Badia a Bovino (Alboino)
VICCHIO – Intitolata a Santa Maria, la chiesa risiede lungo la strada provinciale 41 che unisce Vicchio a Dicomano, sul fianco destro della Sieve, in posizione leggermente rialzata, alle falde orientali del Monte Giovi.
Il complesso parrocchiale è raggiungibile da un breve tratto di strada in totale abbandono, precursore di una condizione deplorevole che interessa in parte l’edificio sacro e soprattutto la canonica, ormai cadente.
Eppure la storia di questo luogo ameno conserva note di elevato valore sociale e religioso per quest’angolo di Mugello, con citazioni che risalgono almeno al 1050, quando Arrigo imperatore, per rimedio alle proprie debolezze terrene, ne confermava il possesso ai monaci di San Miniato al Monte, dal quale ebbe il titolo di Badia. La chiesa appare citata ancora in una bolla di poco successiva, rogata da Alessandro II nel 1065 e nel 1110, il Pontefice Pasquale II la riconfermava ai padri di San Miniato, insieme ai terreni e le proprietà che le competevano. Nel 1269, Orlando abate di San Miniato, concedeva l’affitto della Badia con la sua corte, a Bonaccorso di Bellincione degli Adimari.
Nel novembre 1297, vista la sua posizione geografica determinante su quella viabilità commerciale che univa la bassa Sieve ai mercatali del Mugello, si commissionava al priore di Santa Maria a Bovino, la costruzione di un ponte in legname, da posarsi sulla Sieve in prossimità della Badia. Quel “moderno” adeguamento della viabilità locale, avrebbe generato un notevole incremento per le entrate del monastero, ottenuto dalle gabelle che i viandanti dovevano versare per il suo attraversamento. Parte di quel manufatto resta ancora visibile quasi di rimpetto alla chiesa, individuabile in un possente elevato di bozze di pietra su cui poggiava il ponte, ora adagiato sulla riva destra del fiume.
All’inizio del XIV secolo, i Bardi, signori di Vernio, vantavano grandi proprietà nel territorio di Dicomano, con altri beni posti proprio nella corte della Badia, alla quale pagavano regolarmente le decime, divenendo presto i benefattori più importanti del cenobio benedettino.
Una bolla di Gregorio XI, emessa nel 1374, toglieva definitivamente il patronato ai monaci di San Miniato, cedendo di fatto la chiesa al Vescovo di Firenze che la trasformava in parrocchia di campagna, suffraganea di San Martino a Scopeto.
Gli Adimari vi ebbero rettore Ludovico, nella prima metà del Cinquecento e dal 1564 furono unite a quella di Bovino, le chiese di San Donato a Villa e Santa Margherita alle Pozze.
In ogni epoca le rendite della chiesa ebbero notevole consistenza, tanto da renderla fra le più ambite della zona, questo fino al termine del suo percorso spirituale che si sarebbe concluso nella prima metà del 1990.
Una storia intensa, forse destinata ad essere dimenticata, che tuttavia non giustifica il degrado in cui versa l’intero complesso parrocchiale.
La canonica mostra infatti, caratteri di precaria staticità ma nonostante questo, alcuni scorci sugli interni, lasciano intuire un’elegante architettura sette/ottocentesca, forse meritevole di restauro.
Per la sua natura strutturale più robusta, la chiesa mostra invece un livello di conservazione appena superiore, comunque bisognoso di un rapido e radicale restauro. L’edifico di culto in stile romanico, è coperto a capanna e sormontato da un campaniletto a vela non originale, munito di due fornici e rispettive campane. Tutta la chiesa presenta un paramento esterno realizzato con bozze di alberese di taglio irregolare, caratterizzato da rifacimenti e interventi che hanno alterato l’impianto originale, soprattutto sulla parete sinistra dell’edificio, sulla quale si aprono anche piccole finestre che lasciano intuire la presenza di ambienti sottostanti il piano di calpestio dell’aula, oggi purtroppo non più praticabili.
Anche l’abside mostra una situazione di muratura tormentata, sicuramente determinata da troppi interventi di restauro o dall’impiego di materiale non adeguato. A fianco dell’abside si apre una finestrella di foggia singolare con stipiti e archivolto monolitici che in origine comunicava con l’interno della cripta, oggi non più accessibile.
L’interno è ad unica navata, coperto a capriate, con pavimento in cotto e un piccolo gradino che divide l’aula dal presbiterio. Due finestrelle contrapposte danno luce all’Altar Maggiore.
Sulla parete destra si apre un piccolo ambiente con volta a crociera un tempo adibito a sacrestia. Pochi gli arredi interni, con un gradevole affresco dell’Assunzione della Vergine di autore ignoto, posto dietro l’Altar Maggiore e commissionato nel 1756 da Cresci Boni, il rettore pro tempore.
Come si legge nella lapide posta sotto l’altare, a quest’opera furono aggiunte nel 1924 alcune decorazioni laterali e le figure di San Giovanni evangelista e San Luca, eseguite dal pittore locale Girolamo Becucci. Dello stesso autore la decorazione geometrica lungo le pareti e le figure murali sui due altari laterali, rispettivamente San Francesco a destra e San Giuseppe a sinistra.
Un ambiente semplice, relativamente povero, che tuttavia conserva la propria identità e bellezza originale proprio nella parte sottostante l’aula di preghiera, in quella cripta oggi inaccessibile e nascosta a tutti, che molti storici contemporanei non esistano ad assegnare all’epoca longobarda e a quella suggestiva affinità con il termine Alboino, forse il nome di un imperatore di quella stirpe che la costruì lungo il fiume in un’era dimenticata.
© Scheda e foto di Massimo Certini
© Il Filo – Arte e cultura in Mugello – 30 agosto 2019