La storia di Irene Guidotti, dal Mugello alla direzione della Biblioteca dell’Australian Museum di Sidney
BORGO SAN LORENZO – Sono molti, anche in Mugello, i giovani che hanno scelto di lavorare all’estero per valorizzare i propri talenti. Tra loro c’è Irene Guidotti, di Borgo San Lorenzo, bibliotecaria, che oggi lavora all’Australian Museum di Sydney e che vive in Australia dal 2015. Le ha dedicato di recente un’intervista la rubrica radiofonica “Australia, istruzioni per l’uso”, del canale SBS Italian (qui), che racconta le storie delle persone che dall’Italia si sono trasferite in Australia per lavoro e che sono riuscite ad ottenere la residenza permanente. Ne riproponiamo il testo:
Parrtiamo da oggi, chi è Irene Guidotti oggi? Cosa fai?
“Io nasco come bibliotecaria, ma al momento ricopro il ruolo di Acting Head of World Cultures, Archives and Library all’Australian Museum di Sydney, che è il museo più antico d’Australia, dedicato alle scienze naturali e che si occupa anche delle culture antiche. Se mi guardo indietro è stato un bel percorso arrivare fino a qui.”
Cosa successe nel 2015?
“È una storia particolare, un mix di casualità e una serie di fortunati eventi. Ho ottenuto in Italia una laurea in scienze della comunicazione, e ho fatto una esperienza in biblioteca, però poi ho anche viaggiato molto. Ad esempio ho fatto due stagioni in Francia, sono andata a raccogliere l’uva per un’azienda familiare in Borgogna. Molte esperienze diverse, anche molto distanti tra loro, che hanno fatto crescere in me il desiderio di partire, scoprire posti nuovi. Ma questo doveva sedimentare un po’, per varie vicissitudini sono tornata a lavorare in biblioteche fiorentine per alcuni anni. Ma da lì a poco la mia vita sarebbe cambiata, la situazione mi stava stretta. E quando mi rifiutarono un permesso di studio qualcosa dentro di me si ruppe. Allora lasciai il lavoro e partii per l’Australia”.
Quali sensazioni hai provato quando sei partita?
“Sembra una scelta rapida e semplice, in realtà c’è stata una preparazione accurata, per molti mesi. L’Australia era un paese nuovo per me. Per la verità ero interessata alla Nuova Zelanda, ma in Australia c’erano più opportunità di studio legate ai miei interessi e anche lavorative, e alla fine la vita mi ha portato in quella direzione”.
In quale città sei arrivata?
“Sono arrivata a Melbourne e ci sono stata per sette anni”
Sapevi già cosa avresti fatto? Avevi già dei piani?
“Come dicevo, c’è stata un’organizzazione. Sono partita con uno visto student, nel momento in cui ho ottenuto una borsa di studio, avevo prima fatto le domande in università. Ma è molto difficile vivere solo da studente, quindi ho iniziato subito a lavorare, inizialmente come cameriera e poi ho avuto la fortuna di trovare un lavoro proprio all’università dove stavo studiando. In merito a questo c’è anche una storia carina. A Melbourne stavo frequentando un Master in Business Information Systems alla Monash University, durante gli studi un professore propose a noi studenti un lavoro legato a quello che stavamo studiando. Ho deciso così di provare. Mi chiamarono per un colloquio che andò bene. Dopo pochi giorni mi offrirono il mio primo vero lavoro ufficiale australiano legato ai miei studi. Ma fu anche un momento imbarazzante. Quando il professore disse in classe che io avevo ottenuto il lavoro lessi lo sdegno sul volto dei miei compagni, che avevano provato a loro volta. Fu un momento non molto bello, mi fece capire che non ero ancora parte di quel mondo, però quel lavoro è stato una grandissima opportunità per me”.
Hai mantenuto i rapporti con i compagni di master?
“L’ho mantenuto, anche aiutandoli con alcuni lavori che poi sono stati aperti successivamente in università, dando loro consigli. E poi, da coordinatrice, ho potuto anche dare il lavoro a uno di loro”.
Non avevi niente di cui sdebitarti
“È vero, ma arrivando da un paese diverso ci si sente sempre un pochino in difetto, almeno io mi sono sentita così”.
Nel 2021 hai ottenuto la residenza permanente. Avevi fatto un lavoro simile in Italia? Quali erano le tue sensazioni?
“Sicuramente l’Australia offre molte opportunità lavorative, in tutti i campi. È più semplice entrare a lavorare in biblioteche ed istituti culturali. Non ci sono concorsi, semplicemente aprono delle posizioni, si può inviare il curriculum e poi si viene assunti in base alle competenze. È un sistema più meritocratico, che offre più opportunità. La mia esperienza lo dimostra, anche come sia possibile ottenere soddisfazioni professionali e intraprendere percorsi insoliti. Non ci sono soltanto settori dove normalmente andiamo a lavorare noi immigrati, ma se ne possono aprire altri e altre opportunità. Attraverso il mio lavoro, poi, ho potuto fare domanda per un visto particolare, il “Global Travel Independent Program”, e sempre grazie al lavoro e alla mia esperienza nelle biblioteche ho potuto ottenere il visto ‘permanent’ nel 2021″.
Ci sono stati degli intoppi in questo percorso? Quando hai fatto domanda per la prima volta? Quando è scattata la molla?
“È scattata quando nell’ultimo periodo a Melbourne alla Monash University, dal punto di vista lavorativo, iniziavo a ricevere dei riconoscimenti e c’erano tante opportunità lavorative. Allora ho capito che il mio futuro sarebbe stato in Australia, e quindi ho voluto provare la strada del visto “permanent”, anche perché mi sento grata per le opportunità ricevute. Sicuramente l’Australia è un luogo che ti mette alla prova sotto tanti fronti, però ti fa anche migliorare.
Nel frattempo ci si era messo anche il Covid, che impatto ha avuto sul tuo percorso?
“È stato molto problematico. Perché per accedere al Global Talent era necessario essere fuori Australia. Poi il mio visto temporaneo stava per scadere, e quindi dovevo lasciare l’Australia almeno per un periodo. In mezzo alla pandemia ho preso un aereo, e in quel periodo era molto problematico riuscire a prendere un volo e arrivare in Italia. Una volta in Italia ho atteso che arrivasse la risposta per il visto, che è giunta dopo due o tre mesi. Ma il problema poi è stato rientrare. Durante il Covid non c’erano abbastanza voli, ed è stato molto stressante e problematico tornare indietro per poi attivare il visto. Ma alla fine ce l’ho fatta, anche se è stato molto costoso”.
Il giorno in cui hai ricevuto il visto dove eri? Ricordi quel giorno?
“Ero ospite di amici, ricordo che era notte, stavo lavorando al computer perché nel frattempo cercavo opportunità lavorative ulteriori e stavo facendo dei corsi di formazione per mantenermi attiva a livello professionale e arrivò questa mail. È stato un shock, sono rimasta cinque minuti a fissare il documento. Era notte fonda e tutti dormivano. Non potevo esultare, però è stata una sensazione bellissima, liberatoria”.
Una volta raggiunto l’obiettivo hai provato un senso di disorientamento? Non ti sei chiesta e adesso cosa faccio? Oppure sapevi già dove andare e cosa fare?
“Fortunatamente no. L’ho presa come una spinta al miglioramento. Mi ha dato le energie per cercare in tutti i modi di tornare e cercare opportunità a livello professionale. Infatti poi è arrivata l’offerta del lavoro che sto facendo adesso, quindi è stata una bella spinta di energie nuove”.
Quali differenze ci sono tra le biblioteche in Australia e quelle in Italia?
“Io ho lavorato in biblioteche pubbliche e universitarie, e ovviamente c’è una grande differenza, ad esempio alla State Library di Melbourne, dove ho avuto la fortuna di lavorare, e anche quelle universitarie. I servizi agli studenti sono molto avanzati, la tecnologia fa parte del quotidiano delle biblioteche, cosa che invece in Italia ancora non è molto sviluppata. Ma la differenza principale è che lavorare nelle biblioteche in Italia è molto complicato. O fai un concorso o devi affidarti alle cooperative. E questo porta ad avere un personale che non è formato in maniera appropriata. E fa la differenza purtroppo”.
Dal punto di vista tecnico, qual è un aspetto del tuo lavoro che in Italia non c’è?
“Qui in Australia viene accettato e valorizzato lo spirito di iniziativa. Anche se vieni da un altro paese o da un’altra esperienza lavorativa, sono disposti all’ascolto. Questo mi ha portato anche ad avere più responsabilità e ad acquisire competenze. Cosa che in Italia non era possibile. Inotre, più in generale, un’altra cosa che mi ha colpito molto dell’Australia è stata il sistema di supporto ai cittadini, molto avanzato. Ci sono tantissimi servizi online, facilmente accessibili. E questo vuol dire tanto, soprattutto nella vita frenetica che abbiamo tutti i giorni”.
Alle persone che volessero intraprendere un percorso simile al tuo, quindi con delle professioni specifiche, quale consiglio ti sentiresti di dare? C’è qualcosa che faresti in modo diverso da come hai fatto?
“Un consiglio che darei e che ho dato è di farsi seguire per il visto. Io ho sempre fatto da sola, ma credo sia importante farsi seguire, ci sono tante cose da considerare, e anche tante modifiche che vengono applicate, quindi è bene farsi seguire. Poi una cosa importante, quando si va in un Paese così lontano, anche a livello psicologico, è riflettere sulla distanza con il proprio paese nativo, con la famiglia e gli amici. Non tanto per un aspetto di nostalgia, ma anche praticamente per le conseguenze nel lungo periodo. Ad esempio non sottovalutare che costa tanto viaggiare, e quindi costa molto anche per gli altri venirti a trovare”.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 14 Maggio 2024