Incontri ravvicinati con gli uccelli del Mugello
Nel Mugello, come in tutti gli ambienti naturali e antropizzati, una componente fondamentale della fauna sono gli uccelli. Quando arrivai a Vicchio, nel 1973, alcune specie erano del tutto assenti mentre altre erano praticamente visibili solo in certi luoghi o situazioni particolari. C’è poi da dire che non ho mai brillato per una vista particolarmente acuta, anzi, ciò che sfrecciava il cielo per me era un insieme di sagome nere poco distinguibili, a parte le rondini che ben si riconoscono per la coda forcuta.
Non avevo esperienza di uccelli dalle dimensioni più grandi di quelle del passero: il rapporto con questo gruppo animale si è istituito in modo fortuito e in tempi piuttosto lunghi (almeno un trentennio) finché ne ho apprezzato in pieno l’importanza e la grande varietà.
La prima occasione mi fu offerta a Castagno: un giorno di primavera inoltrata camminavo accanto ad un campo di trifoglio (tanti anni fa ce n’erano ancora anche lassù) quando fui attratto da una specie di pigolìo ed un fremito dell’erba: vidi delle specie di pulcini molto piccoli che saltavano qua e là.
Incuriosito, provai ad avvicinarmi per entrare nel campo: ma a questo punto ecco emergere dall’erba un uccello poco più piccolo di una gallina, con strida, il becco spalancato e le ali aperte e puntare verso di me come se mi caricasse. Ovviamente rimasi interdetto da una simile esibizione e mi fermai.
Ma l’uccello approfittò della mia esitazione per rientrare nel trifoglio, chiamare i piccoli e portarli più lontano, al sicuro. Avevo incontrato una fagiana che portava i suoi fagianini a nutrirsi in quel campo. Ricordo molto bene questo episodio, perché quella fagiana aveva covato e stava allevando i suoi pulcini, pronta a difenderli a rischio della propria vita; si trattava certamente di una fagiana selvatica, esperta di predatori e decisa ad affrontarli, a differenza di quei poveri fagiani immessi di solito prima della apertura della caccia, che vediamo talvolta aggirarsi con aria smarrita in mezzo alla strada perché sono stati allevati senza mai fare brutti incontri e non sanno difendersi o distinguere un pericolo (peraltro a quel tempo a Castagno c’erano brigate di starne e fu il motivo che spinse un mio amico a scegliere di stabilirsi lassù).
Un altro decisivo incontro con gli uccelli avvenne a Vicchio. Andando verso Sagginale si sentiva sempre il rumore di una cava di ghiaia i cui macchinari si vedevano dalla strada, in prossimità del corso della Sieve. Un giorno mi avvicinai e scopersi che quelli che a prima vista sembravano prati erano in realtà aree più o meno allagate dove si erano formati veri e propri laghetti contornati da salici o canneti. Da lontano scorsi anche dei grossi uccelli grigi, ritti in piedi sulle lunghe zampe, che non appena provavo ad avvicinarmi volavano via. Era uno spettacolo per me del tutto nuovo e cercai di sapere che cosa fossero: erano aironi cenerini che vivevano mangiando pesci e rane in quella specie di palude. Ritornai sul posto con un mio allievo dotato di telecamera per provare a fare qualche filmato e poco tempo dopo, improvvisamente, da un salice sulla nostra destra si alzò un grande uccello bianco candido che volò via.
Rimanemmo di stucco per la sorpresa e cominciammo ad ipotizzare di cosa si potesse trattare. Dall’aspetto ci sembrava molto simile agli aironi cinerini, ma era assai più grande. Poi venimmo a capo del mistero: dopo aver scartato la cicogna, che ha la punta delle ali nere, capimmo che si trattava di un airone bianco maggiore.
A quel tempo, tutti i testi riferivano che questi uccelli in Italia svernavano solo in Friuli, e invece noi avevamo avuto il privilegio di trovarcene uno quasi a casa. Un fatto così inconsueto mi stimolò a fare più attenzione agli uccelli, specialmente agli aironi, che imparai a riconoscere nelle zone umide che si erano formate in seguito all’escavazione degli inerti nel fondovalle e nei tanti laghetti irrigui o di caccia presenti nella zona collinare.
Cominciai a frequentare questi ambienti constatando che non c’erano soltanto gli aironi cenerini (il bianco maggiore non lo vedemmo più per vari anni) ma anche le garzette (bianche ma più piccole rispetto ai cenerini) e le nitticore, di cui ci fu indicata una garzaia (colonia di nidi per l’allevamento dei piccoli) nella zona di Bosco ai Frati.
Le nitticore sono aironi un po’ anomali, anche come forma del corpo, più tozza e con le gambe moto più corte; le loro abitudini sono prevalentemente crepuscolari, mentre gli altri aironi sono diurni. In una garzaia regna di solito una grande confusione, dovuta alle grida dei grandi e dei piccoli, ai brevi voli da un albero all’altro, alle cadute dei piccoli dai nidi. Non è bene sostarvi sotto, perché cade di continuo “roba” di ogni genere, dagli escrementi ai rigurgiti!
Gli incontri ravvicinati con il fagiano e gli aironi mi mostrarono che questi animali potevano utilizzare ambienti anche molto particolari, dal suolo agli alberi all’acqua, sollecitando la mia curiosità anche sul fenomeno delle migrazioni, che hanno interessato la vallata del Mugello sin da quando, alla fine dell’era glaciale, il miglioramento climatico spinse gli uccelli migratori ad allungare sempre più verso nord il loro raggio di spostamento, facendoli giungere fino all’Artico.
Paolo Bassani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 22 Luglio 2023
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