I legionari tornano sulla via Flaminia Militare
MUGELLO – Dopo 2200 anni i Legionari di Roma tornano sulla Flaminia Militare costruita nel 187 A.C. dal console Caio Flaminio dopo la vittoria definitiva sulle tribù dei Liguri, grazie alla DECIMA LEGIO, l’associazione romana che si propone di studiare e di ricostruire l’esercito romano repubblicano, nel periodo compreso tra le guerre puniche e le conquiste di Giulio Cesare. “La ricostruzione del periodo repubblicano è di assoluto interesse non solo per la valorizzazione del contesto ambientale e culturale italiano, in cui ancora oggi luoghi, città e vestigia storiche testimoniano un periodo fondamentale per la storia di Roma e dell’Italia, ma anche per una più corretta e profonda comprensione e conoscenza della autentica civiltà romana”. (fonte: pagina Decima Legio su Facebook)
Per onorare una promessa fatta a Franco Santi e Cesare Agostini, gli scopritori della strada romana che da Bologna conduceva ad Arezzo, i Legionari dell’associazione Decima Legio sono partiti il 12 Settembre da Bologna, l’antica Bononia di epoca romana, entrando nel Mugello dal confine situato in prossimità di Pian di Balestra (BO) il 14 Settembre, raggiungendo poi il Trebbio a San Piero a Sieve, per arrivare a Fiesole e Firenze sabato 18. Vestiti come gli antichi soldati, con le Galigae ai piedi (calzari di cuoio) e le armi ai fianchi, hanno ripercorso i tratti di basolato affiorato dagli scavi dei due appassionati di San Benedetto Val di Sambro, costruito dai genieri romani tra enormi difficoltà per il reperimento dell’arenaria da utilizzare, per il suo trasporto e la sistemazione sul tracciato stesso, in un ambiente appenninico che in molti tratti arriva fino ai 1200 metri di altitudine.
La Flaminia Militare aveva il compito di spostare le Legioni con una velocità di movimento molto alta, favorita proprio dalla solidità delle pietre, che permettevano ai soldati di non essere rallentati dalle intemperie e dal fango. Oggi alcuni di questi tratti sono in comune con la Via degli Déi, percorsa da migliaia di camminatori che le passano affianco, o posando le loro scarpe tecnologiche sopra le antichissime pietre, in molti casi non avendo consapevolezza del prezioso lascito del tempo. Passato e presente, sogno e realtà si fondono in una suggestione dove lo spaziotempo si annulla.
Millenni si sfidano in una lotta impari, con clangore di metalli e lamenti di quegli eroi comuni che molto tempo fa trascinavano le pesanti pietre per costruire la strada che saliva e scendeva le nostre montagne, che i soldati di Roma con fatica e sacrificio percorrevano. Questa è una strada intrisa di fatica e sacrificio. Di coloro che la costruirono, di coloro che la attraversarono, di coloro che la scoprirono con tenacia e impegno, scavandola per vent’anni negli anni ’60/70.
E infine, oggi, di coloro che la ripercorrono provando sulla loro pelle la durezza di quelle antiche vite, per non disperderne il ricordo, per arricchirlo e affinché sia di sprone e incoraggiamento per le generazioni moderne. A tutti questi uomini, antichi e moderni, dedico una mia suggestione dovuta ad una visita in un freddo autunno. “Rumore. Un vento gelido sferza la cresta del nostro Appennino con folate di nebbia trascinata e sbattuta sui tronchi nudi dei faggi. Esili rami appaiono e scompaiono, nascosti e disvelati continuamente dalla nebbia grigia e veloce.
La Flaminia Militare emerge dalle radici, dalla terra e dalle foglie cadute, come il ponte di una nave sepolta nella sabbia, in fondo al mare.
Chiudo gli occhi ed il rumore del vento sommerge l’età moderna, il tempo diventa elastico e posso immaginare, sentire quasi, il rumore dei passi cadenzati di una centuria romana. Ecco…i soldati sembrano ondeggiare mentre la nebbia li copre e li scopre in un moto ondoso discontinuo. Gli alti faggi si piegano sui loro elmi di ferro, per poi sferzare l’aria in un brusco ritorno, nel liberarsi dalla forza del vento.
Ordini secchi del Centurione alla colonna. Rumore delle armi sbattute sui fianchi. Gli occhi dei soldati guardano le profondità buie della foresta, tradendo timore. Ma la strada di pietra li tranquillizza, parla della loro civiltà, annuncia la loro organizzazione e la forza dell’Impero mentre si distende come un filo sottile ma tenace nei territori conquistati.
E’ come un faro luminoso nelle tenebre della storia, che indica la via, e ristora le loro menti, parla della loro casa, ne lenisce il timore di terre incognite, di genti sconosciute.
La Centuria viene inghiottita lentamente dalla foresta, con il tintinnare dei Gladius e delle lance che si fa sempre più indistinto, mentre l’ultima fila di soldati, gli scudi rettangolari appesi sulle schiene, scompaiono nella nebbia con l’ultimo fruscio dei loro calzari di cuoio sulle pietre. Riapro gli occhi e capisco che il tempo si è ripreso il suo vero spazio, confinando la mia visione nel sogno.
Vedo i miei compagni a distanza, riuniti in gruppo, in una moderna Centuria equipaggiata di vestiti, zaini e scarpe tecnologiche. Ma forse, per pochi minuti preziosi, ci siamo tutti riuniti a quei soldati, nei loro pensieri e nel loro tempo.
Questo è un luogo sacro, dove lo spaziotempo si curva fino ad annullarsi, dove 2200 anni di Storia diventano un fantasma che gioca nella nebbia. Per pochi minuti le 110 generazioni che ci separano da quel tempo, da quei soldati oppressi dalla foresta ma consolati dalla forza della loro strada, sembrano talmente vicine da poterci permettere di guardare nei loro occhi profondi, sotto gli elmi di ferro. Di mischiare il rumore del loro tempo al nostro”.
Paolo Menchetti © Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 Settembre 2021