Pieve di San Babila a Sambavello
Sambavello è una splendida località del Mugello più orientale collocata a circa metà percorso fra Dicomano e san Godenzo, lungo il corso del torrente Dicomano.
La storia del luogo appare antichissima e intrisa di gesta leggendarie legate alla presenza dei Conti Guidi che ebbero per secoli il dominio opprimente sull’intera Montagna di San Godenzo.
In questo straordinario contesto epico e naturale si inserisce mirabilmente la storia e la presenza della superba Pieve di San Babila, forse uno dei templi più antichi del Mugello. Un luogo la cui identità primitiva appare oggi ancora praticamente ignota e rende plausibili ipotesi suggestive, non ultima quella delle sue origini, collocabili addirittura nell’epoca della prima cristianizzazione, quando i nuovi edifici del culto cristiano erano realizzati sulle rovine di strutture pagane o paleocristiane ben più antiche.
Una documentazione ancora incerta indicherebbe poi una ricostruzione del tempio verso la fine dell’XI secolo per volere della Contessa Matilde, la signora di Canossa rimasta a lungo fedele sostenitrice dei Guidi nella lotta contro l’Impero e infine devota praticante e donatrice di tutti i suoi beni alla Chiesa.
Narra ancora la leggenda che in quell’antica ricostruzione, la stessa Matilde avesse voluto impreziosire il luogo con un tesoro di verghe e monete d’oro, seppellendolo sotto l’Altar Maggiore, da usarsi al bisogno per il mantenimento della Pieve.
Un luogo di culto dal fascino singolare dunque, sospeso da sempre fra mito e realtà, caratterizzato da particolarità che hanno seguito il corso travagliato di una storia lunga e affascinante.
Anche il nome del Santo Titolare sembra appartenere a questa singolare raccolta di peculiarità identificative della Pieve, con rarissimi esempi di templi dedicati a San Babila, individuabili solo nella parte più settentrionale della penisola, ulteriore elemento che ne sottolinea i caratteri di unicità.
Altro elemento distintivo del tempio resta senza dubbio quella precarietà strutturale che ha accompagnato, con cadenza quasi ciclica, la storia dell’edificio, segnando periodi e momenti difficili nella vita parrocchiale e nel Popolo della Pieve, gente semplice e laboriosa, fortemente coesa e unita al destino della propria chiesa.
Nella prima metà del 1400 la chiesa era già cadente e la canonica inabitabile, tanto da costringere il pievano pro-tempore ad abbandonarla temporaneamente per rifugiarsi a Firenze. All’inizio del 600 erano riemersi gravi problemi di staticità tanto da dover intervenire con un restauro radicale, forse il più importante di sempre. Si rialzarono le coperture e si costruirono internamente due file di colonne unite da arcate a tutto sesto dividendo in tre navate la grande aula fino allora priva di qualsiasi elemento di spartizione.
Nel 1898 per volere del pievano Cesare Giovannini, sotto la guida di Luigi Del Moro, architetto regionale per la Conservazione dei Monumenti, la chiesa fruiva di un nuovo restauro che ne avrebbe elevato il pregio artistico, collocando l’edificio fra le strutture romaniche di culto più importanti di tutta la Val di Sieve.
Un ambiente sacro dal fascino straordinario, ricco di arredi che rilasciavano un impatto visivo notevole, secondo un’armonia degli spazi e dei volumi mai ammirata prima e che non si sarebbe mai più ripetuta.
Poco tempo dopo infatti, il 29 giugno del 1919, il terremoto che sconvolse il Mugello, determinava il crollo dell’antico campanile, che abbattendosi sul tetto della chiesa, la distruggeva completamente. Nel crollo rimasero danneggiate le tre campane, la più antica delle quali recava la data 1325 e il sigillo del Conte Guido da Battifolle. La “maggiore” fusa nel 1481, si sarebbe perduta per sempre, frantumata in 16 pezzi alcuni dei quali ancora conservati in canonica.
Ezio Cerpi fu l’architetto incaricato nella ricostruzione della chiesa e già nel 1924 il luogo di culto era restituito al suo popolo, anche se il completamento dei lavori si sarebbe protratto fino alla fine degli anni trenta del Novecento, restituendoci la struttura che vediamo oggi.
L’edificio è maestoso, coperto a due spioventi, con interno simile al disegno originale e a navata unica. Il paramento presenta un ordine regolare di bozze a vista che rispecchia l’aspetto del paramento esterno.
L’ambiente e semplice, privo del fasto che lo aveva contraddistinto in passato, anche se la purezza delle linee e la disposizione dei volumi, rilasciano ancora le atmosfere e il fascino dei luoghi di culto più antichi. Poche le suppellettili, con due altari laterali recanti le immagini della Madonna del Rosario e di San Giuseppe col Bambino, opere dell’artista Umberto Bartoli, lo scultore che ha realizzato anche lo splendido crocifisso ligneo che sovrasta l’Altar Maggiore.
Un luogo di culto dalla storia interminabile, radicato nell’animo mite di un popolo che ancora vi si riconosce e vi si avvicina con affetto, privilegio di un’eredità straordinaria e opera amorevole dei rettori che vi si sono avvicendati nel tempo; fino ai nostri giorni.
Scheda e foto di Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 19 marzo 2019