Le antiche pergamene ci parlano di un Mugello con precoce destino fiorentino
MUGELLO – Tra i non addetti ai lavori è abbastanza comune l’idea di un Mugello medievale saldamente in mano ai conti Alberti, Guidi e Ubaldini i quali, all’alba del XIII secolo, dovettero poi contrastare l’avanzata fiorentina che portò agli scontri e alla distruzione dei castelli feudali d’inizio Trecento (Montaccianico, Ampinana e via dicendo). In realtà, le cose andarono storicamente in maniera diversa da come si racconta in giro. Già duecento anni prima la presenza fiorentina nella nostra valle era oltremodo radicata, anche per i forti legami con l’ambiente ecclesiastico; chiese e monasteri sorgevano ormai dovunque e costituivano un solido punto di appoggio per la città, anche dal punto di vista politico e sociale. Invece, la vita (limitata) del signorotto locale con i suoi “fidelis” era da tempo circoscritta alla zona di proprietà; non dico che erano una specie di odierni agriturismi, ma poco ci mancava.
È vero, i documenti che lo dimostrano non sono molti e le notizie sono spesso avvolte dalla nebulosa del tempo; però basta semplicemente consultare con un minimo di attenzione le antichissime pergamene conservate nell’Archivio di Stato per farsene un’idea. Basta quelle redatte nel piccolo paesello dove abito, Santa Maria a Vezzano, all’apparenza area del tutto marginale.
E invece… tra i documenti conservati nella Badia vallombrosana di S.Bartolomeo a Ripoli ne troviamo uno datato addirittura 4 marzo 1084 in “Veziano, iudicaria fiorentina” dove alcuni residenti donavano un pezzo di terra coltivato a castagneto e posto in località Costasole (o Costazola, non si legge bene) all’abate Alberto del monastero di Santa Reparata posto in Salto (Marradi). “Per timore e remedio anima” si precisava nel documento, anche se non sapremo mai quali spaventosi peccati i nostri eroi si volevano far perdonare.
C’è poi un’altra pergamena mezza bruciacchiata e usurata dal tempo conservata per secoli nel Monastero delle monache camaldolesi di Luco datata 3 luglio 1140 dove si racconta invece un’altra storia, la “locazione a lavorare tre pezzi di terra posti due nel luogo detto il Pozzo e l’altro nel luogo detto il Colle fatta da Ranieri abate del Monastero di Santa Reparata a Viviano e Pietro chiamato Monaco, fratelli e figli di Ugo per l’annua provvisione di 2 denari di moneta lucchese”. Il prode notaio Ugo firma la pergamena con il suo simpatico sigillo disegnato e precisa accanto che è stata redatta in “Mucillo, comitatu florentino loco Vizzano”. Grazie caro messer Ugo, ma, vi domanderete, dove voglio arrivare? Semplice, a volte basta una parolina.
Nel 1084 c’è una “iudicaria” in Vezzano, ovvero un luogo dove si amministra la giustizia per una vasta zona circostante tramite la presenza in loco di un iudex (giudice). Nel 1140, appena cinquant’anni dopo Vezzano era “comitatu” fiorentino, ovvero una contea governata da Firenze; già erano iniziati fitti scambi commerciali nonché la migrazione di giovani rampolli delle famiglie mugellane più benestanti a cercar fortuna in città, come successe molti anni dopo a Forese da Rabatta e Giotto. Il Repetti scrisse, forse sbagliando a tradurre il documento, “contado” al posto di comitatu ma è pur vero che per estensione in fondo è quello il vero significato latino del termine. Cos’era successo nel breve periodo di tempo che intercorre tra i due documenti è presto detto; Matilde di Canossa era morta nel 1115, il Comune fiorentino aveva assunto una propria autonomia e instaurato il regime consolare dall’anno 1125. E il Mugello in quella data era già largamente fiorentino, non certo negli austeri castelli feudali ma sicuramente nelle coltivazioni rurali, nelle chiese, nei commerci, nelle vie di comunicazione e nei vocianti e affollati mercatali.
Fabrizio Scheggi
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 26 settembre 2021