Il cetaceo preistorico di Palazzuolo
Il cetaceo preistorico di Palazzuolo
Se nella Marnoso-arenacea i macroresti di invertebrati (molluschi, echinodermi ecc.) sono assai poco comuni, quelli di vertebrati (pesci e cetacei) risultano addirittura eccezionalmente rari.
Scoperta – Nel novembre del 2008 il sig. Gianfranco Menghetti raccoglie nel Fosso di Visano presso Ca’ Martella una grossa pietra di forma vagamente cilindrica (altezza max 21 cm, diametro max 19,5 cm, peso 9,6 kg) che lo incuriosisce per la presenza, sulla superficie superiore, di quello che sembra tessuto osseo spugnoso. Il reperto, depositato presso il locale museo civico (ora Museo Archeologico Alto Mugello), viene “riscoperto” nel 2022 dal curatore onorario Alfredo Menghetti che contatta il dr. Marco Sami, responsabile del settore geo-paleontologico del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza (RA), per avere un parere sullo stesso.
Preparazione e restauro – Per permettere lo studio del resto, presso il laboratorio del museo faentino si rende indispensabile una sua lunga ed accurata preparazione. In un primo momento il reperto viene grossolanamente liberato dalla compatta matrice calcarea grazie all’utilizzo di martelli e scalpelli di varie misure mentre, per una preparazione più accurata, viene successivamente utilizzato un mini-scalpello pneumatico Dremel. La superficie ossea progressivamente liberata dalla roccia è consolidata con resine reversibili per restauro (Paraloid B-72 disciolto in acetone) mentre le porzioni ossee più fragili e/o lacunose sono state rinforzate grazie ad un particolare mastice reversibile a caldo utilizzato presso il Laboratorio di restauro paleontologico dell’Università di Firenze. In totale le operazioni di preparazione e restauro hanno comportato una settantina circa di ore di lavoro.
Studio – La complessa preparazione del reperto ha finalmente permesso di portare alla luce due vertebre (una completa e una lacunosa) di dimensioni medio-grandi inglobate in un nodulo calcareo assai compatto e ben cementato, probabilmente originatosi precocemente nel corso della diagenesi. È possibile infatti che i processi microbici legati alla decomposizione della sostanza organica dei tessuti dell’organismo, con liberazione di ammoniaca (NH3), abbiano incrementato l’alcalinità dei fluidi presenti nei pori del sedimento favorendo la precipitazione carbonatica in prossimità dei resti. Secondo il prof. G. Bianucci, paleontologo esperto di mammiferi marini dell’Università di Pisa, trattasi presumibilmente delle ultime vertebre lombari di un cetaceo adulto di medie dimensioni con probabile lunghezza di circa 3,5 metri: l’esiguità dei resti e il loro scarso valore diagnostico non permettono purtroppo di ipotizzare una classificazione più accurata. La natura erratica del ritrovamento non ha permesso di risalire con certezza all’esatto livello stratigrafico di provenienza ma l’omogeneità geologica dell’area di ritrovamento – con affioramento esclusivo delle torbiditi di mare profondo della Formazione Marnoso-arenacea – ha comunque consentito di datare questi fossili ad un momento del Miocene medio (Serravalliano) compreso tra circa 14 e 12 milioni di anni fa.
Infine, malgrado l’incompletezza e l’esiguità dei resti rinvenuti, va ricordato che si tratta di un evento rarissimo per l’intero alto Appennino tosco-romagnolo. Infatti, per quanto ci è dato conoscere, esiste un solo altro ritrovamento simile relativo ad alcune ossa fossili di cetaceo (“balenottera”?) recuperate nel 1995 negli affioramenti coevi della F.ne Marnoso-arenacea in località Occhio del Sole (Santa Sofia, FC).
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 3 maggio 2024