
BARBERINO DI MUGELLO – La pieve di San Gavino Adimari può ascriversi fra i luoghi di culto più belli ed importanti del Mugello. Collocato lungo la strada provinciale 8 che unisce Barberino alla frazione di Montecarelli, il complesso è adagiato su una piccola depressione naturale, circoscritta da una folta vegetazione che ne occlude quasi completamente la vista. Un effetto pesistico completamente diverso è invece percepibile dalla collina opposta che guarda la zona da ovest.

La strada che dal piccolo agglomerato della Ruzza sale a Dogana, offre infatti, scorci suggestivi sulla valle del torrente Stura e sui rustici casolari che punteggiano i pochi spazi aperti sulla collina, tra boschi di quercia e castagni. Poi d’incanto, la sagoma alta e massiccia del campanile di San Gavino, obbliga ad una sosta, ad uno sguardo più attento. Da qui si può cogliere appieno la bellezza e la maestosità della pieve, con la sua facciata severa volta alla riva sinistra dello Stura e riparata ad est dalla groppa del Cerracone.
Un luogo di culto unico, da amare e tutelare, che i secoli e gli ultimi eventi sismici hanno ormai compromesso nella sua staticità, rendendolo inagibile. Ritenuto in passato come il riferimento spirituale più importante per la zona di Barberino, esercitava la propria giurisdizione su una fascia enorme di territorio, comprendente le contee di Mangona e dello Stale. Architettura e peculiarità artistiche che lo distinguono, costituiscono un bacino culturale di valore inestimabile che non può essere perduto. Fortunatamente la presenza e l’impegno di un gruppo di accoglienza per i giovani che vi opera da dieci anni, ha permesso il recupero di gran parte della canonica, anche se il compito più difficile, resta senza dubbio, il restauro della chiesa, ormai estremamente bisognosa di un intervento conservativo. Il rinvenimento di elementi litici appartenenti ad un selciato romano che fiancheggia il complesso sul lato meridionale, lascia intuire le origini molto antiche dell’edificio, anche se le prime citazioni documentate risalgono al 1038 e al 1073, rispettivamente consultabili nel Fondo Diplomatico degli Olivetani e dei Cistercensi conservato nell’Archivio di Stato fiorentino. Nel Medioevo ne furono patroni i Cadolingi, gli Alberti e gli Ubaldini e proprio da un conte Adimaro degli Alberti sembra aver preso vita il nome e il titolo della chiesa.
Nella seconda metà del XIII secolo, al tempo del pievano Ubaldo, la pieve deve aver subito una prima radicale trasformazione strutturale. Una bolla pontificia del 14 novembre 1497, ne assegnava il patronato ai Medici che ne furono a lungo mirabili benefattori e sostenitori, offrendo anche l’opera di alcuni clericali della loro casata, che proprio in San Gavino ebbero il loro incarico pastorale. L’emblema mediceo compare ancora sopra l’occhio della facciata, sul campanile e all’esterno della canonica. I Medici furono promotori e finanziatori nella ricostruzione della pieve avvenuta dopo il disastroso terremoto del 1542. Il nuovo edificio fu riedificato impiegando parte dei materiali appartenuti alla vecchia chiesa di San Martino, rovinata a causa dello stesso sisma e probabilmente fu proprio quell’intervento a conferire al tempio una nuova fisionomia architettonica, con impianto a tre navate e l’ampliamento necessario alle esigenze del tempo. Quest’inedito aspetto della pieve si sarebbe conservato fino alla metà del XVIII secolo e al plebato di Giuseppe Maria Da Barberino che vi intervenne con un nuovo restauro, apportandovi quelle sostanziali modifiche strutturali e decorative tipiche del tempo, che ancora la caratterizzano.

Tutto l’edificio presenta esternamente un paramento di bozze di alberese a vista abbastanza regolare, che si riduce nella pezzatura in prossimità della copertura. Una disposizione diversa dei conci e l’impiego di materiali non originali, denunciano interventi di restauro eseguiti in tempi diversi e con tecniche inadeguate.

Sulla parete laterale destra, resta visibile un portale romanico tamponato con arcata in bozze di serpentino. Sull’area prativa adiacente il portale, è recentemente tornato in luce un ampio piano di calpestio probabilmente appartenuto agli antichi ambienti della Compagnia.

La facciata a capanna mostra tracce d’intonaco nella parte superiore; il portale di accesso ha trave modanata e stipiti di pietra serena. Sopra l’ingresso sono due ampie finestre laterali e l’imponente rosone tamponato. Questo grande elemento decorativo circolare (circa tre metri di diametro) tipico delle chiese romaniche, lascia ancora intuire sotto l’intonaco, parti del disegno a raggiera che lo caratterizzava in origine. Fu sostituito nel 1838 da un finestrone mistilineo, forse più funzionale ma di gusto decisamente meno elegante.


L’interno è al momento quasi completamente interdetto alla visita. Fino a qualche anno fa mostrava intatti i suoi caratteri settecenteschi, con aula a tre navate divise da cinque arcate per parte e decorate a stucchi marmorizzati.

Sei gli altari laterali, con mensole a sbalzo recanti dipinti del pittore pratese Gaetano Neri, fra i quali un Sant’Antonio abate nel deserto, San Carlo Borromeo e San Filippo Neri, San Giuseppe, San Francesco Saverio e piccoli indiani, San Proto e la conversione di Gavino e un’Annunciazione del fiorentino Cinzio Botti. Al Neri appartiene anche il dipinto murale con il Battesimo di Gesù dietro il Fonte Battesimale.

Sulla parete sinistra, accanto all’altare di San Gavino, è posta una lapide sepolcrale in pietra di esecuzione raffinata, minuziosamente descritta dal Niccolai nella sua Guida del Mugello e proveniente dalla chiesa scomparsa di Santo Stefano a Migliari, piccolo edificio di culto in dote all’omonimo castello dei Conti Alberti.

Al centro dell’opera è riprodotto uno stemma correntemente attribuito agli Alberti, conti di Prato, di Vernio e di Mangona, con la croce sovrastante un campo di fasce trasversali e sorretto da due draghi alati. Due draghi più piccoli, scolpiti negli angoli inferiori, hanno in bocca fronde di quercia che cingono la figura centrale. La cornice della lapide è decorata con un particolarissimo motivo a colombe stilizzate. Altre colombe compaiono scolpite fra le fronde di quercia e tutte insieme, secondo lo storico, potrebbero indicare l’età del sepolto. Le caratteristiche araldiche delle scudo riprodotto nella parte centrale della lapide, lasciano supporre una fra le riproduzioni più antiche dello stemma degli Alberti, suddiviso in fasce orizzontali (probabilmente d’oro e d’azzurro) e la croce dominante del Popolo fiorentino (rossa in campo bianco). Quest’ultimo elemento ci permette di datare la lapide ad un epoca probabilmente successiva di qualche decade al 1250, anno in cui il popolo di Firenze adottava quel vessillo come proprio simbolo identificativo.

Il presbiterio è l’unica parte della chiesa ancora visitabile, con la ricca cantoria provvista di un organo realizzato dal pistoiese Giovan Battista Pomposi nella prima metà del Settecento. Il palco ha fronte curvilineo, decorato con pannelli di finto marmo e sorretto da mensoloni intagliati. Insieme ai confessionali e alle ante che chiudono il Fonte Battesimale, costituisce parte dell’operato di Francesco Nardini, artigiano barberinese che contribuì al restauro settecentesco della chiesa.

L’Altar Maggiore conserva i caratteri di epoca preconciliare, arricchito da stucchi e fregi dorati. Dietro il ciborio si colloca un bel crocifisso ligneo databile al XVIII secolo, scolpito dal Pertici e dipinto da Gaetano Neri. Pur nella normalità della forma, la scultura mostra peculiarità inconsuete, con i piedi del Cristo non sovrapposti ma inchiodati separatamente, secondo l’iconografia sacra tipica medievale, ancora adottata nella seconda metà del XIII secolo.
San Gavino dunque, non solo luogo di preghiera e identità di un popolo intero ma anche retaggio di storia e di arte, contributo culturale di un Mugello antico, da tutelare, valorizzare e trasmettere al futuro.
Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 5 aprile 2021
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