SAN GODENZO – Poco prima di arrivare a San Godenzo, con i miei amici Franco e Piero ci fermiamo in località Ponticino, dove la strada per il Muraglione si fermò per decenni in attesa che l’aspra mulattiera verso il crinale, a forza di mine, venisse trasformata dai granduchi lorenesi in qualcosa di decente. I regnanti non erano solo lungimiranti, avevano la necessità di favorire i collegamenti con l’amata Austria. Imbocco insieme ai compagni una stradella e subito, non senza preoccupazione, incrociamo un gruppo di cacciatori che, però, ci rassicurano; la caccia al cinghiale è appena terminata. Meno male, io non ho le setole, però oggi mi ero vestito decisamente troppo di scuro. In breve, arriviamo al medievale Ponte del Cicaleto (XIV sec.); silenzio assoluto, eppure siamo poco lontani dalla statale.
Il ponte, seppur piccolo, è davvero stupendo, un sogno di architettura nel bosco, privo di spallette ma con potenti pietre sospese nell’aria come per magia, a evidenziare l’eleganza e la sobrietà della linea. Rimango affascinato, e la parola giusta che mi viene in mente è “miracolo”, anche perché ormai questi ponti sono quasi estinti. Prima di valicare il ponte, sulla destra tracce di viottolo salgono ardite verso un poggio “cipressato” dove probabilmente sono sepolti i resti del Palazzo dello Specchio che fu dei conti Guidi (XIII sec.), anche se oggi viene chiamato “lo specchio” un luogo più a sud-est, vicino alla statale.
Il palazzo deve il suo nome alle preziose vetrate delle finestre, usanza rara al tempo; chissà quale suggestione creò nei contadini vedere il sole riflesso “a specchio” sui vetri dell’edificio! Appena attraversiamo il ponte del Cicaleto ecco che appaiono davanti ai nostri occhi le sagome di mercanti medievali, contadini e cavalli, pellegrini e barrocci, bestiame di ogni genere. Stanno transitando insieme sul percorso medievale che sfila verso la montagna; in un ambiente incontaminato e selvaggio, incrociamo limpide cascatelle a deliziarci occhi, orecchi, cuore e mente.
Sotto i nostri piedi l’antica strada, piuttosto larga in origine (dai 2 ai 4 metri), sale ormai nascosta nel bosco biforcandosi verso Petrognano e Castagneto. Da lì si giungeva alla Colla dei Lastri, valico per la Romagna un po’ più alto del Muraglione (920 metri contro 907) ma più agevole e “diretto”. Poi l’antico viandante proseguiva sul crinale dalla Colla della Maestà fino a Monte Sinaia scendendo infine nel vallone dell’Acqua Cheta.
Questo, cari amici, era l’antico e importante percorso medievale legato a Guido Novello il giovane quando accolse il suo tutore-notaio, il grande Giovanni di Buto, nel Palazzo dello Specchio (cfr. il libro Il visconte di Ampinana). Questa era la strada percorsa da Dante quando se ne andò in esilio e anche quando tornò per firmare il famoso atto nell’abbazia di San Godenzo nel giugno 1302. Quell’atto fu scritto in punta di penna dal prezzolato notaio Giovanni di Buto, che il poeta aveva conosciuto a Firenze (altrimenti Dante, a mio avviso, quella firma antifiorentina non l’avrebbe mai messa). E… chissà, forse fu proprio su questo percorso medievale che avvenne il leggendario incontro tra Dante e i soldati fiorentini che lo volevano catturare. Incrociato il poeta, chiesero se avesse visto un certo Dante, e lui rispose svelto “Quando io c’ero, lui c’era!”. I militari non compresero e andarono via perplessi. Evidentemente, avevano mangiato pane e volpe.
Fabrizio Scheggi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 26 Gennaio 2020