I cugini dei topi
MUGELLO – Quando si parla di roditori il pensiero corre subito alle schiere dei topi. Ma, accanto a loro, ci sono molti altri animali che potremmo definire loro cugini: sono diversi per abitudini, forma, colore e, soprattutto, dentatura (il che permette di riconoscerli anche tra i crani delle borre). Diciamo subito che conigli e lepri non rientrano tra i roditori ma fanno parte di un gruppo diverso, detto dei lagomorfi, che si distingue per avere una doppia coppia dei denti incisivi anteriori, la seconda disposta dietro la prima.
Tra i cugini dei topi il più noto è senza dubbio lo scoiattolo, visibile anche nei parchi pubblici mentre corre su e giù per le piante con un’agilità sorprendente, utilizzando la coda per equilibrarsi nei salti. Questa sua splendida appendice riccamente pelosa mi ricorda cosa mi successe a metà degli anni ’80 mentre ero in vacanza al mare in un camping della Maremma. Una mattina fui risvegliato da un coro di voci estasiate che gridavano: ”Oh, gli scoiattolini! Guardate che belli!”. Non volendo perdermi lo spettacolo, uscii dalla tenda e rivolsi lo sguardo verso i rami dei pini dove correvano diversi animali con la coda liscia e nient’affatto affatto pelosa. Non erano scoiattoli ma di sicuro dei grossi ratti neri, anch’essi molto abili ad arrampicarsi. Ritornai subito in tenda senza dir nulla a nessuno. Se avessi spiegato di cosa si trattava, molto probabilmente ci sarebbe stato un fuggi-fuggi generale e avrei rovinato le vacanze a molti, me compreso.
In Mugello lo scoiattolo è molto diffuso. Quando era cacciabile, negli anni’70, presi in esame circa quattrocento esemplari, annotandone con precisione sia le misure che i colori. Risultò che vi era una netta differenziazione in base alla località del rinvenimento: mentre nella zona di Barberino un quarto degli animali presentava una colorazione aranciato-rosso, questa diveniva progressivamente più scura man mano che ci si spostava verso est, con toni marroni e, a Dicomano, addirittura nerastri. Anche la forma cambiava leggermente, mostrandosi più snella ad occidente e più tozza verso oriente. Lievi differenze sembravano esserci anche rispetto alla localizzazione nei due lati della Sieve, un dato attendibile perché il fiume è una barriera oggettiva che separa geneticamente le popolazioni. Le variazioni di colore, secondo quanto trovai in letteratura, potevano essere prodotte da un’alimentazione più ricca di semi di conifere, maggiormente presenti nel Mugello occidentale. Quando si cammina in una pineta capita spesso di trovare le pigne rosicchiate e ridotte al solo asse centrale perché questi animali hanno staccato le squame con il loro durissimi denti per estrarre e mangiare i semi.
Altri comuni cugini dei topi sono i ghiri, che sembrano piccoli scoiattoli grigi con occhi cerchiati di scuro. Li ho conosciuti per la prima volta in occasione di una escursione, guidata dal prof. Pietro Piussi, docente di Selvicoltura dell’Università di Firenze, in Val Grande (Domodossola), da poco divenuta Parco Nazionale. Dopo una camminata molto faticosa e spossante giungemmo in un luogo detto “In la plana” (anche se di piano non c’era quasi nulla). Stanchissimi, ci preparammo al pernottamento nella minuscola baita di pietra e spegnemmo le torce. Prima di prender sonno si scatenò una sarabanda di rumori, anche forti, come se qualcuno saltasse o muovesse roba. Riaccendemmo la luce ma non vedemmo nulla. Rispente le pile, dopo un po’ il chiasso ricominciò. Ci prese un certo spavento, poi qualcuno fece presente che i ghiri non hanno nessun riguardo nel fare rumore, tanto più considerando che eravamo noi gli intrusi. Così ci tranquillizzammo e riuscimmo a dormire. Il pane rosicchiato che ritrovammo al mattino fu la riprova della loro presenza.
La vera impudenza dei ghiri la sperimentai a Castagno, durante i lavori peer il rifacimento del tetto di una legnaia. Nello sgombrare il locale rimossi un vecchio comò e dal cassetto semiaperto vidi sporgersi un ghiro che mi guardava come per dire: “Che succede qua?”. Se ne andò lentamente, impunito e per nulla impressionato. Dal rivestimento in cartone delle pareti vennero fuori chili di noccioli di ciliegia, rosicchiati nel corso dei tanti anni di permanenza in loco. Da allora in poi non ho più avuto ghiri né topi nella legnaia.
Probabilmente all’opera dei ghiri si devono far risalire le leggende sui “fantasmi” che avrebbero infestato alcune case nei paesi o nelle campagne, vista la loro abitudine a intrufolarsi nei sottotetti e a comportarsi in modo molto rumoroso.
La lista dei cugini dei topi comprende il cosiddetto topo quercino, che però non è affatto un topo. Gli assomiglia molto ma se ne distingue a prima vista perché ha un ciuffo di peli alla fine della coda. Il primo che vidi veniva da Polcanto; il contadino che l’aveva ammazzato fortuitamente con un bastone si accorse che non era un animale comune e lo consegnò a Giorgio Bani (il tassidermista di fama internazionale che tanto onora il Mugello) e così oggi figura nella collezione naturalistica del Liceo Scientifico di Borgo San Lorenzo. Anch’io ho avuto la soddisfazione di individuare un quercino a Moscheta (Firenzuola), durante la proiezione di un filmato sui lupi e sulla fauna locale. Quando vedemmo una specie di topino avanzare lungo un ramo notai la sua caratteristica coda e dissi che, secondo me, si trattava di un quercino evidenziando che quel video era una delle rarissime riprese in natura di questo roditore. Una settimana dopo appresi con soddisfazione da una ricercatrice dell’Università di Bologna, presente all’iniziativa, che anche il suo professore aveva avallato il mio riconoscimento.
Al gruppo appartiene anche un grazioso animaletto che pesa solo una decina di grammi e che presenta un bel colore aranciato e una testa apparentemente grossa quasi quanto metà del corpo: il moscardino. Ne trovai uno a Castagno, dietro le imposte di una finestra, mentre era “in letargo” (per modo di dire, perché i moscardini si svegliano spesso per mangiare). Lo portai nel laboratorio di scienze del Liceo (allora in Via D. Minzoni, confinante con una specie di cantina fredda) e lo sistemai in una gabbia dentro un ceppo bucato, con un po’ di acqua e grano, perché potesse nutrirsi quando si ridestava. Con i miei studenti un giorno volli misurargli la temperatura e infilai il termometro nella ciambella formata dal suo corpo: segnava 7 gradi. Ma quando il moscardino, sentendosi disturbato, cominciò a stiracchiarsi, vedemmo che la sua temperatura raggiunse rapidamente quella di veglia, toccando quasi i 40 gradi.
Che meccanismi perfetti posseggono anche animali così piccoli e apparentemente insignificanti!
Paolo Bassani
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 luglio 2021
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