Non è solo il passo della Colla che ti porta a Marradi. Un tempo, prima che l’età moderna battesse alle porte, sulla montagna che sale dalla valle della Sieve tra Vicchio e Dicomano e la catena appenninica scorreva una rete di viottoli, addirittura un sentiero di una certa importanza che va sotto il nome di passo delle Scalelle.
C’era vita quassù. Castelli e rocche: castrum de Gattaria, castrum de Ripa Canina, castrum de Vitigliano, castrum Rostolenae e, magnifica e terribile a vedersi, la roccaforte di Ampinana, sede della contea guidingia. Li risiedeva il vero potere. E poi, ovvio, palazzi. A Pescina una villa, oggi fatiscente, ostenta sul portone d’ingresso la scritta ‘Libertas’. Era dei Magalotti, ricca famiglia Fiorentina con possedimenti nella campagna mugellana.
Se parti in bicicletta al sorgere del sole, in primavera inoltrata, il paesaggio mozza il fiato. Intuisci che la creazione va ben al di là del settimo giorno. Ti imbatti in un daino, rischi un cinghiale, un leprotto ti taglia la strada. Riempi lo zaino di finocchietto selvatico, di erba cipollina, di radicchio di campo. Sapori sconosciuti, proprio quelli che conosceva tua nonna ma che i supermercati hanno obliterato. A zigzag lungo il monte d’un tratto incroci il passo delle Scalelle. Un passo? Mah, ragioniamone. Una fessura paleolitica in un labirinto di fossi e burroni. Uno spettacolo della natura. Bello a vedersi, ma secoli fa decretò la rovina di un mercenario famoso, quel conte Lando che devastò mezza Italia alla testa di un esercito di figli di buona donna, ora al servizio di Siena, ora del papa, domani di chi lo pagava più profumatamente.
Chi è che non conosce la storia delle Forche Caudine? I romani piegati da un popolo italico che balza sulla scena del mondo proprio grazie alla sottomissione del miglior esercito di ogni tempo. Ecco, accadde anche quassù. Milizie professioniste soggiogate da contadini e boscaioli di Marradi, di Crespino, di Rifredo – in verità c’erano anche fanti fiorentini sul poggio – tutti in cerca di vendetta per i furti di bestiame e di vettovaglie, per gli stupri delle loro donne, delle figlie, perché i mercenari del conte, contravvenendo agli accordi, avevano ridotto sul baratro un’esistenza già difficile, tanto più con l’inverno alle porte.
I villani aspettarono le milizie dei prezzolati nascosti nel bosco, proprio dove il valico si fa stretto e ai lati non c’è via d’uscita. Fecero un massacro. Al tramonto, a battaglia finita, depredarono il campo e fecero incetta di cavalli. Immagino che abbiano rivenduto i prigionieri, sempreche qualcuno abbia chiesto di ricomprarli.
Ancora oggi, benché siano trascorsi 650 anni dallo scontro, la natura domina i luoghi, manifesta un’incontenibile forza. Avventurati nei canaloni, a piedi, e l’eco della battaglia ti sorprenderà. Ti sarà chiaro l’errore strategico compiuto da Lando: arroganza, ambizione sfrenata, incapacità di leggere quanto si andava preparando attorno a se. Vi perse la faccia e vi perse l’onore.
Dalle Scalelle a Marradi la strada è tutta in salita, serpeggia tra foreste e ruscelli. Merita tutta la fatica e il sudore che provi. Una volta in cima, panino a Biforco e cena in paese. Dallo zaino, mentre gusti un dolce di castagne, tira fuori le poesie di Campana. Un bicchierino di vin santo e una lirica. Meglio di uno scacciapensieri.
Riccardo Nencini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 marzo 2019