VICCHIO – Un prestigioso riconoscimento accademico è stato assegnato a Jacopo Lampeggi, vicchiese, classe 1993, studioso di storia romana. Gli è stato conferito infatti il Premio Nazionale CUSGR – Consulta Universitaria di Storia Greca e Romana – 2023, per la sua tesi di dottorato su Viri Perfectissimi. Nascita e affermazione di un’aristocrazia equestre da Marco Aurelio a Costantino unico imperatore (169-324 d.C.).
Si tratta di un lavoro che, pur affrontando un argomento già oggetto di precedenti ricerche da parte di altri studiosi, “ha il merito – recita la motivazione della commissione esaminatrice – di offrire una esauriente sintesi sull’origine ed il continuo sviluppo del titolo di perfectissimus e una densa analisi di un gruppo sociale dai confini variabili”. In effetti gli equites nel periodo arcaico della storia romana erano coloro che possedevano un cavallo e quindi che erano dotati una certa ricchezza.
Eques è diventato ben presto sinonimo di nobile, ancor più dopo che l’equus, il cavallo, aveva perso la sua funzione di status symbol; non a caso Jacopo fin dal titolo della sua tesi parla di aristocrazia equestre. In età più tarda, il II sec. d. C., quella su cui si concentra lo studioso mugellano nel suo lavoro, viene a delinearsi una gerarchia interna al ceto equestre, in base alla quale vengono attribuiti diversi incarichi e titoli, quali quello di vir eminentissimus, vir perfectissimus et al. Ecco proprio dei viri perfectissimi si occupa Lampeggi nel suo elaborato. Ho incontrato Jacopo Lampeggi all’indomani della cerimonia di premiazione, che si è tenuta sabato 20 aprile alle ore 11,00 presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Firenze, in via Laura 48, e gli ho fatto alcune domande per i lettori de Il Filo.
Jacopo, innanzi tutto potresti indicare le tappe rilevanti del tuo percorso di studi e di formazione?
Come tanti ragazzi mugellani, il mio percorso è iniziato tra i banchi dell’Istituto Giotto Ulivi dove mi iscrissi nell’allora indirizzo Classico, che purtroppo oggi non esiste più, ma che un giorno spero possa essere ricostituito. Dopo il diploma conseguito nel 2012, ho proseguito gli studi umanistici all’Università di Firenze conseguendo dapprima la Laurea Triennale in Lettere Antiche (2015) e poi quella Magistrale in Filologia, Letteratura e Storia dell’Antichità (2018). Conclusasi una breve parentesi da supplente nelle scuole superiori, ho quindi intrapreso la via del Dottorato di Ricerca che ho svolto all’Università di Torino dove, infine, sono diventato un Assegnista lo scorso Gennaio.
Cosa ti ha spinto verso lo studio della storia antica e di quella romana in particolare?
Oltre che alla mia grande curiosità, penso che il mio avvicinamento alla storia sia dipeso dal ruolo della mia famiglia e in particolare delle storie che fin da piccolo mi venivano raccontate sui grandi eroi della mitologia (Artù, Achille, Ulisse), ma anche sui terribili anni della guerra che i miei nonni avevano vissuto in prima persona. Cavalcando con la fantasia, l’interesse per gli eventi passati crebbe sempre più fino a che, intorno ai sette o agli otto anni, non iniziai a sfogliare la Storia a fumetti di Enzo Biagi che mio nonno teneva in casa. Fu lì che ebbi il mio primo vero incontro con la storia romana che da allora non si è più interrotto. Si parla spesso, riguardo allo studio della Storia nelle scuole Superiori, di tagliare e comprimere la parte relativa all’età antica, per dare più spazio a quella contemporanea ed in particolare al Novecento e ai primi anni del XXI secolo.
Sei d’accordo? E, se come immagino tu non lo sia, che importanza riveste oggi uno studio del passato che va dalla preistoria, alle civiltà dei fiumi, all’antica Grecia, all’antica Roma, fino, grosso modo, alla caduta dell’Impero romano d’Occidente del 476 d.C.?
Da parte mia, ritengo che una maggiore attenzione ai grandi eventi che hanno contraddistinto l’ultimo secolo sia importante per comprendere l’origine della nostra società e di quei valori democratici che con grande sacrificio sono stati conquistati dopo le grandi tragedie del ‘900. Se però è vero che tali temi non possono essere esclusi dall’insegnamento superiore per via dello scarso tempo a disposizione, d’altra parte non si può passare all’estremo opposto eliminando la storia antica o relegandola solo a certi indirizzi di studio. Essa è un patrimonio collettivo, la cui eredità trasversale supera la settorialità formativa che, purtroppo, va sempre più di moda. A suo modo, ogni civiltà ha influenzato il nostro cammino, portandoci a sviluppare una coscienza collettiva che altrimenti non avremmo mai concepito. E ovviamente non mi riferisco solo alla grande eredità della civiltà greco-romana: basti pensare alle scoperte geografiche dei fenici, alle conoscenze astronomiche dei babilonesi o più banalmente all’uso dei pantaloni introdotto dalle popolazioni germaniche…Ecco tutto questo rappresenta per noi un valore fondante che merita, nel rispetto delle tempistiche e dei programmi, di essere tramandato e discusso nel corso dei vari cicli scolastici e non solamente durante la scuola elementare, quando ancora non possediamo gli strumenti per comprendere chi siamo e da dove veniamo.
Da studioso di storia, sebbene dell’età contemporanea e quindi assai lontana da quella che ha attirato i tuoi interessi di ricercatore, sono fermamente convinto di come ignorare il passato renda molto complicato cercare di capire il presente e tentare di intuire ciò che ci aspetta in futuro. Pertanto ti chiedo, occuparsi di periodi storici tanto lontani da quello attuale può far correre il rischio di smarrire il rapporto dialettico tra passato e presente?
A prescindere dal proprio campo di interesse, credo che questo sia solo un rischio apparente poiché tutte le epoche, dalle più antiche alle più recenti, sono strettamente connesse da fili sottili che via via devono essere portati alla luce da un costante lavoro di riflessione. Infatti, senza una conoscenza critica del passato, non solo si rischia di perdere la memoria dei singoli eventi, ma anche la speranza di trovare il nostro posto in un mondo dinamico, che non può essere racchiuso negli angoscianti limiti di un “eterno” presente dove tutto si ripete e nulla cambia.
Un altro rischio che talvolta sento di correre, ricostruendo e cercando di interpretare la storia, è quello di subire il fascino degli eventi e dei personaggi oggetto di studio, rimanendone emotivamente coinvolto e quindi di non fare un buon lavoro storico. La senti anche tu la necessità di fare uno sforzo costante, di mettere in atto un impegno ricorrente di distacco dal tema e porre una sorta di diaframma di sicurezza che possa proteggerci dalla parzialità?
Come mi ha spiegato qualche tempo fa un professore italiano che insegna in Germania, si tratta di un fenomeno inevitabile; tutti noi quando ci approcciamo alla storia tendiamo a proiettare su di essa aspettative e “certezze” che derivano da una certa esperienza formativa. È un processo psicologico naturale che ci serve per modellare un esempio da seguire e al contempo un pilastro a cui appoggiarci. Purtroppo in questo genere di studi la realtà è molto più complessa di quanto non appaia nei manuali, perciò è sempre un bene tentare di astrarci dai ragionamenti tipici della nostra epoca per osservare le cose da una diversa prospettiva, più vicina alla realtà che stiamo esaminando. Naturalmente questa non è una garanzia di imparzialità assoluta (dopotutto siamo esseri umani), ma un buon senso critico e una sana collaborazione fra colleghi (specialmente di ambiti di differenti) può aiutarci ad ampliare la nostra visione d’insieme così da giungere alle conclusioni più appropriate.
Jacopo, tu sei un giovane di trent’anni, che naturalmente non vive solo di studio. Ecco, ti chiedo quali sono i tuoi interessi al di là della ricerca storica? Come passi il tuo tempo libero?
Per tutti coloro che amano lo studio, c’è sempre il rischio che la sete di conoscenza diventi una specie di ossessione. Studiare è sicuramente importante, ma quando l’attività diventa eccessiva non è un bene e si tende a isolarsi, avvitandosi su sé stessi. Di conseguenza credo sia importante trovare un proprio equilibrio che preveda delle valvole di sfogo. Personalmente mi ha aiutato molto la pallanuoto, sport che pratico da vent’anni e che spero di poter riprendere a Torino, ma anche attività più semplici come camminare o vedere un film rappresentano momenti importanti, che aiutano a staccare la mente da un lavoro che assorbe comunque una notevole quantità di energie.
Bruno Becchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 22 Aprile 2024