Il Mugello nel 1320, più ferro che fuoco!
MUGELLO – Da uno dei miei libri storici, per la precisione IL VISCONTE DI AMPINANA un saggio che mi ha dato molta soddisfazione rivelando a tutti per la prima volta un”GRANDE” dimenticato del Mugello antico, si recuperano altre notizie che riguardano la nostra valle perlomeno sorprendenti. Per esempio, dovete sapere che leggendo alcuni documenti notarili d’inizio Trecento redatti proprio dal nostro incredibile “visconte” e notaio, al secolo GIOVANNI DI BUTO da Ampinana, veniamo a sapere dell’esistenza di almeno due efficienti fabbriche di ferro sopra Vicchio; per la precisione, le zone citate sono quelle di San Lorenzo al Corniolo e Rasojo (ovvero Rossoio).
Era quello nelle fucine un mestieraccio che Giovanni conosceva bene, dovendo amministrare per i conti Guidi l’affitto di due rare ma importanti fabbriche identiche nel feudo di Raggiolo in Casentino (per chi non c’è mai stato, paese bellissimo quello, incredibile, fermo nel tempo). Per la precisione, i punti da prendere a riferimento in Mugello sono la chiesa di S. Martino a Rossoio, oggi isolata e abbandonata ma un tempo custode di preziosi reperti robbiani, e un mulino sul fiume Botena, detto Mulino della quercia che a quel tempo era di proprietà di un certo Manovello del fu Ugolino da Casole: uno del posto insomma, uno dei nostri rustici antenati. Da notare che la tradizione popolare, che cito spesso, ci viene anche questa volta in aiuto grazie all’etimologia dei toponimi. Mi rendo conto di avere appena scritto un termine che sembra il nome di una brutta malattia, ma non è così! Il luogo ha mantenuto l’antico nome di “Rossoio” ma anche “Rasojo”, ed entrambi i termini sono per noi indicativi. Il primo va considerato in riferimento al colore rosso di una certa terra arida e ferrosa della zona in cui nasceva a malapena al contadino qualche filo di grano stenterello, il secondo era probabilmente legato al “taglio” a lama, ovvero a “rasoio”, che era effettuato continuamente sulle rocce estratte.
Ma come avveniva in pratica questa lavorazione del ferro, all’epoca materiale davvero prezioso? E qui casca l’asino, nel Medioevo era una cosa complicata, ma per voi la faccio breve. Si cercava in zona una roccia con alta quantità di ferro (in natura il ferro puro non esiste, a meno d’inciampare in un…meteorite!). Nel Mugello e a Rossoio gli atomi erano presenti in rocce di magnetite, limonite e via dicendo. Si procedeva al taglio e al trasporto alla fabbrica (anche queste attività richiedevano tempo e grandi sforzi), dove si pestava la roccia come matti e poi a forza di fuoco e mantici si arrostiva, manco fosse una bistecca di manzo, dico io.
Purtroppo, il ferro richiede alte temperature per fondersi, la bazzecola davvero impossibile per quel tempo di 1536 gradi, e questo rappresentò il più grande ostacolo per le rudimentali fucine medievali, non datate di altoforni. Le fabbriche di ferro come quella mugellana adottavano allora un metodo che permetteva di arrivare alla bluma, una massa spugnosa del metallo che era poi rilavorata con un processo lungo per eliminare le scorie adottando la forza idraulica del Mulino della quercia; alla fine non si riusciva comunque a giungere alla purezza assoluta del metallo…. Una siderurgia complicata quella… per fortuna, i nostri antenati erano davvero gran lavoratori e molto pazienti, sicuramente molto più di noi.
Fabrizio Scheggi
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 8 luglio 2020