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Home»Copertina»Emigrare a Marradi”, una mostra in Alto Mugello della sezione Anpi locale
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Emigrare a Marradi”, una mostra in Alto Mugello della sezione Anpi locale

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MARRADI – Sabato 23 Marzo, presso l’ Urban Center, la sezione ANPI di Marradi ha inaugurato la mostra. “Brutti, sporchi e cattivi, 100 anni di emigrazione italiana fra discriminazione e pregiudizi”.

La mostra con scritti, disegni e foto ripercorre in particolare l’emigrazione che ha visto come protagonisti cittadini marradesi: la prima parte dall’inizio del secolo con mete transoceaniche verso i paesi delle Americhe, mentre la seconda parte verso i paesi europei.

Le immagini hanno mantenuto la forza evocativa e il vissuto dei vari protagonisti, facendo riflettere di come sempre sia tragico lasciare la propria terra, i propri cari alla ricerca di una nuova vita il cui esito è tutt’altro che scontato. La Signora Danila Calderoni, che insieme alla sorella Luisa, ha coordinato l’iniziativa, ha comunicato che la mostra vuole essere un omaggio a tutti i migranti, in particolare a quelli marradesi, e anche un piccolo seme contro il pregiudizio che da sempre è una costante nei confronti dei migranti.

Le testimonianze, alcune in video, di marradesi che non sono più con noi e che ci fa piacere ricordare: Alfredo Bellini e Rita Alpi, altri invece dal vivo: Leonarda Malavolti e Gian Carlo Benerecetti, ci hanno riportato dagli anni cinquanta fino ai primi anni settanta.

La guerra aveva lasciato sul territorio marradese terribili conseguenze e le emergenze economiche erano stringenti, anche perché le attività legate al mondo rurale iniziavano a non essere più sufficienti per molti abitanti, così come in tanti luoghi italiani, gli uomini per lo più giovani si indirizzavano verso i paesi di confine che avevano bisogno di braccia forti per le loro costruzioni e per le loro fabbriche, in particolare la Svizzera, la Germania e in parte la Francia.

Alfredo, che rimase in Svizzera come muratore dal 1958 al 1963, raccontava che c’era sempre un gancio che apriva il contatto, al quale poi seguiva un ingaggio con un contratto di lavoro. Gli italiani venivano chiamati “cingali”, che in realtà voleva dire zingari, c’era una non sempre velata discriminazione, fra i migranti in base alla regione di appartenenza. Tuttavia pian-piano grazie anche a una padronanza sempre migliore della lingua e rispettando appieno leggi e regole, il bilancio della permanenza era stato sostanzialmente positivo. Il problema più grave era per chi aveva moglie e figli, era infatti complicato ricongiungersi e soprattutto tenere i bambini con sé. Anche Rita raccontava che aveva vissuto bene gli anni in Svizzera, anche lei lavorava (una delle poche donne) insieme al marito in un atelier di tappezzeria. L’aspetto negativo è che le ore di lavoro erano anche più di nove e la loro piccola bambina era accudita da un’ altra famiglia tanto che non voleva più essere considerata italiana.

Leonarda non ricorda volentieri quegli anni, ancora oggi prova una profonda commozione; insieme alla mamma avevano seguito il babbo, che era uno scalpellino nella Svizzera francese, dove ha vissuto l’infanzia e la prima giovinezza. Il ricordo peggiore è legato proprio all’arrivo, quando sia gli uomini che le donne, in ambienti promiscui o addirittura all’aperto, venivano messi a petto scoperto per permettere di praticare i primi esami medici a garanzia della loro salute, prima di iniziare il rapporto di lavoro.

Durante gli anni in Svizzera, nonostante frequentasse le scuole si sentiva diversa, emarginata, spesso gli italiani erano malvisti e bersagli di preconcetti, come purtroppo avviene ancora oggi nel modo delle migrazioni. Il babbo fu poi colpito dalla silicosi, e solo al rientro in Italia ebbe pieno riconoscimento della malattia come conseguenza del lavoro svolto nelle cave di quarzo.

Furono molti gli scalpellini marradesi, abitanti sopratutto nella frazione di Biforco, che in quegli anni lavorano all’estero e subirono la stessa sorte.

L’incontro è stato terminato dl Dott. Alberto Tassinari, che ha evidenziato i continui cambiamenti che subiscono le migrazioni, mantenendo tuttavia alcuni aspetti comuni nelle motivazioni iniziali: si emigra per sfuggire da ambienti devastati da calamità naturali, guerre o per problemi economici, sperando e sognando vita migliore per sè e per la famiglia.

Oggi la parole emigrante accoglie tutto: si va dal pensiero per la gente sui barconi, alla fuga di cervelli e spesso si dimenticano le sensibilità personali, le storie individuali.

Certo è che da sempre bisogna fare i conti con i flussi migratori, con politiche adeguate e con iniziative di formazione che partono dalla scuola, e riconoscere che le migrazioni sono un tassello importante, anzi indispensabile per un autentico progresso delle civiltà.

Fedora Anforti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 marzo 2024

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