La chiesa di Santa Maria a Vezzano
VICCHIO – Vezzano è una graziosa e tranquilla località a nord di Vicchio. Un gruppo di casette ben ordinate, adagiate in una zona pedemontana disegnata da modesti rilievi e dall’opera preziosa di molte generazioni che da sempre vi hanno condotto una lodevole e proficua attività agreste. Il Poggio del Paretaio ed il Monte di Gattaia sono i primi rilievi che la proteggono dalle gelide correnti settentrionali e costringono la Pesciola ad un’angusta e precipitosa discesa, lungo la quale il torrente sa regalare angoli di straordinaria bellezza naturale.
L’unica stradella che vi sale da valle, percorre ampie radure coltivate seguendo un andamento per lunghi tratti rettilineo che lascia spazio all’ipotesi suggestiva di un impianto romano, per altro facilmente assimilabile al toponimo indicativo del luogo, di inequivocabile matrice latina. Giunta in prossimità dell’abitato, la via prosegue con lo stesso piglio lineare attraversando i quartieri di Vagliano, il Pruno, Querceto, almeno fino alla chiesa di Santa Maria, seguendo un tracciato dalle origini lontanissime. Notizie storiche di un certo rilievo sulle qualità di questo luogo così ameno, iniziano a comparire nel 1084 e proseguono più sporadicamente nei due secoli successivi, quando il Comunello di Vezzano doveva riverenza e obbedienza ai vescovi di Firenze e Fiesole se non all’abate della Badia di Moscheta che possedeva poderi e terreni nella zona. All’inizio del XIV secolo tutta quest’area di media collina doveva avere ormai raggiunto una propria identità urbanistica, costituita da un numero considerevole di individui che occupavano un discreto numero di abituri, probabilmente resedi poco più che capanne, ricovero di pastori, boscaioli e contadini. Nelle stime catastali del primo Trecento si registrano case poderali a Pianuzzo, al Poggio di Piolle, Querceto, a Zolla; spesso munite di aia, orto e forno.
Un’altra casa era registrata a Lato nel 1319, a Fierli un mulino nel 1323 con un altro mulino a La Gufa; a Salomone nel 1348 era una casa con aia, cella e forno e così per un’altra trentina di unità sparse sul territorio. Per assolvere alle esigenze spirituali di questa laboriosa comunità in progressiva crescita demografica, operavano al tempo e contemporaneamente, almeno tre chiese o rettorie, tutte comprese nel piviere di San Cassiano in Padule.
Fra queste era San Pietro a Vezzano detta la Chiesa Vecchia e probabilmente la più antica, posta ad almeno mezzo miglio dall’attuale verso al montagna e poco distante dal fiume. In località Il Piovano, in un piccolo complesso rurale da poco ristrutturato, restano ancora visibili l’abside ed i caratteri tipici dei luoghi di culto che distinguevano la primitiva chiesa di San Pietro.
Sant’ Andrea a Vezzano, già citata in documenti del 1212, era invece lungo la via principale in prossimità del borgo, posta a lato di un hospitale per i pellegrini detto di Salomone del quale oggi non resta traccia. Nonostante l’abbraccio irriverente e distruttivo dei rampicanti, restano dell’edificio sacro parti consistenti in elevato dell’abside e delle mura perimetrali, all’altezza del crocevia della strada che conduce alla frazione di Grezzanello.
Le memorie più antiche della chiesa di Santa Maria a Vezzano risalgono al 1220 e poi al 1276, quando assieme a quelle di San Pietro e Sant’Andrea, appare citata e tassata nelle decime pontificie. Nel 1335 l’edificio mostrava preoccupanti segnali di cedimento strutturale, tanto da costringere prete Chiaro rettore pro tempore, a chiedere il permesso di alienare parte del beneficio in dote alla chiesa per ricavare i fondi necessari al restauro.
Al 1542 e al tempo di Rotuli rettore, sembra risalire invece un restauro radicale se non una ricostruzione vera e propria della chiesa. Verso la metà del XVI secolo deve essersi compiuta la soppressione delle due chiese di San Pietro e Sant’Andrea, con i rispettivi popoli annessi a quello di Santa Maria solo in epoca più tarda. Forse proprio per questa ragione, con decreto vescovile del 13 febbraio 1565, la chiesa era elevata a prioria. Due anni più tardi un provvedimento analogo, ne assegnava il patronato a Matteo Boni da Vicchio, da tempo pastore e curato di questo popolo.
Costruito in una zona soggetta a periodici fenomeni tellurici, l’edificio ormai vetusto fu seriamente danneggiato dal terremoto del 1611 e quindi praticamente ricostruito. Grazie all’opera di Simone Fabbrini da Pilarciano, la chiesa fu eretta ed ampliata secondo le nuove esigenze del popolo, consacrata e restituita al culto con cerimonia solenne il 1 giugno del 1617. Note dell’evento sismico e della ricostruzione restano incise in due lapidi poste in chiesa ai lati dell’arcata principale, sormontate entrambe dallo stemma dei Fabbrini di Vicchio (d’azzurro al calice d’oro).
Allo stesso periodo se non ad un’epoca precedente, sembra riconducibile l’opera della Compagnia di Sant’Antonio Apostolo i cui capitoli furono approvati nel 1641 e poi riconfermati due secoli più tardi.
Importanti interventi di riqualificazione e ristrutturazione all’esterno e all’interno dell’edificio furono compiuti fra il XVIII e i XIX secolo.
Nel 1777 per volontà del parroco Pietro Boni, fu eretto il nuovo campanile posto sull’angolo destro della facciata a stretto contatto della canonica. La torre a pianta quadrangolare e realizzata con bozze a vista, reca una lapide commemorativa della sua costruzione ed è munita di due campane, opera dei Rustini maestri fonditori della Lunigiana. Verso il 1860 Pietro Alessio Chini offriva il suo talento decorativo per impreziosire gli ambienti di Santa Maria, probabilmente realizzando la riquadratura di un soffitto nella canonica, ornamento del quale purtroppo non resta oggi alcuna traccia.
Sull’architrave d’ingresso alla chiesa resta inciso il nome di Don Pietro Parrini priore nel 1882, momento in cui fu restaurata o radicalmente ricostruita la facciata secondo un paramento di bozze irregolari che si ripete anche sul lato settentrionale dell’edificio. Allo stesso intervento dovrebbe appartenere l’esecuzione della lunetta tamponata e la statuetta della Madonna col Bambino in terracotta policroma.
Sopra a questa, al centro della facciata, si apre la grande finestra inquadrata da una robusta cornice e a sua volta sormontata da una trave di reimpiego recante in bassorilievo la figura di un cherubino. Dopo il terremoto del 1919, fu necessario adottare adeguate misure garanti il ripristino e la sicurezza di tutte le strutture e successivamente furono compiuti interventi significativi che avrebbero offerto un aspetto completamente nuovo degli interni della chiesa.
Negli anni Sessanta del Novecento Don Bruno Giovannini si adoperò per ricondurre l’ambiente di preghiera alle nuove disposizioni liturgiche. Il vecchio Altar Maggiore lasciò spazio alla nuova struttura “versus populum” e l’intero presbiterio fu completamente ridisegnato secondo il progetto di Don Marcello Peruzzi architetto.
L’interno dunque, appare oggi accogliente e bene ordinato, pavimentato in cotto e coperto a capriate con travatura lignea.
Appena entrati in chiesa, a destra dell’ingresso, si apre la piccola cappella un tempo sede del Fonte Battesimale, illuminata da una finestra con vetrata policroma riproducente la figura di San Giovanni Battista e donata dalle Priore della Beata Vergine del Rosario nel 1955.
Sempre sulla parete destra dell’aula è apposta una pala polilobata dell’Assunzione della Vergine raccolta in uno stuolo di angeli e cherubini. L’opera, il cui profilo denuncia una collocazione originale diversa, mostra qualità pittoriche gradevoli, tuttavia collocabili in ambito puramente devozionale. Negli angoli inferiori gli stemmi dei Fabbrini e dei Boni, le famiglie committenti.
Sulla parete sinistra in posizione contrapposta, è un dipinto a olio su tela realizzato da Francesco Furini nel 1623. L’opera raffigura la Madonna in gloria tra i Santi Pietro, Andrea e Brigida e una figura che volge lo sguardo all’osservatore, forse il ritratto di una committente. Una composizione che lascia supporre un’esecuzione del dipinto prossima se non coeva alla soppressione delle vicine chiese intitolate agli stessi santi raffigurati, commissionata forse in omaggio o per riconoscenza della loro annessione a quella di Santa Maria.
Il presbiterio rialzato da due gradini, è delimitato da un arco trionfale dipinto a finta pietra e illuminato da finestre laterali mistilinee con vetrate policrome.
Sulla parete di fondo è un’elegante imposta in muratura dipinta a finta pietra, con paraste recanti il simbolo dei Fabbrini, colonne laterali e timpano triangolare interrotto. Al suo interno è collocato un dipinto a olio su tela databile al XVII secolo. L’opera attribuita a Francesco Curradi o alla sua bottega, raffigura la Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. Nella parte inferiore è ancora l’emblema della famiglia Fabbrini. Si ringrazia la Dott.ssa Lucia Bencistà, storica dell’Arte, per le preziose indicazioni relative alle opere pittoriche.
Scheda e foto di Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 Marzo 2024