
MUGELLO – Una storia scritta nel 2010, riemersa dagli archivi dopo 15 anni e che vale la pena riproporre. La Giornata della Memoria è già trascorsa, con tanti spunti e suggestioni da conservare e far riaffiorare nel tempo, ed ogni giorno è buono per ricordare.
«Durante la Seconda guerra mondiale c’era una famiglia di ebrei a Campomigliaio (frazione di San Piero a Sieve, ndr), i Klippel: padre, madre e una figlia. Erano ospitati dalla nostra parente Evelina Ottanelli. Tutti in paese sapevano, ma hanno mantenuto il segreto; nessuno fece mai la spia». Questi, in sintesi, i ricordi del mio babbo, risalenti al 2010, sulla famiglia Klippel di Trieste, dove il padre era industriale del tè. Iole, la figlia del sig. Klippel, si sposò successivamente con Oliviero Boni, figlio di quell’Evelina che li aveva ospitati a Campomigliaio.
«I Klippel – continuava mio padre – erano stati in affitto anche da Aldo Del Bianco (Romualdo, ndr) a Firenze. Poi non se ne è saputo più niente». Si ricordava, con chiarezza, anche dei figli di Oliviero e Iole: Giuseppe, che tutti chiamavano Titti, e Lia.

Poche parole, ma quanto è bastato per andare alla ricerca di una qualche traccia dei protagonisti di questo significativo racconto.
Consultando un testo di memorie di Romualdo Del Bianco, scritto dal figlio Paolo, vi era riportato che Aldo, durante uno dei periodi più critici del conflitto, aveva affittato a Enrico, Bianca, e Iole Klippel, una parte dell’appartamento di via Celestino Bianchi a Firenze, dove abitava anche lui con la moglie e la figlia più grande, Paola. All’inizio Romualdo non era al corrente del fatto che fossero ebrei, ma quando lo venne a sapere, pur avendo i Klippel i documenti in regola come atei, dice di essersi preoccupato per il grande rischio che stava correndo. Ma, nonostante ciò, li tenne comunque. Li cita tutti per nome nel libro, compreso il figlio Rubino che si trovava in Inghilterra, aggiungendo che – finita la guerra – rientrarono a Trieste. Conferma, inoltre, che la figlia Iole si sposò con Oliviero Boni, figlio di Evelina e Giuseppe Boni.

Dopo questo importante riscontro, alcuni conoscenti si rammentarono del fatto che Iole Klippel e la figlia, Lia Boni, si erano trasferite a Milano. In effetti il loro cognome era sull’elenco telefonico e, dopo un primo contatto via cavo, passato del tempo la signora Iole Klippel mi inviò una lettera scritta a mano con una calligrafia minuta, di altri tempi. Ricordo ancora il batticuore e l’impazienza nell’aprirne i lembi, emozione ampiamente ripagata dal contenuto. Ne trascrivo integralmente il testo, per preservarne l’intensità e la forza:
“Gentile Signora Elisabetta, ho ricevuto la sua lettera, che mi ha fatto molto piacere. Sono ricoverata in Ospedale per la frattura del femore e sono molto, molto anziana. Ad ogni modo ho cercato, qui di seguito, di ricordare quei lontani periodi della mia vita; Spero, almeno in parte, di esserci riuscita. Cordialmente Iole Klippel
Stavano arrivando notizie terribili dalla Polonia e Ungheria; donne stuprate, uomini massacrati e deportati. Partimmo precipitosamente da Trieste, io, mia madre e mio padre, e andammo a Firenze (mio fratello raggiunse uno zio in Inghilterra). I Signori Boni (Del Bianco, ndr), l’Antonietta e il marito, ci sistemarono per diversi mesi in un appartamentino dove vivemmo in clandestinità, con carte e nomi falsi. Col terrore di venire scoperti cercammo di procurarci, strapagando, la tessera annonaria presso il comune di Palazzo Pitti (forse Palazzo Vecchio, ndr). Ci chiamavamo “Ercolini”, e venivamo dalla Sicilia, dove avevamo perso tutti i nostri documenti… Nel frattempo si sparge la voce che “Grinì”, una spia dei tedeschi, è a Firenze, e sulla sua lista c’è anche mio padre. Dobbiamo vendere tutti i gioielli e, con quei pochi soldi, ottenere un posto sopra l’ultimo camion che lasciava Firenze. Era stracarico di merce legata con delle grosse funi e, così aggrappato ad esse, ho visto partire mio padre destinazione Roma, dove nel frattempo erano arrivati gli americani e mio padre, grazie a Dio, riuscì ad attraversare le linee.
Sentendoci ricercate, con l’aiuto anche dei Boni (Del Bianco, ndr), io e mia madre chiedemmo asilo alle Suore del S. Carmine, in Piazza del Carmine. La Superiora (non mi ricordo il nome) era una persona meravigliosa, e alla sera accoglieva anche dei partigiani.
Rimanemmo due mesi, poi ebbi un presentimento, e volli andar via. Chiedemmo ospitalità (erano le cinque di sera, e alle sei c’era il coprifuoco) alla Sig.ra De Rosa, conosciuta da poco, ed era una segretaria del fascio. Ci tenne nascoste per più di venti giorni, e quando venivano a trovarla quelli del fascio, ci chiudeva sul terrazzino.
Due giorni dalla nostra partenza dalle Suore, in piena notte, arrivarono i tedeschi con due camion; sfondarono la porta del giardino, entrarono e portarono via duecento persone, fra le quali molti bambini. Si salvò solamente una francese, perché riuscì a nascondersi in un cespuglio del giardino. Quindi andammo dai Boni a Campomigliaio. Ci ospitò, per diverso tempo, l’Evelina (la mia futura suocera). Suo figlio, Oliviero, era capitano, e stava combattendo in Iugoslavia, venne fatto prigioniero dai tedeschi e mandato a Buchenwald. Rimase pochi mesi, fino a che fu liberato dagli americani. Però la sua salute ed i suoi nervi rimasero compromessi. Gli americani, intanto, si stavano avvicinando; Campomigliaio non possedeva né rifugi né allarmi, perciò ricordo con terrore che quando sentivamo gli aerei che andavano a bombardare Firenze correvamo a rifugiarci nei campi di grano!
Ritornammo a Firenze, dove la proprietaria ignorava che fossimo ebrei. Eravamo rimasti senza cibo e senza acqua. Per l’acqua bisognava fare la fila di ore. Una mia cara amica di Trieste, durante una fila, un proiettile le tagliò la testa.
Ricordo con affetto Carlo Boni (Del Bianco, ndr), allora eravamo tutti e due tanto giovani. Ogni giorno attraversava il ponte (non mi ricordo il nome) con il pericolo dei bombardamenti, e mi portava le patate e qualche fiore!
Una sera il cielo si fece di fuoco; avevano fatto saltare tutti i ponti (meno che il Ponte Vecchio) e la mattina, dal nostro terrazzino, vedemmo gli americani camminare, dando la mano alle fanciulle.
Eravamo liberi!
Iole Klippel”
La signora Iole Klippel si avvia verso i 102 anni, passeggia ancora per Milano, ha una mente perfettamente lucida, ed io la ringrazio ancora per averci donato questa storia dove, nel mare magnum delle atrocità, emergono persone buone, nelle quali ha prevalso un grande senso di solidarietà umana.

Elisabetta Boni
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 16 febbraio 2025
2 commenti
Che bellissimo conoscere storie di persone non conosciute ma molto pensate.Grazie Elisabetta di questo storia di famiglia raccontata con amore come sai fare te per riuscire a far ricordare il passato.la guerra.tante cose che ci hanno toccato da vicino.la tua gentilezza e profondità con cui tocchi persone ed avvenimenti.e’ sempre eccezionale
Grazie.mi e’ piaciuta molto questa triste e dolorosa storia con una conclusione felice.Mi interessa molto sapere e conoscere le storie che mi hanno toccato da vicino anche se non sono state le mie.mi fanno ricordare la….fuga dalla Madonnina.Nella lunga auto dei nonni.l’autista con qualcuno vicino poi la mia sorellina Marta di circa 4 anni con la fidata Emma sugli strapuntini e dietro il nonno e la nonna con la coperta di tigre sulle ginocchia.Noi fratelli Giovanni ex io eravamo sugli scalini che li salutavamo senza renderci conto delpericolo verso cui andavano incontro nell’attraverdare l’Italia per andare a Ripe.C’era un senso di addio nei nostri occhi e nel nostro cuore con l’idea però che ci saremmo rivisti.E poi la vita in Villa resto senza di loro finché anche io e Giovanni partimmo diretti a Ripe felici di andare in treno.