Una storica inondazione a San Piero a Sieve
SCARPERIA E SAN PIERO – Le carte dell’Archivio di Stato di Firenze riservano talvolta delle sorprese agli studiosi di storia locale. Ho potuto leggere tra i documenti della Miscellanea Medicea (ASF, sc. 300, f. II) un’inedita testimonianza della rovinosa inondazione della Sieve avvenuta alle sette del mattino di mercoledì 13 ottobre 1758. Nel tratto che precede il ponte di San Piero a Sieve il turbine della piena abbatté le palizzate di protezione costruite dalla fattoria di Cafaggiolo e dal Monte di Pietà (quest’ultimo era proprietario della fattoria delle Mozzete). L’altezza del fiume arrivò quasi a 9 metri superando di quasi due metri il livello raggiunto dalla precedente alluvione (1745). L’impetuosa corrente superò i ciglioni che erano stati costruiti sul lato sinistro e si fece strada nei poderi, tenuti dai coloni Bini e Danesi, portandone via un margine di oltre dieci metri per poi allargarsi, come mai era successo, nel grande prato sottostante la villa oggi dei Corsini.
Dalla parte del paese l’acqua invase per un metro di altezza l’abitato della Macelleria, fece crollare il “casino” dei soldati situato vicino al ponte e dilagò a valle nella piana verso Cardetole.
Anche gli affluenti della Sieve si ingrossarono a dismisura. All’altezza di Fagna il Levisone ruppe gli argini e prese un nuovo corso guastando le coltivazioni e le gore dei mulini che rimasero per molti mesi inattivi.
A corredo della documentazione archivistica si trova una carta, che riproduciamo, assai esemplificativa delle conseguenze provocate dalle grandi piene che ciclicamente colpivano il Mugello e di conseguenza anche la città di Firenze (qui nel 1557 era rimasto in piedi solo il Ponte Vecchio perché, come ricorda un detto popolare,“l’Arno non cresce se la Sieve non mesce”).
Come ben illustra il geologo Giuliano Rodolfi (Il Mugello e la Sieve. Storia antica e moderna di un paesaggio che scompare, Ed. Il Filo, 2014, pp. 110-114) nella valle del Mugello il fiume aveva formato larghe anse e quando esondava tendeva ad allargarsi rilasciando dopo il riflusso sedimenti di vario tipo e grossezza (nella carta quest’area è contrassegnata come “greto”).
Dal secolo XVII, quando ormai l’attività agricola intensiva copriva ogni lembo del territorio coltivabile, si cominciò a indirizzare la corrente su un percorso più rettilineo e per questo vennero costruite barriere di legno (si veda nella carta la scritta “palaie”) che però non bastavano ad impedire l’erosione delle sponde. Il ripristino di queste difese era a carico dei proprietari “frontisti” (per lo più rappresentati dai fattori del patriziato fiorentino e degli enti religiosi) per cui non mancarono i litigi in merito ai confini dei rispettivi beni e a chi spettasse eseguire i lavori di regimazione.
Sin dal 1787 la fattoria delle Mozzete fu coinvolta in un lungo contenzioso, soprattuttocon i Padri del Monte Senario e i Conti della Gherardesca, che possedevano gran parte dei terreni sulla sponda opposta della Sieve, perché si era indebitamente occupato il letto fluviale. Nel 1730 fu chiamato a dirimere la questione Giuseppe Ignazio Rossi, perito dell’Ufficio dei Fiumi della città di Firenze che venne ad ispezionare la zona e stilò una lunga relazione (ASF, Capitani di Parte, numeri neri, 1142). Fu allora deciso che per oltre un chilometro dopo il ponte di San Piero, venissero interrati dei macigni riquadrati con l’incisione di un numero progressivo e la cifra della giusta distanza dall’alveo del fiume, che doveva avere l’ampiezza di 180 braccia (poco più di 100 metri). Fu così delimitato con precisione lo spazio dove era permesso a ciascuna delle parti in causa di piantare o lavorare collocando 17contrassegni (9 sul lato sinistro e 8 sul lato destro) che avevano come punti basilari il ponte, il prato della villa delle Mozzete, la vicina strada maestra, gli sbocchi dei torrentiCarza e Levisone e altri capisaldi nei campi dei Guasconi, della pieve di San Piero, dei Conti della Gherardesca, delle Monache di Cafaggiolo e di Francesco Medici.
In seguito a successive alluvioni le liti però si riaccesero. Secondo i legali del Monte di Pietà i nuovi straripamenti erano dovuti al fatto che in quel settore il fiume era “obbligato da un letto più vasto a riunirsi in un letto molto ristretto” e di conseguenza era costretto a “traboccare da ambedue le ripe superiori negl’effetti del Monte e dell’Imperiale Scrittoio”(come veniva chiamata la fattoria di Cafaggiolo).
Il 25 ottobre 1758 il magistrato granducale, acquisita una relazione tecnica in cui si accertava che entrambe le parti avevano indebitamente proceduto ad “acquisti di terreni posticci e piantate d’alberi d’ogni genere”, decretò che fossero ripristinati i confini indicati da Rossi nel 1730. Ai diversi proprietari fu imposto non solo di tagliare e sradicare le piante che ingombravano il corso delle acque ma anche di provvedere a lavorare “con zapponi e vanghe tutto il terreno acquisito, acciò che così smosso, spogliato di legname, resti più facilmente portato via dal corso del fiume e venga restituita al fiume la larghezza assegnatali [sic!] con dette linee terminatrici”.
La controversia venne così risolta. Ma le alluvioni della Sieve non ebbero fine e in altri centri (come accadde a Borgo San Lorenzo nel 1844) gli effetti furono purtroppo molto più catastrofici.
Adriano Gasparrini
© Il Filo – Arte e cultura in Mugello – 16 ottobre 2018