I racconti di Rosalia Piatti, scrittrice ottocentesca, ambientati a Firenzuola
FIRENZUOLA – Tra chi ha scritto su Firenzuola nel corso dei tempi, mi pare interessante la figura di Rosalia Piatti. Rosalia nacque a Firenze nel 1824, da Guglielmo Piatti e Anna Baldini. Il padre, di origine milanese, nei primissimi anni dell’ottocento, iniziava la sua opera di editore, dopo aver tenuto una libreria in via Vacchereccia, nei pressi del Mercato Nuovo, a Firenze. Delle oltre quattrocento opere da lui stampate la più importante è senza dubbio la prima edizione dei Canti di Giacomo Leopardi che lo consacrò definitivamente come grande poeta lirico.
Rosalia crebbe in un ambiente assai stimolante e venne indirizzata, cosa assai rara per l’epoca, allo studio delle belle lettere, della musica, del disegno, delle lingue straniere e delle scienze. Ebbe contatti stimolanti con personalità dell’epoca, spesso ospitate nella casa paterna.
Nel 1842 le muore il padre (la stamperia passerà a Tommaso Baracchi ) e qualche tempo dopo la madre. Alcuni anni più tardi sposò il pittore Giulio Piatti suo cugino ( 1816 – 1872 ). Giulio oltre che valente pittore fu ardente patriota e partecipò da protagonista ai moti del 1848; Rosalia approvò pienamente questa sua adesione alla causa della redenzione italiana sostenendolo fermamente.
Nel 1870 pubblicò il suo primo volume: “Racconti di una donna”, a cui seguirono “Nuovi racconti di una donna” del 1876, “Novelle e studi dal vero” del 1884 e “Racconti per le giovanette” del 1882. Pubblicò anche “Ricordi su Giulio Piatti pittore” del 1873 e “Monografia” di Maria Alinda Brunamonti nata Bombacci. Il racconto ambientato a Firenzuola è sul libro “Racconti di una donna”. Questa sua prima opera, che uscì dietro insistenze del marito, ebbe un grande consenso della critica dell’epoca; ne parlarono benignamente Niccolò Tommaseo, Raffaello Fornaciari, Pietro Fanfani, Isidoro del Lungo e altri valenti letterati dell’epoca.
Ne riporto una parte (è abbastanza lungo), dove si parla di Pietramala. Rosalia dovette soggiornare in questa località ospite dei Baldi dalle Rose. La figlia Ginevra sposò un Nobili, la cui famiglia dopo la morte degli ultimi due Baldi (Giuseppe e Leopoldo), ereditò il titolo e il patrimonio. Il racconto è intitolato “La gelosia”, nella sua prima parte, che qui riporto, descrive quello che era un luogo di ritrovo della gente di Pietramala: un prato con l’ombra di due vecchi castagni, nei pressi della vecchia pieve, al posto della quale fu edificato l’imponente attuale edificio, che si iniziò a costruire nel 1882.
“Chi seguendo il corso del fiume Santerno, dai monti della Futa ove nasce, si avvia alla volta di Firenzuola, quattro miglia a maestro di questa terra s’imbatte in Pietramala, villaggio risedente sul giogo dell’Appennino centrale, e cognito per i suoi fuochi gassosi. Incerta è la derivazione del nome di Pietramala, e si può supporre soltanto, ma non accertare, un’origine nella qualità del sasso, o qualche pietra miliare della via Cassia, che forse valicava l’Appennino in prossimità di quel villaggio, per seguitare poi verso Bologna. La parrocchia di Pietramala è la pieve di San Lorenzo, dalla quale si scende giù al prato dei castagni, così denominato per quei due grossissimi alberi di quella specie, che ivi distendono i loro fronzuti rami. Ogni domenica, dopo il vespro, quando il tempo è sereno e l’aria mite, brigatelle di donne e di uomini del contado si soffermano su quel prato a ciarlare, e spesso al suono di un organetto o di un violino, giovinotti e ragazze intrecciano allegramente qualche rustico ballo. Era l’ultima domenica di agosto: al caldo affannoso di tante settimane era da qualche giorno succeduto una temperatura fresca, foriera dell’autunno, mercè una di quelle subitanee burrasche, impetuose e passeggere, che nell’arsura dell’estate danno alle piante, agli uomini, agli animali, un refrigerio tanto desiderato. I vespri erano terminati: la gente uscita di chiesa, si avviava, chi qua, chi là: una diecina di ragazze tutte fresche e gioviali, a broccio l’una dell’altra, una mezza dozzina in circa di giovinotti, e una frotta di massaie chi più chi meno attempate, scesero giù al nostro prato, che pochi dì innanzi coperto di fili ingialliti, ora, per la pioggia che tenne dietro al mal tempo, si ammantava di erbetta lucida e verde. Intorno al pedale di ognuno dei due castagni era stato formato un sedile circolare, di terra all’interno, e di sassi e mattoni incalcinati di fuori. In giro ad uno di questi si posero a sedere, parlando e celiando fra loro, quelle ragazze uscite poc’anzi dalla chiesa, mentre sull’altro si assisero le massaie seguitando a parlare del gran caldo dei giorni antecedenti, che avea dato fastidio a bestie e a cristiani, e poi di figliuoli, di tele, di filato, di galline, di mucche, di vitelli natio da nascere, chè ognuna con un suo caso particolare da tenere sospese e attente le altre. In faccia alle ragazze a una certa distanza, si erano fermati i giovani, quale in piedi, quale seduto sull’erba, quale appoggiato al muro, che da quella parte chiude il prato, e costeggia la strada che porta a Firenzuola”.
Il racconto prosegue con le vicende amorose di Metilde o Tilde, figlia di Caterina di Meo, che abitava in una “cascina”, situata poco distante da Pietramala, e precisamente sulla via che conduce a Firenzuola, era rinomata nei paeselli circonvicini, ed aveva abbondante smercio di latte, formaggio e burro. Rosalia morì a Firenze nel 1906.
Sergio Moncelli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – Marzo 2022