Alla scoperta di San Jacopo a Frascole e di San Martino a Poggio (Dicomano)
DICOMANO – Frascole è una splendida zona collinare in riva sinistra della Sieve poco a valle di Dicomano, un luogo dove la natura conserva intatto il suo carattere originale offrendo spazi coltivabili contenuti ma di grande efficacia per un’agricoltura di nicchia che sa offrire ancor oggi prodotti di eccellenza. Qui più che altrove in Mugello, la storia sembra aver inciso un solco profondo che dal recente passato si allunga a tutto il Medioevo, fino al misterioso e lontanissimo periodo etrusco. Molte le testimonianze architettoniche che scandiscono identità e tempi di ogni momento storico; dallo straordinario edificio ellenistico rinvenuto nella parte più elevata di Poggio San Martino, alla presenza di superbe ville signorili circondate da rustiche cascine, fino alla storia fascinosa di singolari luoghi di culto come San Martino e San Jacopo, chiese rurali non troppo distanti una dall’altra, collocate nella parte più elevata della collina.
I pochi resti delle mura perimetrali che disegnano la pianta di San Martino a Poggio, restano ancora visibili all’apice dell’altura, nel sito archeologico omonimo, collocati a strettissimo contatto con la parete sud dell’imponente struttura etrusca. Poco sappiamo della sua architettura originale se non il fatto che doveva essere munita di campaniletto a vela con due campane, come si evince da una carta redatta sul finire del Cinquecento dai Capitani di Parte Guelfa e conservata nell’Archivio di Stato di Firenze. Più incerti gli altri aspetti della sua identità strutturale, con una planimetria rettangolare appena leggibile dai pochi elementi lapidei ancora emergenti, orientata secondo l’asse est-ovest, tipico dei luoghi di culto più antichi. Di origine prossima alla metà del XIII secolo, la chiesa compare appena citata nei documenti del primo Trecento. Un inventario del 1468 la descrive poverissima negli arredi, dotata di un calice di stagno vecchio, una croce vecchia e due candelieri; fra le sue proprietà figurano due pezzi di vigna e quindici staia di terreno lavorativo. Caduto il suo ruolo di parrocchiale, sul finire del XV secolo San Martino diviene semplice suffraganea di San Jacopo a Frascole, rimanendo tuttavia primo riferimento spirituale di un vasto popolo. Nei secoli successivi il patronato fin’ora del popolo, sarebbe passato ai signori Poggesi, facoltosa famiglia del luogo, che l’avrebbe accudita periodicamente fino all’ultimo restauro avvenuto nel 1823, quando la chiesa era ormai identificata come semplice oratorio. Poi il rapido declino ed il crollo completo della struttura, sistematicamente depredata di ogni elemento lapideo tanto da rendere incomprensibile anche la sua corretta ubicazione. L’indagine archeologica dell’adiacente sito etrusco, compiuta negli ultimi decenni del Novecento, ha riportato in luce il perimetro dell’edificio e il piccolo sagrato, unica traccia ancora integra della chiesa.
Più in basso, collocata in posizione dominante a fianco di ruvide costruzioni medievali, si colloca la sagoma austera di San Jacopo a Frascole. La costruzione di questa chiesa viene spesso ed erroneamente indicata come conseguenza del crollo della precitata San Martino, ma non è così. In realtà le origini di San Jacopo appaiono prossime all’inizio del XIII secolo, quindi se non coeve addirittura precedenti qualche decennio quelle di San Martino. Di certo sappiamo che i titoli delle due chiese, furono uniti per decreto vescovile il 14 novembre 1468, assumendo San Jacopo il ruolo di parrocchiale, mantenuto poi fino al 1719, quando le fu definitivamente assegnato il titolo di pieve. La documentazione più antica relativa all’aspetto strutturale di San Jacopo è leggibile in documenti di metà Cinquecento, quando la chiesa era munita di quattro altari e insieme all’Altar Maggiore dove si custodiva il Santissimo, erano presenti anche l’altare della Concezione, quello di Gesù e quello di San Simone. Rari gli arredi sacri consistenti in pochi candelieri di legno e un crocifisso di gesso. Nel 1690 la chiesa subiva una prima radicale trasformazione. Tamponato il portale d’ingresso, si procedeva allo spostamento dell’Altar Maggiore sulla controfacciata opposta, invertendo di fatto l’orientamento del tempio, fino ad allora posto secondo l’uso antico. Sul fianco destro della chiesa era attiva al tempo la Cappella della Concezione, con la porta principale a levante, tre finestre e “un’udienza con sua inferriata” aperta sull’aula della chiesa per ascoltare la Messa.
Un altro importante restauro si sarebbe compiuto nei primi anni dell’Ottocento, con la realizzazione del coro, l’apposizione di un nuovo Altar Maggiore con stucchi e ciborio di scagliola e per la prima volta si muniva l’aula di un pulpito e di una bussola sull’ingresso. Un ambiente senza dubbio più decoroso che mostrava anche qualche arredo degno di nota, come il quadro di San Jacopo sopra l’Altar Maggiore e una “Madonna di terra della Robbia” all’altare della Concezione in Cornu Epistolae. A corredo dell’aula era anche la splendida Madonna col Bambino a fondo oro attualmente esposta nella chiesa di Sant’Antonio a Dicomano. Esternamente si erano aggiunte due campane sul campanile, traslate qui dalla chiesa di San Martino e praticamente ricostruita la facciata, sostituendo l’inconsueto prospetto merlato che la rendeva simile ad una piccola fortezza, più che a una chiesa.
Il terremoto del 29 giugno 1919 avrebbe cancellato per sempre questo antico luogo di culto, risparmiando tuttavia la torre campanaria con la sua cima cuspidata e le merlature, identiche nella forma a quelle che ornavano la facciata con linea orizzontale, prima dei restauri di inizio Ottocento. La chiesa fu ricostruita nel 1923 su disegno e sotto la direzione di Raffaello Franci, padre dei Frati Minori. Per l’innalzamento della facciata si usarono bozze di taglio regolare estratte dalla cava di Turicchi, apponendovi alcuni simboli sacri in bassorilievo.
Sull’angolo sinistro, sopra un decoro a rosetta, è scolpita la data di ricostruzione in numeri romani. Appoggiato al fianco destro della chiesa è un piccolo ambiente adibito a sacrestia, un tempo anche sede della Compagnia della Concezione. Coperto ad un solo spiovente non conserva elementi di rilievo se non una stretta finestrella nella parte posteriore.
L’interno della chiesa è ad unica navata, coperto a cavalletti, con due cappelle laterali scandite da archi a tutto sesto decorati a scacchi, motivo che si ripete anche sull’arco del presbiterio. L’Altar Maggiore è orientato verso il popolo e costituito da una semplice mensa di pietra sorretta da quattro colonne cilindriche.
Dietro l’altare, sulla parete di fondo, è collocato il tabernacolo in pietra serena per il Santissimo, finemente scolpito e con porticina di legno intagliato.
Sopra il tabernacolo si colloca un elegante Crocifisso opera del pittore Americo Mazzotta che offre peculiarità bifacciali e riporta sul retro l’immagine di un Gesù Risorto, esposto regolarmente durante il tempo pasquale.
Il Fonte Battesimale di marmo bianco è sistemato sulla parete sinistra in prossimità del presbiterio. Ha vasca circolare sorretta da una colonna cilindrica ed è sovrastato da un Battesimo di Gesù nel Giordano, eseguito dal pittore locale Paolo Galli nel 1967.
Sulla parete opposta, accanto all’ingresso di sacrestia, è una bella statua policroma dell’Immacolata Concezione.
Nella parete sopra la porta d’ingresso, è visibile un grande dipinto riproducente una Cena di Emmaus realizzato da Dino Fondagni nel 1985. Sempre accanto all’ingresso, è un elegante confessionale di legno forse databile al XVII secolo.
scheda e foto di Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 12 dicembre 2020