Il grande novecento della biologia – Parte 1
MUGELLO – Fino ad ora, nei miei articoletti, ho trattato argomenti riguardanti animali che tutti noi vediamo o conosciamo. Se dovessi collocarli nel tempo, direi che i miei scritti riflettono un atteggiamento “settecentesco”, di riconoscimento delle specie e di classificazione; non è un atteggiamento sbagliato, perché si basa sull’esperienza diretta e sulle conoscenze ancora carenti per tanta parte della Terra, ma oggi siamo andati molto oltre, e mi piacerebbe parlarne un po’.
Quando eravamo alle elementari, ci spiegavano che in natura c’erano tre regni: animale, vegetale e minerale. Lo aveva detto Aristotele e Linneo nella sua classificazione settecentesca lo aveva confermato. Però, nel frattempo, col microscopio si erano visti molti esseri che prima non erano conosciuti, così Linneo pensò bene di riunirli tutti fuori dal suo sistema, in una categoria “caos”. Alla fine dell’’800 si tentò una classificazione dei batteri, come erano chiamati questi piccoli esseri che si sapeva provocavano malattie molto pericolose, quali colera o tubercolosi. Venne così ad identificarsi pian piano un nuovo regno di queste minuscole creature: dapprima si misero insieme protisti e batteri, poi, nel 1969, si proposero due regni separati, protisti e monere, con l’aggiunta del regno dei funghi, staccati dalle piante. Il motivo di questa suddivisione era legato alla struttura delle cellule, ormai ben studiate al microscopio. Ci sono due tipi di cellule: con nucleo distinto (eucariote) e senza un nucleo (procariote). Questa è la grande divisione: i batteri sono procarioti e tutti gli altri eucarioti. All’interno degli eucarioti i protisti sono esseri formati da una sola cellula; funghi e piante hanno cellule contenute in un involucro solido (parete), mentre gli animali hanno cellule con membrana, ma senza parete. Le pareti dei funghi sono proteiche, mentre quelle delle piante sono di cellulosa (uno zucchero complesso) e questo è il motivo della separazione.
All’inizio degli anni ’50 si definì la struttura del DNA e si cominciò a pensare che esso fosse implicato con l’ereditarietà, insieme all’altra famiglia di acidi nucleici, l’RNA. Così, studiando l’RNA batterico, Carl Woese scoprì che c’erano batteri di un tipo fino ad allora sconosciuto, distinti dagli altri batteri sia per le modalità di vita che per la struttura (la loro parete cellulare era del tutto diversa da quella degli altri batteri). Il risultato fu dapprima la identificazione di un nuovo regno (col che si arrivava a sei!), poi una semplificazione apparentemente solo linguistica, definendo tre DOMINI principali: Eucarioti (con animali, piante, funghi, protisti, detti ancora regni), Batteri ed ARCHEI (con tutti i procarioti; si parla di domini, non regni, per la difficoltà di distinguere bene all’interno di essi).
A questo punto entra la definizione di specie. Per Linneo ”tante erano le specie quante ne aveva creato l’Ente Supremo” ed era ovvio che le specie si mantenessero uguali con la riproduzione. Le idee evoluzionistiche di Darwin e Wallace invece dicevano che le specie nascono, si sviluppano e si estinguono nel corso del tempo; la selezione naturale è il meccanismo che, agendo sulla variabilità che si ha ad ogni generazione, provoca il successo o l’estinzione delle singole specie. Darwin, che scrive nel 1859, non sapeva nulla di ereditarietà, geni e Leggi di Mendel, per cui non era materialmente in grado di approfondire oltre il concetto di evoluzione, anche se il concetto di specie era basilare per la sua idea. Nel 1942 Mayr così definisce la specie ”Le specie sono gruppi di popolazioni naturali realmente o potenzialmente interfecondi e riproduttivamente isolati da altri gruppi analoghi”. Quindi la specie è riproduttivamente isolata e nella sua linea ereditaria non possono entrare altre entità. Il fatto è che non è vero. Nel 1953 vennero rese note tre modalità di trasferimento genetico orizzontale (HGT) tra batteri, che potevano così cambiare le loro specificità grazie all’acquisizione di materiale genetico dall’esterno. I batteri non si riproducono per mezzo di cellule specializzate (gameti) come gli altri esseri, ma si “coniugano”, vale a dire che due batteri si fondono tra loro, scambiandosi materiale genetico (DNA) e riseparandosi poi. Non ci sono padri o madri o figli: c’è un passaggio di geni tra due individui, che dopo sono diversi. Ma possono modificarsi anche se un virus porta dentro la cellula batterica del DNA che entra nel DNA già presente, modificandolo, oppure prendendo DNA da cellule batteriche rotte e morte. E questo vale anche per gli Archei. Ne consegue che parlare di specie tra Batteri o Archei ha poco senso. Si parla di trasferimento orizzontale in contrapposizione al trasferimento verticale, di padre in figlio, che è quello usuale del mondo nostro.
La diffusione degli antibiotici comincia ad essere sempre più forte in questo periodo ed è accompagnata dai primi fenomeni di resistenza batterica, che divengono sempre più evidenti: nel 1963 il giapponese Watanabe riconosce che la causa della resistenza batterica agli antibiotici è proprio il trasferimento genico orizzontale (HGT), che permette il passaggio da batterio a batterio dei geni che provocano la resistenza stessa, anche se i batteri sono di specie diversa tra loro. Quindi l’HGT non è bloccato dalla barriera che dovrebbe esistere tra specie e specie.
Nel 1967, scrivendo dell’origine della cellula eucariotica (quella che contiene un nucleo definito, come le nostre), la scienziata L. Margoulis rispolvera e motiva strutturalmente vecchie teorie, secondo cui i mitocondri (organelli della cellula che producono energia in tutte le cellule eucariotiche) e i cloroplasti (che caratterizzano le cellule delle piante e in cui avviene la fotosintesi) non sono altro che batteri catturati ed addomesticati dalla cellula per le proprie necessità (teoria dell’endosimbiosi). E’ evidente, partendo da questi presupposti, che l’endosimbiosi ha un ruolo nell’evoluzione cellulare, e quindi nell’evoluzione complessiva, essendo chiaro che l’evoluzione cellulare ha preceduto quella degli organismi. Nel 1982 è ormai assodato che i cloroplasti derivano da batteri fotosintetici, i cianobatteri (un tempo chiamati alghe azzurre) e tre anni più tardi si scopre che i mitocondri derivano anch’essi da batteri particolari, i batteri viola (proteobatteri). Così è definitivamente provata la cattura e addomesticamento di batteri da parte della progenitrice della cellula eucariotica, che nasce appunto da questo fenomeno. Ma com’era questa cellula primitiva, ancora senza nucleo, ma anche senza cloroplasti o mitocondri? Quanto tempo è passato da quando sono comparse le prime forme di “vita” (tra virgolette perché non sappiamo cosa fossero o come manifestassero il loro vivere)? Sicuramente almeno uno dei 4 miliardi di anni in cui sulla Terra la vita si è sviluppata. Nel 2015 fu pubblicata la scoperta di una linea evolutiva di Archei, del tutto sconosciuta in precedenza, con un genoma molto simile a quello che avrebbe dovuto avere la cellula che sarebbe divenuta “ospite” di mitocondri e cloroplasti. Se questo fosse confermato, la cellula eucariotica deriverebbe dagli Archei e noi stessi verremmo da lì, un dominio (o regno che dir si voglia) che sino al 1977 era del tutto sconosciuto. Direi che non c’è male, come conclusione.
Paolo Bassani
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 19 settembre 2021
Caro Paolo, leggo sempre con grande piacere i tuoi articoli su questa testata. Quest’ultimo, in particolare, lo ritengo un esempio di divulgazione scientifica ben fatta. In nemmeno tre pagine di testo riesci a raccontarci, in modo molto interessante ed utilizzando un lessico non per specialisti, le ultime teorie sull’origine della vita ed il faticoso, mai concluso, tentativo di classificarne tutte le forme passate e presenti. Nell’attesa del prossimo articolo, ti faccio una richiesta: puoi indicare a noi lettori uno o più testi per approfondire, almeno in parte, le tante questioni da te introdotte? Grazie davvero, a presto.