MUGELLO – Raramente ho potuto leggere concetti e ricostruzioni in totale accordo come in questo libro, punto di arrivo di una storia che Andreani iniziò a descrivere nella “Firenze religiosa” anni fa e che si è via via riempita di grandi aspetti sociali e politici.
Ho bisogno di farla un po’ lunga, ma tanto la rete non ti obbliga al numero rigido di caratteri. Già l’aver scelto “folli” la dice lunga; e lo ha ben detto Alfredo Jacopozzi nel suo commento al volume: “follia”, nel classico vicino al divino, nel medioevo tra divino e satanico, riemerge con Erasmo con l’Elogio, richiama i bizzarri che vivevano nel deserto alla ricerca di Dio in lotta con le passioni umane; sino ad arrivare alla segregazione, quella rinchiusa in manicomio (ricordate la poesia cantata di Cristicchi), fino al “folle” per eccellenza, San Francesco d’Assisi. Pare che i folli del dopoguerra abbiano scelto Firenze come un laboratorio politico religioso, portando ognuno un proprio originale “mattoncino” per un grande edificio, il visionario, il mistico, il politico, il contestatore, il beato, il santo. Singoli che vivono in una unica chiesa, si intrecciano ma rimangono distinti, tutti insieme formano un grande motivo di riflessione, senza per forza voler tessere un filo rosso unitario. Perché ognuno è uno, ma lavora per la Salvezza. “Se tutti i preti fossero come lei”, disse Galimberti a Balducci…e quello: “Non creda, sa, lavoriamo tutti per la stessa ditta”.
Ma andiamo con ordine, perché tutto affonda le radici subito dopo la guerra. Il 1947 è la data del rivolgimento, e non casualmente cominciano ad essere ordinati i preti dell’annuncio più forte della buona novella; l’anno in cui viene ordinato don Lorenzo Milani per mano del Cardinale Dalla Costa. La guerra è finita, il referendum ha sancito la repubblica, la DC e De Gasperi assumono la responsabilità della ricostruzione del paese in una situazione sociale e politica esplosiva con la frattura avvenuta con socialisti e comunisti che sono stati messi all’opposizione.
Papa Pio XII è in prima linea nell’agone politico, Luigi Gedda sta organizzando la rete cattolica ingaggiando preti e parrocchie: nascono i “baschi verdi”, gli “arditi della fede”, partono i “Treni dell’amicizia”, sorgono i “Comitati Civici”. Viene inventato l’Anno della Madonna, che piange in ogni luogo, e per l’Italia gira la Madonna Pellegrina: tanto lavorìo viene premiato con un 48,5% alla DC mentre il “Fronte” si ferma al 32%. Il riverbero di contrapposizione sociale sarà forte anche in quella provincia fiorentina in cui Mario Lancisi colloca l’ultima sua fatica letteraria – che va ad aggiungersi ad un sacco di altri bei titoli – in cui opereranno e che si troveranno la non usuale coincidenza di osservare all’opera ben tre persone che sarebbero state poi dichiarate venerabili o beati o addirittura in odore di santità: Dalla Costa, La Pira, Facibeni. E scusate se è poco. Queste le basi di partenza, diciamo. Ma per l’arrivo dei “folli” è fondamentale una casa aperta: ci pensa il cardinale Elia Dalla Costa, noto per le finestre chiuse al Führer, che sarà tutore dei giovani, del Seminario, della comunità. Un padre; può sembrare poco decisivo, il prelato, in realtà è centrale perché i “Folli” possano arrivare a Firenze, prosperare e gettare la semina. Concordo con la ricostruzione di Lancisi, già in un mio libretto su Don Milani ero arrivato a considerazioni simili (Omaggio a Don Lorenzo Milani, La Scriveria, Borgo San Lorenzo, 2018), certo meno articolate e approfondite, di quelle di Mario, e mi ero immaginato, provocatoriamente ma non troppo, una riunione in qualche stanza romana, di grisaglie e tonache con all’ordine del giorno: far fuori Giorgio La Pira. E rispetto all’obiettivo, preparare le tappe intermedie. Primo tagliare i rami che Dalla Costa invece protegge e fa germogliare. A partire dall’innovatore Enrico Bartoletti, altra singolarità, nato a San Donato di Calenzano, protettore dei carismi degli allievi del Seminario con il rontese Silvano Piovanelli come braccio destro.
Il caleidoscopio fiorentino mostra tinte e colori e variazioni di stile che spesso si trovano intrecciate con il Mugello e soprattutto con il priore di Barbiana: il compagno di iniziative scomode come don Bruno Borghi – il primo operaio prete come si definiva, il compagno di banco Alfredo Nesi che teneva i contati con Calamandrei e gli uomini della resistenza laica, i “difensori” don Ermindo Corsinovi e don Renzo Rossi, entrambi operanti a Vicchio, don Cesare Mazzoni, attivo nel comune di Dicomano, quello che stato forse il più vicino e che gli portava la comunione in Via Masaccio. A far da corona, si fa per dire, don Danilo Cubattoli, il cappellano dei carcerati, lo storico e letterato Silvano Nistri, prete a Sesto, don Corso Guicciardini (l’erede predestinato di don Facibeni), mentre a vegliare su di loro provvedeva don Raffaele Bensi, storico padre spirituale di don Milani. Come non bastasse questo elenco, nel capoluogo toscano ecco i fuochi artificiali: arriva l’amiatino padre Ernesto Balducci, a Santo Spirito padre Gino Ciolini, il senese Luigi Rosadoni (via Enrico Bartoletti) collaboratore del Giornale del Mattino di La Pira e alla Madonnina del Grappa, il pisano Divo Barsotti, eccellente scrittore ingaggiato dallo stesso Sindaco Santo, il mistico pistoiese Giovanni Vannucci, da Milano nel suo peregrinare giunge lo strepitoso David Maria Turoldo, un altro che intrecciava e tesseva rapporti dall’ideatore di Nomadelfia don Zeno Saltini a La Pira a Balducci.
La squadra dei “Folli” gioca a tutto campo; senza alcuna strategia da poter legare organicamente tutti e tutto. C’è che i carismi sono curati e protetti da Dalla Costa, non un progressista, ebbe a dire Balducci ma “un abitante della sfera profetica”: che i chicchi cadano e facciano germoglio! Lancisi rende bene l’idea utilizzando i palazzi e le strade di Firenze, crocevia di un irripetibile esperienza sociale e religiosa, come i centri culturali, poi ancora Melloni, Pieraccioni, Pampaloni, Giovannoni, San Marco, l’Annunziata, Cultura, Vallecchi, LEF, incluso lo Stensen e tutti gli altri. In quella riunione di grisaglie e tonache si passa ai fatti: da Udine arriva Ermenegildo Florit, all’insaputa anche del cardinale, con la qualifica di coadiutore e con la inconsueta formula “con diritto alla successione”: o un commissariamento o qualcosa che gli si avvicinava parecchio. Inoltre Pio XII nomina Bartoletti vescovo ausiliare di Lucca, un incarico senza nessun reale peso. Un altro tassello dei rapporti del “Sindaco Santo” allontanato: veniva a mancare l’uomo del dialogo, della separazione dal collateralismo, della critica a una certa parte della DC e della Curia romana come ebbe modo di dimostrare negli anni seguenti alla CEI (celebre il convegno “Evangelizzazione e promozione umana”. Comincia lo scontro all’interno della chiesa fiorentina e con la Pira. Il finale di quegli anni va così: Borghi esiliato a Quintole al Galluzzo, Milani a Barbiana, Piovanelli a Castelfiorentino, don Rossi in Brasile, don Mazzi espulso, Borsotti ritiratosi in una comunità monastica, Rosadoni a Rovezzano, Vannucci alle Stinche nel Chianti, Balducci nella diocesi di Fiesole, via Tudoldo, don Nesi costretto a uscire dalla diocesi va al quartiere Corea a Livorno, mons. Gino Bonanni, mugellano, rimosso di brutto senza motivazioni dal Seminario, con la ribellione di don Milani e pochi altri, omologati nel conformismo. Asciugata l’acqua dove si muove il pesce si passa all’attacco di La Pira. Non spendo un rigo tanto è noto. Lancisi recupera non solo il “santino” dell’esponente cattolico, in cui si vorrebbe rinchiudere il sognatore e velleitario, ma l’uomo del fare, degli scioperi, il ruolo di Sottosegretario al lavoro, le grandi idee di “Firenze sopra il monte”, crocevia internazionale della politica estera, di pace, di incontro tra culture, dell’Università europea e dei gemellaggi, dell’Isolotto, dell’idea di Sorgane, del Teatro Comunale, della Centrale del Latte, delle scuole e delle case realizzate anche attraverso le requisizioni, della difesa dei lavoratori e del lavoro delle fabbriche fiorentine tra cui la Pignone. Inattaccabile per la vita da “Santo” che conduce, si trova osteggiato dalla Curia e da settori della DC che sferza sul risveglio morale e sul rinnovamento.
Non a caso le iniziative di La Pira vengono definite “imprudenti” da Florit che impedirà al Sindaco perfino un incontro religioso tra cristiani e musulmani. Il partito romano prende vigore con il card. Ottaviani che ispira l’editoriale “Punti fermi” puntando all’attacco della collaborazione con i socialisti. La Pira tira dritto e realizza uno dei primi governi cittadini di centro sinistra, è rieletto Sindaco affiancato dal socialista Enriquez Agnoletti. Ma la partita è persa, poco dopo il Sindaco Santo è costretto a lasciare, salvo essere riesumato in un disperato tentativo di riconquistare credibilità e appeal verso lo scudocrociato. La pagina è girata. Questi lunghi decenni hanno trovato una ricucitura in Bergolio. Francesco a Barbiana riporta a casa (alla chiesa) don Milani, e così farà con Mazzolari, don Tonino Bello, padre Puglisi, don Zeno e i chicchi che hanno germogliato, quella “cartografia di una chiesa inquieta che lavora per l’umanità”.
Mario poi cita don Ristori e butta il chicco per un recupero del ruolo di Floit, che sarebbe stato “ingannato”; che viene dopo la riproposizione che abbozzò anni fa anche Michele Gesualdi, fatta da una posizione per certi versi di privilegio nel commentare questi argomenti. Nessuno può dire una parola definitiva. Io mantengo tutte le perplessità del caso, suffragato dal “Diario” di padre Betti, ispiratore di Florit al Concilio (che ho riportato in quel mio libretto) che parla di un cardinale sprezzante, assolutamente non ingannato, non solo nei confronti del priore di Barbiana, ma in genere verso tutti quelli che osavano contestarne l’autorità. Potremmo dire che l’uomo che veniva da Udine ha dovuto svolgere un compito per lui improbo, di cui non era minimamente all’altezza, pagando un prezzo alto, mentre avrebbe fatto benissimo lo studioso e l’esegeta di San Paolo. Una perplessità me lo lascia invece il finale dedicato al ruolo pressoché unico svolto nel cattolicesimo fiorentino di quegli anni dal Partito Comunista, saltando a piè pari, in quel rimescolamento socio politico, il fermento che sgorgava dai lavori del Concilio Vaticano II, a partire dalla scelta socialista delle ACLI di Vallombrosa e l’MPL di Livio Labor, per toccare il femminismo, il movimento che darà vita ai cattolici del “NO” (sull’abrogazione della legge sul divorzio): temi su cui certo i comunisti erano perlomeno assai prudenti. Anzi su femminismo, diritti civili e divorzio tentennarono a lungo prima di prendere una posizione chiara. Le “Lettere alla mamma” di don Milani da questo punto di vista danno molte indicazioni rispetto a una giusta severità e distacco. Ma queste sono sfumature di secondo piano rispetto all’affresco.
Ancora qualche chiosa finale. Tanti sono i temi di commento che Mario fa atterrare: stare dalla parte dei poveri e riattrezzarli con gli strumenti della democrazia: voto, sciopero, parola. Un’eco con le tematiche della teologia della Liberazione e della distorsione con cui si è guardato ai fenomeni extra Polonia. La cultura e la scuola come strumenti di uguaglianza che hanno fatto un salto indietro di 50 anni.
Ascensore sociale fermo, tornano i Gianni e i Pierino; un mese fa, studi di Istituti di primo piano, hanno prodotto un report inquietante: scuola e istruzione come cartina al tornasole di malfunzionamento della società, forte dispersione scolastica, livello effettivo di competenze raggiunte non sufficienti per il titolo di studio raggiunto (dispersione implicita). Colpiti in maggioranza studenti di origine straniera, ripetenti, famiglie a basso reddito, con genitori a bassa scolarità, e certi tipi di scuola, come i professionali (che pure dovrebbero portare persone nel mondo del lavoro direttamente, anche se con profili professionali più bassi). Ci possiamo leggere gli operai – contadini – montanari di don Milani? Con la didattica a distanza che amplifica le disuguaglianze e produce altre disparità, anche di carattere geografico e tecnologico, perché c’è chi ha tablet, pc e smartphone di ultima generazione e chi un collegamento scarso e strumenti
antiquati. I Folli tremendamente attuali.
Massimo Biagioni
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 6 agosto 2020