LA RIVOLUZIONE DEI QUANTI
Giuro di non lamentarmi e di agire
Giuro di essere costantemente innamorato
Giuro di desiderare il bene per me e per gli altri
(Giuramente cavalleresco)
Qualcuno ha mai letto il colosso di Cervantes, quelle mille pagine intrise di comicità disperata e di profetico delirio? Ebbene, letto o non letto, la storia del sedicente cavaliere ordinato tale da un locandiere che non vedeva l’ora di sbarazzarsene, ci viene sbattuta in faccia da un baldanzoso e tormentato Alessandro Benvenuti nelle vesti di un moderno e bizzarro Don Chisciotte, e dal suo cinico figlio scudiero impersonato da Stefano Fresi. Nella cornice scenografica di un garage nascosto, tra biciclette penzolanti, un saccone da pugile per gli esercizi di rito, due sciagurate armature e strumenti tecnologici per tenersi collegati al mondo, è andato in scena al Teatro Corsini di Barberino l’ultimo capitolo di una battaglia tra ideale e realtà, una lotta calata al livello delle minuscole particelle che ci compongono. Per la regia di Davide Iodice (Arca Azzurra) che ha adattato il Don Chisciotte di Nunzio Caponio, due moderni avventurieri si ritrovano a discutere di quanto oramai la massa informe e acritica di uomini abbia perduto la volontà di scegliere preferendo ristagnare lentamente come rane in acqua bollente. Disperatamente il moderno cavaliere della Mancia (Benvenuti) inneggia alla lotta contro nuovi mulini a vento, contro buchi neri che formandosi in questo mondo sempre più virtuale risucchiano tutto ciò che di buono ci è rimasto e che si trasforma, inevitabilmente, in mancanza. Persino una mortadella che non si trova più in negozio diventa l’inedito e buffo simbolo di tali perdite, per le quali nessuno ormai ha più voglia di combattere. Se non lui, il prode Don Chisci@tte (con la @ al posto della O in nome dei tempi che corrono) che, ricercando un costante e talvolta angosciato contatto con gli altri attraverso video postati sui social, rivendica l’importanza di un risveglio neuronale, di una rivoluzione quantica, di un innamoramento perpetuo in nome della solidarietà umana. Il suo tenero ma vigoroso complottismo è sbeffeggiato da un novello Sancho Panza che non comprende a pieno il suo delirio e a fatica lo asseconda tra impeti di rabbia e richiami alla ragione. Unica salvezza per questo mondo addormentato è la nascita di un movimento cavalleresco che riunisca cavalieri da ogni angolo della terra verso un fine comune: sconfiggere LORO, la materia che si nutre di un NOI spirituale, inaridendo la nostra capacità di scegliere. In realtà, è una battaglia contro noi stessi che tendiamo a divenire pura materia oscurando l’idea che abbiamo dentro, attuando un “suicidio quantico” che potrebbe significare trionfo del sonno e dell’indifferenza. Si tratta forse dell’ennesimo mulino a vento? Poco importa, meglio morire così, mettendosi in gioco, andando incontro alla morte come se fosse la ricerca appassionata di una nuova vita, come a ridare finalmente forza alla nostra possibilità di azione, a quel margine nascosto che solo l’Amore in senso lato può scoprire. Come da tradizione, il ridicolo è sublimato nell’ultimo atto spregiudicato, in quel brandire solitario che solo può risvegliare le coscienze dell’intero universo o, perlomeno, la nostra.
Ivan Ferraro