
FIRENZUOLA – Carlo Vettori, figlio di Dario “il Liutaio della montagna” allievo di Primo Contavalli di Imola ha trovato, presso la biblioteca del Comune di Imola, dov’è conservato l’archivio Contavalli, una lettera che Dario scrisse al maestro il 10 maggio 1944 ed in cui racconta “sul tragico avvenimento di guerra partigiana avvenuto il 7 maggio 1944” a Firenzuola. Carlo la riporta nella prefazione al suo ultimo libro “La chiave sotto il conchino”, Edizioni del Boccale, Livorno 2015.
Un documento storico
Caro Primo, ieri mi giunse la vostra cartolina. . . Credo che sarete già al corrente del tremendo fatto che é accaduto domenica scorsa a Firenzuola in ogni modo con poche parole cercherò di farvi capire. Domenica sera sette maggio ero in compagnia di Vittorio Padovani andai al cine quando arrivammo circa le ore dieci e mezzo che lo spettacolo non era ancora a fine entrò dentro d’improvviso una banda di ribelli bene armati.
“Mani in alto” urli di donne e ragazzi, ci sembrava la fine del mondo incominciarono a gridare “via le donne e i bambini e gli uomini resteranno” immaginatevi la paura mia e di tutti gli altri, ben che sapessi di avere la coscienza pulita, ma le rivoltelle e i fucili mitragliatori puntati davanti al petto non fanno tanto piacere, e cosi uscirono prima le donne e poi noi uomini con documenti alla mano immaginatevi che io ero senza ma non dissi nulla cercai e mi riuscì a sgattaiolare senza che si accorgessero che li avevo fatti fessi, e via di corsa a casa giù c’erano che avevano accerchiato la caserma dei carabinieri, dunque per farla breve avevano preso in ostaggio mio cognato Peloni, Vittorio Padovani, Vittorio Pifferi, un milite e due carabinieri, questi erano presi perché aprissero la caserma per avere le armi ma in caserma non c’erano che quattro militi ma senza il brigadiere questi urlarono e dettero dieci minuti di tempo perché aprissero altrimenti avrebbero ucciso gli ostaggi, anziché aprire incominciarono (i primi loro) a far fuoco e così i ribelli visto l’impossibilità di entrare nella caserma si sfogarono a sparare su questi poveri disgraziati e rimasero uccisi il nostro caro amico Vittorio Padovani e l’altro Vittorio che lei non conosce e un milite, il mio cognato ebbe la buona ispirazione di darsi alla fuga e prese solo due pallottole un braccio forato e una gamba, ora si trova all’ospedale diversi feriti di loro e credo un morto che se lo portarono via con sé. Creda Primo si passò una notte tremenda bombe da tutte le parti urli di feriti e poi sapere le povere famiglie in queste disgrazie siamo diventati mezzi scemi, perché non si era abituati a Firenzuola, era un paese così calmo e ora invece già arriva il rinforzo e hanno principiato a fare battaglie nei nostri dintorni e hanno ucciso otto ribelli così l’hanno detto loro non so se sarà proprio vero così caro Primo va scemando (ultime tre parole di difficile lettura) il nome dei Vettori a Firenzuola.
L’avvenimento così è descritto da Luciano Bergonzini nel libro “Quelli che non si arresero”, Editori Riuniti, 1957, in cui sono descritte le vicende della 36a Brigata Garibaldi.
L’occupazione di Firenzuola
Alla Casetta, la mattina seguente – era il 3 maggio – si presentarono a Bob quattro nuovi partigiani, due dei quali erano contadini della zona. Si concordò e si preparò, nei dettagli, una incursione nel centro di Firenzuola.
Si trattava di un’azione estremamente temeraria e fortemente rischiosa: obiettivo la cattura di spie naziste e il disarmo del locale presidio dei carabinieri. Partirono – erano in diciassette – la sera del 6 maggio, all’imbrunire, dalla Faina e appena giunti sulla Montanara tagliarono i fili telefonici. Era appena calata la notte quando la pattuglia, Bob in testa, entrò nel grosso centro toscano e bloccò la piazza. Un gruppo, guidato dal comandante, entrò nel cinema, gli altri, frattanto, mantenevano il presidio all’esterno. Richiesto dai partigiani, l’operatore sospese la proiezione e fece luce nella sala, gremita di pubblico.
Bob sali in piedi su di una poltrona e calmò subito., con la sua parola persuasiva, il panico che all’istante si era creato: «Non avete nulla da temere, noi non siamo tedeschi, siamo patrioti… il paese è occupato; uscite con calma, presentando, uno ad uno, i documenti di identità ». Due carabinieri furono bloccati fuori dal cinema, mentre, con calma, il pubblico sfilava, presentando i documenti ai partigiani che erano stati predisposti al controllo. Una spia fascista, subito identificata, tentò la fuga, ma Bob lo agguantò per il bavero e lo consegnò alla porta, dove altri quattro, già identificati, erano sotto guardia. Terminata, senza alcun incidente, l’azione, Bob predispose il piano per il disarmo della caserma che fiancheggiava il cinema. Parlamentò, tramite le spie e i prigionieri, con i carabinieri che si erano barricati all’interno della caserma, fino a quando, dalle feritoie, non si aprì il fuoco.
Segui una violenta sparatoria, a distanza ravvicinata, e i nostri risposero da più direzioni. Le spie fasciste, colpite da entrambe le parti, finirono uccise e un giovane partigiano di Tre Croci, raccolto ferito nella strada, fu sottratto ai fascisti dalla popolazione; ma purtroppo, poco dopo, morirà dissanguato, malgrado le più attente cure. Poi Bob lasciò in libertà i due carabinieri, invitandoli a scegliere al più presto la via della Resistenza, e diede l’ordine di rientro alla base. La notte fu tutta una marcia e prima che si alzassero le luci dell’alba, i nostri erano alla Casetta. Di guardia, il giorno seguente, montarono i contadini, ormai partecipi di ogni azione partigiana.
Fausto Giovannardi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 ottobre 2022