MUGELLO – Monte Giovi domina parte della valle della Sieve e contende alla catena appenninica il primato delle vette indigene. Nella storia dell’uomo, quassù, è stato tutto: tempio etrusco e oracolo romano, dalle sue pendici (il piviere di Acone) sono scese a Firenze due famiglie tra le più illustri e controverse – i Donati di Corso e i Cerchi, i Rockefeller della cristianità medievale – e non dimentico, affatto, il ruolo che la montagna ebbe negli anni bui dell’occupazione nazifascista, quando sulla cima e nei boschi si nascosero i partigiani. Le brigate che liberarono Firenze conoscevano bene il monte. Gli alleati vi scaricavano armi e viveri, vi affluivano le notizie sia dal Mugello che dalla città, sulla vetta ci si organizzava per combattere i tedeschi. Il monte conobbe atti di coraggio ed efferatezze indicibili. Sanguina ancora per le due stragi di civili che nel 1944 lo macchiarono indelebilmente.
Delle donne che parteciparono alla resistenza conserviamo pochi ricordi. Chi fossero davvero, il loro nome, la loro attività senza moschetto al piede. Quasi nulla. Ho sempre sostenuto che le donne, in una terra ricca di poderi qual era la Toscana, con gli uomini in guerra o alla macchia, furono decisive per il lavoro sporco dei partigiani. Curavano i feriti, rifocillavano, nascondevano, insomma si schierarono rischiando la vita, cariche di bambini e di vecchi.
Ecco, monte Giovi racconta la storia di due di loro. Nada e Oriana. La prima porta sigarette al suo uomo – Bube – e informazioni riservate alla banda di partigiani. È giovane, ha sedici anni, è bella davvero, è innamorata. È ribelle. Ha fatto una scelta di vita. Sarà lei la Mara di Cassola: la ragazza di Bube. È nata da quelle parti, a Pelago, conosce il territorio. Di lei si fidano.
L’altra, Oriana, di cognome Fallaci, è proprio la scrittrice, allora quattordicenne. A differenza di Nada, una donna già fatta, è poco più di una bambina, minuscola addirittura su quella bicicletta da adulti. Raggiunge il monte partendo da Firenze. Torna in città, destinazione torre dei Mannelli, in Ponte Vecchio, carica di bombe a mano, ‘ananas’ in gergo. Nascosti in cesti d’insalata. L’aspetta il padre, alla guida di un gruppo di partigiani social-azionisti. Ho chiesto a entrambe, anni fa, se si fossero conosciute. Mai, hanno risposto. Ognuna per la sua strada, verso la libertà.
Riccardo Nencini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 6 gennaio 2019