persecuzioni dell’imperatore Decio. Sul luogo della sepoltura sarebbe ben presto sorto un sacello che sarebbe poi stato sostituito dall’edificio sacro. Della presenza di insediamenti romani e del passaggio, nella zona, di una strada romana, sarebbero valida testimonianza ritrovamenti archeologici effettuati nel XVIII secolo. In ogni caso, le testimonianze documentarie più antiche della pieve di san Cresci in Valcava risalgono al 941 e al 1177. La pieve medievale, della quale è testimonianza interessante la lastra tombale della famiglia Ghinazzi, murata sulla facciata della chiesa e datata 1258, fu teatro, in occasione della visita pastorale dell’arciverscovo Alessandro Marzi Medici (3 luglio 1613) del rinvenimento, dietro l’altare maggiore, delle reliquie di San Cresci e degli altri martiri della Valcava. Nel 1701 il granduca di Toscana Cosimo III, visitò la pieve e, riscontrate le precarie condizioni in cui versava, decise di finanziare adeguatamente i lavori di restauro che furono affidati all’architetto Giovanni Battista Foggini, il cui intervento, sviluppatosi in più fasi, fu particolarmente rilevante, tanto che l’impianto medievale della chiesa ne risultò completamente alterato.
Dopo i grandi interventi fogginiani e medicei, la pieve fu assegnata ai Gesuiti (1722) e dopo la morte del granduca Cosimo III (1723), per l’edificio iniziò un lento declino.
L’edificio riportò gravi lesioni in occasione del sisma del giugno 1919 ed in occasione dei lavori di restauro, si operò un’ulteriore ricostruzione che mirava, secondo i criteri del tempo, a riportare la pieve al suo aspetto medievale, eliminando, di fatto, quasi ogni traccia dell’intervento fogginiano, circostanza che ha anche determinato la pressoché totale perdita degli arredi settecenteschi, dipinti compresi. ln sostanza, ad esclusione del campanile che mantiene ancora oggi gran parte della muratura medievale, l’intero corpo di fabbrica fu ricostruito, sia pure impiegando, almeno in parte, i materiali originari .
A pochi metri dalla pieve, lungo la strada che conduce al cimitero, si incontra la cosiddetta “Cappella di San Cerbone”, semplice edificio rettangolare con una bella facciata modanata: sorge dove, secondo la tradizione, si trovava la casa dei Santi Fanfila e Cerbone, nella quale fu ospitato Cresci e nella quale egli operò la miracolosa guarigione del giovane Cerbone. Anche il piccolo edificio, che versa purtroppo in precarie condizioni di conservazione, appartiene al complesso dei lavori fogginiani voluti dal Granduca Cosimo III e presenta, sopra l’altare, un dipinto murale con la Guarigione di Cerbone ad opera di Cresci, modesta opera dei primi del XIX secolo, forse di un aiuto dell’Ademollo.
Opere
L’edificio attuale presenta facciata a capanna, frutto per lo più della ricostruzione novecentesca, unico portale di accesso affiancato da due pilastri appoggiati alla parete, probabilmente resti dei sostegni del loggiato. La semplice abside semicircolare conclude la tribuna.
L’interno è articolato in tre navate separate, in ciascun lato, da due grandi arconi sostenuti da pilastri quadrangolari, a loro volta separati da un pilastro intermedio con due arcatelle minori, aggiunte, a quanto sembra, dal Foggini per ragioni statiche.
Il nudo e un po’ freddo interno, concluso da un’abside semicircolare che reca nel catino un dipinto degli anni trenta del secolo scorso coi Santi della Valcava, opera di autore ignoto, conserva ancora, fortunatamente, l’altare in marmi policromi a gradini, progettato dal Foggini e realizzato dagli scalpellini Romolo Patriarchi e Romolo Tortoli, destinato a custodire le reliquie dei Santi martiri.
Da quanto è possibile giudicare oggi e facendo soprattutto riferimento al campanile, la pieve di San Cresci appartiene al novero delle pievi romaniche del contado fiorentino opera di maestranze locali del XII secolo, caratterizzate dalle semplici ed austere linee geometriche.
All’interno la pieve conserva ancora, murato in una parete, un tabernacolo in pietra scolpita, costituito da una edicola con due colonnine tortili che sostengono una cuspide ed arco ogivale. L’edicola, di evidente fattura gotica risalente alla fine del XIV secolo è identificabile con quella che era impiegata per conservare la preziosa reliquia del capo di San Cresci, che fu rimossa agli inizi del Settecento per essere collocata all’interno del nuovo reliquiario in argento. Il fonte battesimale in pietra reca lo stemma del pievano Bartolomeo Galilei e risale agli inizi del Settecento.
Una porta che si apre nella parete sinistra della chiesa conduce alla sacrestia e ad una cappella, dove vi è un notevole affresco, recentemente riportato alla luce e restaurato, che raffigura un altare barocco con al centro, entro una cornice a motivi vegetali dorati, l’Annunciazione. La grande parete dipinta simula, secondo il gusto del quadraturismo illusionistico, gli apparati degli altari barocchi, molto diffusi nelle chiese toscane. L’opera appare di notevole interesse, sia per l’ottima resa prospettica e illusionistica della macchina dell’altare, sia per la qualità della finta pala con l’Annunciazione ed è opera settecentesca del pittore Anton Domenico Bamberini (Firenze, 1666-Gamugnana, 1741).
Sulla parete sinistra, ai lati di un Crocifisso di recente realizzazione, ad opera di David Mayernik, si trovano due tele raffiguranti la Vergine addolorata e San Giovanni Evangelista: si tratta certamente dei dipinti che, in passato, assieme ad un crocifisso in cartapesta (ora perduto), formavano la scena della crocifissione, che in passato era collocata sull’altare della compagnia. I due dipinti, di apprezzabile qualità pittorica, sono stati realizzati alla fine del ‘600.
Nello stesso ambiente, nel 2010 si sono conclusi i lavori di David Mayernik che ha eseguito ad affresco, oltre al suddetto crocifisso, anche degli ovali con scene della Vita di San Cresci e dei Compagni martiri.
Il patrimonio di arredi della pieve, in passato deve essere stato rilevante, soprattutto per le ingenti donazioni di Cosimo III: una preziosa pala d’altare è attualmente custodita nel Museo di arte sacra “Beato Angelico” di Vicchio: si tratta della tavola cuspidata (sportello centrale di un polittico i cui laterali, con la raffigurazione dei Santi Cresci, Lorenzo e altri non identificati, risultano dispersi ) raffigurante la Madonna col Bambino, opera dell’anonimo Maestro della Madonna Strauss, pittore formatosi nella bottega di Agnolo Gaddi e attivo nell’ambito della folta schiera dei pittori tardogotici fiorentini degli inizi del Quattrocento (1400-1405).
Pittore prezioso e gentile, attento agli aspetti decorativi più che a quelli spaziali, la cui tavola rappresenta un rilevante segno del patrimonio d’arte della pieve, insieme al famoso busto reliquiario di San Cresci , realizzato, su commissione dello stesso Cosimo III interamente in argento sbalzato e cesellato dall’argentiere di corte Bernardo Holzman, un arredo estremamente prezioso e raro, considerato “uno dei vertici della produzione artistica tardo-medicea”, attualmente conservato del Museo diocesano d’arte sacra di S. Stefano al Ponte a Firenze.
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In vista di un saggio storico artistico su Anton Domenico Bamberini, desidererei sapere QUANDO furono compiuti i restauri nella cappella adiacente alla sacrestia in cui venne alla luce la bella Annunciazione del pittore e se esistono altri brani della decorazione architettonica.
Grata per l’informazione
dott.ssaRoberta Roani