BORGO SAN LORENZO – Il dottor Piero Valecchi, medico borghigiano, ha scritto una storia, sul suo profilo Facebook che conviene riprendere e diffondere. Perché è una storia molto bella. Avvenuta alla fine dell’Ottocento in una frazione del Mugello. Una storia che parla di una bambina, poi divenuta Madre superiora nel convento Domenicano di Santa Caterina a Borgo San Lorenzo. E di ciò che accadde, una notte. Valecchi la racconta in modo davvero efficace, con rispetto e partecipazione. E lo ringraziamo per aver avuto questa sensibilità nel divulgare questo singolare episodio mugellano, del quale altrimenti si sarebbe persa memoria.

Correva l’anno 2014 ed io che ero stato il medico di un convento di suore domenicane ex- clausura. Il convento fondato nel 1516 accanto alla Pieve del paese, andava malinconicamente spegnandosi a causa della carenza di vocazioni, e la madre superiore per ringraziarmi del lungo rapporto professionale, in vista della nostra separazione, mi regalò un antico breviario che era appartenuto ad una Madre Superiora vissuta a cavallo tra 800 e 900 e che chiameremo solo Maria. Era il breviario della Superiora che presiedeva il convento al tempo in cui la suora molto anziana che me lo donava, entrava giovanissima in clausura.
Presi con riconoscenza questo vecchio libro. Ma più che la vetustà (stampa in Romae MDCCLXXII), mi intrigò maggiormente l’aspetto così manipolato, se non addirittura “stropicciato” del libretto. Quasi mi trovassi di fronte a l’unico intimo possesso terreno di una donna che aveva rinunciato a tutto, perché totalmente avulsa dal mondo e dai suoi richiami. Era come se quell’oggetto avessse vissuto interamente la sua vita tra le mani di quella suora. L’oggetto sul quale era stata “caricata” l’anima di un essere umano. L’oggetto attraverso il quale Ella aveva potuto sfiorare il trascendente.
Cominciai a sfogliare il breviario, e magia, magia cominciarono a saltar fuori interessanti santini con sul retro appunti di madre Maria, veri e propri pizzini con riflessioni scritte di suo pugno, che riuscivano solo ad intrigarmi sempre di più. E dal momento che montava la mia curiosità, ero diventato ciarliero, ne parlavo con tutti. Ma molti scritti erano talmente personali che mi facevano sentire un estraneo ficcanaso. Per questo, sentivo che non mi appartenevano e cresceva il desiderio di restituirli a chi ne aveva più diritto, e cioè alla sua famiglia. Una sera durante una cena tra amici, una di questi rivelò di essere una lontana parente della Madre, e si prese l’incarico di parlarne con la famiglia più stretta. Fu fissato un incontro a cena, che si svolse con molta cordialità, e dove tra ottimi pietti e aneddoti, io restituii gli scritti. La famiglia, molto numerosa e conosciuta nella zona, è una famiglia “importante” tanto da possedere una cappella nel piccolo cimitero della frazione dove abita tuttora. Vidi la tomba, con la foto di suor Maria sfuocata dal tempo e dall’umidità, e credetti di aver posto termine ad una storia singolare. Ma non era finita e il meglio deveva ancora venire.
A posto con la mia coscienza, stavo seppellendo definitivamente questa storia, quando qualche giorno appresso mi telefona al “fisso” una signora, la cui voce tradiva un’età piuttosto avanzata. Mi ringraziava per il ricordo della zia suora, dispiacendosi di non aver potuto partecipare alla cena del ricordo. E cominciò a raccontare.
Suo nonno si era trasferito nella piccola frazione mugellana nel 1877, ed aveva aperto un negozio di alimentari, sale e tabacchi ed altri generi alimentari. Ebbe otto figli. Di cui sette maschi e una femmina. Uno di loro era il padre di chi avevo nella cornetta del telefono, la femmina era colei che entrò nel convento di clausura nel 1901 all’età di 18 anni. Per 25 anni “la zia monaca”, altrimenti chiamata la “zia a quadretti”, perchè la potevano vedere solo attraverso una grata di ferro, fu la madre superiora del convento di clausura.
Verso gli anni ’50 già anziana, dovette uscire dal monastero per un ricovero all’Ospedale di Careggi a Firenze. Per il ritorno al monastero si offrì di accompagnarla un nipote proprietario allora di una bella e comoda automobile. La monaca era accompagnata anche da un prete della Curia fiorentina che doveva accertarsi che tutto avenisse secondo le regole. Ma il nipote insistette talmente tanto col sacerdote, che costui acconsentì ad una piccola deviazione del percorso, ovvero fino alla frazione di nascita per vedere e salutare la famiglia, a patto però che non scendesse dall’auto. Ma ad un certo punto della strada di casa , la Madre chiese di fermarsi. Alla richiesta di spiegazioni del nipote , perplessa balbettava sottovoce ” c’è un sasso lassù … un sasso … ma non si vede più”. Non diede altra spiegazione, e dopo aver salutato la famiglia dal finestrino dell’auto, commossa rientrò in convento.
Il nipote tuttavia era rimasto colpito dall’ episodio del “sasso” . E tornato dai parenti chiese spiegazioni. Molti i parenti che abitavano ancora nella piccola frazione. Ma solo una cugina seppe rispondere.
All’epoca in cui la Madre aveva appena 4 anni (1887), i fratelli maschi, tutti più grandi, avevano l’abitudine di andare nel bosco con i muli per caricare e trasportare la legna tagliata, in modo da portarla al paese e venderla. Una sera d’estate, con l’insistenza di cui solo i bambini sembrano capaci, la piccola ebbe il permesso di andare incontro ai fratelli che stavano tornando con i muli dal bosco. Intanto, come spesso succede d’estate, il tempo da bello e soleggiato, cambiò repentinamente umore, e nuvoloni neri carichi di pioggia oscurarono il cielo. La carovana dei muli e dei fratelli arrivò. La mamma e la nonna chiesero della piccola. Ma i fratelli non l’avevano vista. Ansia, panico, terrore. L’agitazione si impadronì di tutti e iniziarono le ricerche. Si era fatto buio, il priore suonò le campane, e tutti i contadini e gli abitanti del circondario, con le torce accese a cercare febbrilmente la bambina. Furono chiamati anche i Carabinieri della vicina caserma. Ma nulla! La notte passò infruttuosa tra angosce e rimorsi. Finché alle prime luci dell’alba il colono del parroco gridò: “L’ho trovata, l’ho trovata , è viva.”
Fu ritrovata sotto una piccola sporgenza di roccia dalla parte opposta dove la cercavano. Stava bene, era tranquilla, non era bagnata, non era infreddolita, i capelli ed il vestitino perfettamente in ordine, non aveva neppure le scarpe sporche. Alla domanda come avesse fatto ad arrivare lì, la risposta fu stupefacente: ” Mi ci ha portato una bella signora. Mi ha preso in collo, e poi è rimasta con me, ma quando mi sono svegliata non c’era più”.
La faccenda suscitò molto clamore, e arrivarono persino due giornalisti da Firenze.
Ma il priore riunì in chiesa a porte chiuse tutta la famiglia e tutti coloro che avevano partecipato alle ricerche, e disse: “Ringraziate la Madonna se credete sia stata Lei, sennò pensate quello che volete. Ma adesso basta. Non parliamo più di questa faccenda. Sennò questa bambina sarà segnata per tutta la vita”. Fece giurare a tutti, compreso i Carabinieri, che nessuno avrebbe più parlato di questa storia. E così fu.
Se l ‘anziana nipote che mi telefonò si era decisa a rivelarmi questi eventi, fu solo per soddisfare il suo desiderio che la storia non andasse perduta. Il motivo di mantenere il segreto, che era quello di tutelare una bambina, non esisteva piu, dal momento che la Madre Superiora era deceduta da piu di 50 anni. Tuttavia, personalmente ho cercato di riportare questi eventi nel modo più anonimo possibile. Perché penso che la divulgazione di “dati sensibili” , sia prerogativa esclusiva della famiglia.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 20 novembre 2019