Il 660esimo anniversario della Battaglia delle Scalelle di Marradi
MARRADI – Ieri 24 luglio correva a Marradi l’anniversario, il 660esimo, dalla Battaglia delle Scalelle, una pagina scritta negli anni bui delle guerre e delle invasioni del tardo medioevo, datata 1358. Al “Passo delle Scalelle”, nei pressi di Campigno è stato eretto, nel 1931, un cippo in arenaria per ricordare quell’evento, quando gli abitanti locali distrussero la compagnia di ventura comandata dal Conte Lando che voleva scendere a predare il Mugello e le terre intorno Firenze.
La storiografia locale ha spesso trascurato quell’evento. Quattro sono state le pubblicazioni che ne hanno fatto compiutamente menzione: una dell’abate Giovanni Mini, “La vittoria al Passo delle Scalelle presso Campigno” Castrocaro 1892; due del marradese Renato Ridolfi “Campigno La Battaglia delle Scalelle” del 1977 e ”Val D’Amone 24 luglio 1358 Cantata de Le Scalelle” Accademia degli Incamminati 2002; una del rontese Alfredo Altieri “La battaglia delle Scalelle Marradi 1358” edizioni Pagnini 2004.
Dal libro Val D’Amone di Ridolfi riportiamo qui alcune pagine: “Il sole è alto e l’afa assai pesante; le cicale friniscono noiose, i ranocchi son sempre infastiditi e per la mulattiera polverosa rumor di ferri, scalpiti e nitriti. Avanza la cavalleria: Ghigo del Cavalletto le conduce in avanguardia attento, sulla strada che monta a Le Scalelle. La Grande Compagnia per le balze del Lavane e Campigno cerca i castelli Vicchio e Dicomano per essere pronta a dilagar nel piano. Caldo è il mattino; l’aria par tranquilla. Passano i cavalli indisturbati: non c’è vita d’uomini e animali tra le balze, le forre, i boschi e i prati. Avanti, avanti il transito è sicuro. Avanti, compagnia luttuosa, chè il terror, la potenza ed il fracasso tengono libero il passo! E per la gola stretta, faticosa, si serrano le truppe rumorose, sudate, cariche di ferro, di bottino, delitti e presunzione. La strada sale, verso il cielo; il sole batte: è un luccicare intorno: raggi d’oro e d’argento. E vanno e vanno gli uomini: son cento, no, più di mille e ancora tanti. Par che la valle stretta a Gamberara non possa contenerli tutti quanti. E sempre vengon sotto, ansanti, chi ride, chi urla, impreca, canta, beve; chi si lamenta del piacer breve della sera avanti, chi spera di trovar nel Mugello donne amorose, vino e buon ostello. Già l’avanguardia è a Farfareta, guadagna il Corniolo isolato, scavalca l’Alpe verde alla faggeta. E’ in vista delle piane della Sieva. Il grosso di quei turpi masnadieri passa Cà di Rinieri a Valdimora. Arranca, maledice e si dibatte: la mulattiera è pregna di sudore! Davanti a tutti col cimiero in mano, la briglia abbandonata, il capitano sul suo bianco caval: Michele Lando grande signore. Venuto da Alemagna per predare e farsi più potente, batte i territori fiorentini per contrastar gli scudi di Perugia in guerra coi senesi e gli aretini. Segue la truppa tintinnante di ferri che fan aspra la salita. Ansimano le spade ed i cimieri nella polvere che copre l’orizzonte e la meta che ad arrivare indugia. Quei predoni forzano i sentieri dell’Alpe che s’apre nel Mugello. Cigolano i carriaggi in retrovia appena mossi da Biforco irato. Conte Broccardo messo a parar le spalle, rude e solenne ha dato il via. C’è sussultar di ruote e un tentennar di carri. Trasudano i muli scalpitanti, li frenano! I postiglioni frustano i trapele le bestemmie calano nel fondo. Oh, spettacolo immane, impressionante, giammai visto nel mondo! Si meraviglia il caldo sol dei cieli, il fior del rosolaccio e dello spino. I tamburi or sono alle Scalelle dove par che la strada sia men dura: si arrestano un momento a respirare, a tutto petto l’aria deliziosa, ma un rotolar di massi e di tronconi rompe la pace e cade sugli ignari. Rumor di tuono, paura e sgomento! La vendetta li ha colti a dieci, a cento, li spinge nelle forre e nel burrone; son cavalli, son fanti ed i cariaggi che precipitano in gran confusione. Urla, grida, bestemmie, imprecazioni, rumor di ferri disperati, tonfi. Vera tempesta con fulmini e tuoni! Disordine, ferite, gran spavento han reso timorosi gli spacconi che cercan scampo tra le macchie folte. Ma nel verde fogliame traditore altro sangue, altra morte, altro furore. I valligiani offesi, indemoniati, fanno lavar col sangue ogni sopruso. Pochi maschi, le donne ed i bambini battono, graffiano, spogliano i guerrieri così forti e potenti ancora ieri, ora tapini, deboli, in balia di due forche, una marra e la follia strappata alla miseria e alla pazienza da quattro o cinque spicci di violenza. Non si salva nessun, neppure il duce Michel Corrado di Landau il conte: disarcionato, sanguina la fronte, ferito e senza spada lo tengono prigione. Paura assai pesante tra le scorte che sbandate nei boschi e tra i dirupi cercan, fuggendo, scampo da quei lupi che senza tregua li vogliono a morte. L’acqua del torrente è fatta rossa del sangue di uomini e animali. La grande compagnia è sgominata e lacrima nei boschi pugnalata. Non riceve pietà: son fatte belve le donne nel cercar chi fugge: odio, rancore in ogni petto rugge. Cala la notte sopra l’ecatombe, si spegne ogni lamento dei feriti. La luna tinge bieca la vendetta che gode nel cantar della civetta”.
Dino Campana nei Canti Orfici scrive: “Ascolto: Le fontane hanno taciuto nella voce del vento. Dalla roccia cola un filo d’acqua in un incavo. il vento allenta E raffrena il morso del lontano dolore.”
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 luglio 2018