Le interviste dell’Ingorgo: a tu per tu con Dario Matassa
BORGO SAN LORENZO – Insieme ad Andrea Tagliaferri conosciamo Dario Matassa, giovanissimo scrittore che sabato 28 novembre alle ore 16.00 presenta, insieme al giornalista Andrea Pelosi sulla pagina Facebook di Ingorgo Letterario, il suo “Non ti ho chiamato amore, ma ti ho pensato tale” per Sperling & Kupfer. Dario Matassa nasce a Bologna nel 1995. È stato co-fondatore e autore del talk show Space Valley in onda su YouTube. Attivo su Twitter, Instagram e altri canali, non smette mai di comunicare le sue emozioni e le sue riflessioni attraverso il suo blog, SeconDario, diventato anche un podcast di successo. Cura una rubrica di opinioni per Experience Is su Vanityfair.it e a Settembre 2020 ha fatto il suo esordio in libreria con «Non ti ho chiamato amore, ma ti ho pensato tale», edito da Sperling & Kupfer.
Cos’è per te l’ispirazione (se esiste)? L’ispirazione per me è guardarmi intorno, farmi distrarre da quello che mi circonda. Niente mi offre più spunti della normalità, cioè delle cose che succedono in automatico, senza che nessuno ci faccia troppo caso. I discorsi «rubati» alle persone sedute al tavolo di fianco nel ristorante, le telefonate ad alta voce sugli autobus, le chiacchierate con gli amici, tutte quelle situazioni di cui faccio parte anch’io. Trovo molta ispirazione nelle situazioni di cui faccio parte anch’io. Infatti il mio primo libro è un libro di situazioni in cui ti ritrovi all’improvviso, vissute da persone qualsiasi, che potrebbero tranquillamente esistere. Non posso però dire che ci sia soltanto la vita di tutti giorni con i suoi dettagli nascosti e preziosissimi a ispirarmi. E non posso nemmeno dire che l’ispirazione sia qualcosa che mi arriva, che mi prende alla sprovvista mentre sono in giro a vivere. Sarebbe troppo comodo se fosse così. Spesso l’ispirazione è soltanto un’immagine che mi vedo comparire in testa, un accenno, una sensazione lieve legata a un momento particolare, un susseguirsi di parole, un’esigenza precisa collegata a una precisa circostanza, e a quel punto devo mettermi al lavoro per darle corpo, altrimenti rimane sospesa intorno a me.
Hai un metodo di scrittura? Se sì, è cambiato negli anni? Il mio metodo di scrittura è ancora in fase di sperimentazione. Devo ancora comprenderlo per poter rispondere con sicurezza alla domanda. È senza dubbio cambiato nel corso degli anni, insieme a me, pur avendo sempre mantenuto alcune caratteristiche di fondo. Non scrivo e non ho mai scritto di getto, per esempio. Difficilmente mi lascio completamente andare durante la scrittura, perché amo fare lo sforzo di trovare la combinazione di parole più adatta a indicare quello che desidero indicare. Mi crea sollievo riuscirci. Oltre a questo, mi rendo conto che difficilmente mi metto al lavoro sapendo con esattezza dove andrò a finire. Comincio a scrivere e riscrivere, scrivere e riscrivere, poi osservo che cosa succede. Fino a oggi, almeno, è quasi sempre andata così.
Dove scrivi? Scrivo in casa, preferibilmente la mattina presto, in camera da letto o in sala da pranzo. Per me è fondamentale che l’ambiente sia sempre lo stesso. Non sono uno di quelli che scrive in giro, nei bar, in mezzo alla gente. Ho bisogno della mia scrivania, del mio tavolo, dei miei posti prestabiliti per potermi dedicare alla creazione di altri posti.
Hai dei rituali di preparazione alla sessione di scrittura? Non ho dei riturali particolari, che io sappia. Molto probabilmente c’è qualcosa che tendo a fare sempre, prima di cominciare a scrivere, ma non sono sicuro di accorgermene. Forse mettere in ordine quello che c’è da mettere in ordine intorno a me, la stanza in cui mi trovo e la scrivania sulla quale mi appoggio, ma questo gesto non lo ricollego all’attività di scrittura nello specifico, perché vale per qualsiasi altra attività che mi richieda concentrazione. Non riesco a produrre nel disordine.
Ti imponi un numero di battute o raccogli quello che viene? Raccolgo quello che viene. Posso permettermi di farlo perché non mi sono ancora
approcciato alla scrittura di un romanzo canonico, bensì ho sempre lavorato sulla narrativa breve. Se un domani decidessi di scriverne uno, avrei senza dubbio bisogno di impormi una tabella di marcia più rigida e strutturata, meno affidata al sentire del momento.
Come hai iniziato? Ho iniziato a scrivere prima di cominciare a leggere. E credo sia stata una fortuna, almeno dal punto da un punto di vista creativo, perché sono rimasto per parecchio tempo libero da contaminazioni esterne e ho avuto modo di scoprire la mia dimensione espressiva più autentica sperimentandola in vari ambiti. Poi va beh, a un certo punto è arrivato il libro di un certo Raymond Carver, regalatomi da un amico che difficilmente sbaglia suggerimenti, e mi ha subito conquistato. Sono però molto contento di poter dire che non c’è stato nessun autore a cui mi sono deliberatamente ispirato, o dal quale ho ricevuto un’influenza evidente.
Che libro stai leggendo? Sto leggendo «Il Colibrì» di Sandro Veronesi, «Quiet» di Susan Cain e «Nove racconti» di Salinger. Difficilmente leggo soltanto una cosa alla volta. Mi piace aprire parentesi.
Andrea Tagliaferri
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 27 Novembre 2020