BORGO SAN LORENZO – L’opera “Se dicessimo la verità”, tratta da un’idea di Giulia Minoli, è andata in scena al Teatro Giotto di Borgo San Lorenzo mercoledì 29 gennaio. Si è trattato di uno spettacolo che si è avvalso di una serie di storie riguardanti il tema della mafia, durante le quali gli attori, con un ritmo fluido ed elettrizzante, hanno dimostrato quanto l’illegalità sia impregnata nella società contemporanea. Per rendere concreto e reale quanto poteva restare solamente un racconto, seppur dall’alto tenore emotivo, gli attori hanno interrogato il pubblico, facendo un sondaggio su quanti in una situazione paradigmatica si sarebbero comportati in maniera totalmente legale. I risultati hanno sorpreso gli spettatori stessi, che hanno percepito quanto nella nostra quotidianità non si dia più peso agli errori e ai comportamenti superficiali. Dopo i cinquanta minuti di durata dello spettacolo, gli attori si sono intrattenuti in un dibattito aperto con il pubblico ed in seguito si sono prestati ad essere intervistati. Qui sotto è riportata l’intervista.
Da dove nasce questa attività? Tutto è nato da un incontro fra Giulia Minoli e Paolo Siani alla Fondazione Polis di Napoli. Hanno pensato ad un progetto che vertesse sull’educazione. È nato come opera-dibattito sulla legalità con il titolo “Dieci storie proprio così”, ha debuttato nella stagione 2011 al Teatro San Carlo di Napoli e poi si è arricchito di altre narrazioni, elaborate in ambito universitario.
L’onorevole Pietro Grasso ha più volte parlato del problema dei giovani che finiscono nelle mani della criminalità organizzata, in quanto vengono spesso a mancare centri di ritrovo e formazione come parrocchie o circoli, che permettono loro di crearsi uno spirito critico. Voi che vi occupate di questi problemi, la pensate così? È un problema molto grave, i giovani spesso non hanno idea su cosa faccia davvero la mafia. Quando lavoriamo con le classi, notiamo che alcuni non conoscono neppure Falcone e Borsellino. Stanno nascendo in questo momento realtà che partono dalla Chiesa e che si concentrano sull’educazione dei ragazzi, sono realtà veramente belle. Noi, dal canto nostro, cerchiamo di far loro riflettere attraverso la narrazione di questi eventi.
Voi fate questo di mestiere? Noi siamo attori, anche se a volte siamo veri e propri formatori, in quanto lavoriamo nelle classi. Crediamo nel teatro come strumento di dialogo. Quando andiamo nelle scuole, cerchiamo di spiegare ai ragazzi il lessico delle mafie, come queste si insinuino nel territorio.
Il pubblico come recepisce il vostro lavoro? Siamo stati spesso ben accolti, le persone si sentono sostenute da noi e di questo siamo onorati. A volte ci è capitato di recitare anche davanti ai parenti delle vittime, il che è stato molto toccante.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 5 febbraio 2020