Benedetta Manfriani, quando l’arte è poliedrica
BORGO SAN LORENZO – Eclettica ed impegnata, l’artista borghigiana Benedetta Manfriani ha al suo attivo mostre in Italia e all’estero, e le sue opere sono state esposte da Firenze a Siena fino a Berna, Milano, Parigi e fanno parte di collezioni private in Italia, Francia, Regno Unito, Svizzera e Stati Uniti. Un’artista che ha cercato di sviluppare le sue doti artistiche a 360 gradi, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alla musica. E che oggi si racconta a “Il Filo”.
Quando hai scoperto di amare l’arte? Da sempre. Con la passione per l’arte ci sono nata. Sono cresciuta nella fabbrica di mio nonno Augusto Chini, dove giocavo con la creta ed i colori. Ero affascinata da come la terra si trasformava in oggetti, che poi, messi nel forno, uscivano colorati e brillanti. Una magia.
Hai sempre seguito questo percorso? Diciamo di sì, l’arte ha sempre accompagnato la mia vita, ma il mio percorso di studi non è stato propriamente lineare per quanto riguarda la pratica artistica. Ho sempre esplorato linguaggi diversi: la fotografia, il disegno, la pittura, l’illustrazione, il video. Ho studiato iconografia bizantina durante l’Erasmus a Parigi, per poi seguire un corso di pittura e xilografia con Margherita Pavesi Mazzoni; ho studiato canto con Faye Nepon, ma la musica è una passione che nasce nella mia infanzia. Nel frattempo ho approfondito le tecniche della ceramica, non solo occidentali ma anche orientali, come il Raku.
Come hai scelto di sviluppare tutte queste arti? Insieme alla ceramica l’Iconografia bizantina è stata una folgorazione per me: un’arte simbolica, profonda, stilizzata e moderna. Mi ha letteralmente stregata. Poi però ho sentito il bisogno di andare oltre. È come se avessi imparato un linguaggio e a quel punto avessi avvertito il bisogno di farlo mio, uscendo dai canoni tradizionali di uno stile che ha regole molto rigide che sentivo la necessità di infrangere. Quindi sono passata alla xilografia, la prima forma di stampa, nata in Cina nel ‘600. Non si tratta solo di disegnare ma anche di scolpire, in quanto la si realizza scavando nel legno e poi imprimendo la forma nella carta grazie all’uso dell’inchiostro. Anche in questo caso ho sentito il bisogno di far mia questa tecnica “contaminandola” con i colori dei pastelli, dell’acquerello, della tempera. È come disegnare con una scultura. Successivamente mi sono interessata alle sculture/installazioni multimediali legando l’opera al suono, altra dimensione per me fondamentale.
Quali sono state le tue più grandi soddisfazioni? Sicuramente la mostra all’Istituto degli Innocenti a Firenze. È stata un’esperienza bellissima. Realizzai un albero interattivo, mobile, insieme a “Tempo Reale”, il centro di ricerca e produzione musicale fondato da Berio. La particolarità di quell’istallazione è che toccando i rami l’albero produce dei suoni. Era fantastico vedere i bambini, ma anche gli adulti, giocare a scoprire quest’opera. Sembrava un incantesimo. In realtà devo ammettere che anch’io mi sono divertita. Comunque è questo il riconoscimento di cui ho bisogno, non tanto un premio quanto l’emozione nei volti di chi osserva ed interagisce con le mie opere. Anche con la musica è lo stesso. Non sono i ruoli da solista quelli che mi rendono più felice, ma quando canto con il coro “ConFusion”.
Cos’è l’ispirazione per te? Gli inglesi hanno un detto, secondo me, molto vero: “Il genio dell’arte è 1% ispirazione e 99% traspirazione”. Fondamentalmente vuol dire che c’è un’intuizione che ti visita e poi tanto, tantissimo lavoro e passione che si esprime… in lavoro. Poi può arrivare in qualsiasi momento, per me l’ispirazione arriva quando vado a dormire e lascio che cresca dentro di me, come una specie di gravidanza.
Com’è la vita di un’artista? Bella! E anche molto faticosa, molto difficile. Richiede una tenacia fortissima ed una grande dedizione. La cosa fondamentale è l’amore, per quello che si fa, per gli altri, e che deve andare oltre al riconoscimento. È una parte di te che non può essere cambiata.
Parlaci dell’istallazione che presenterai per “Buongiorno Ceramica” (articolo qui) a Borgo San Lorenzo. Sono rimasta molto colpita e addolorata da tutte queste vite spezzate in mare. Un male causato in gran parte dall’Occidente. Credo sia necessario prendersi la responsabilità di ciò che il nostro mondo ha provocato. Al di là di questo credo che, come esseri umani, sia semplicemente doveroso occuparsi di chi vive in condizioni difficilissime e che cerca solo una speranza ed una vita diversa. Anche noi avremmo potuto essere nati in un paese in guerra, non avere futuro, speranza e libertà. L’opera si compone di seicento ciotole, un numero che non ha altro significato se non quello della quantità, e l’ho realizzata nel corso di un anno. Un lavoro lungo, quindi, che non ha coinvolto solo me ma anche chi ha contribuito con il suono e la postproduzione del video alla sua realizzazione. Le ciotole sono tutte fatte a mano, diverse ed imperfette. Sono aperte, femminili e possono contenere ed offrire. È un’opera fluida e cangiante e la performance vi occupa un ruolo fondamentale. Ma non voglio offrire interpretazioni.
Di recente hai realizzato un’opera dedicata a Santa Cecilia, che sarà collocata nella chiesa di Sant’Omobono… Ho colto un’occasione per rendere omaggio a Domenico Bartolucci, cugino di mio nonno, un grande musicista e direttore d’orchestra. Santa Cecilia è la protettrice dei musicisti, e in qualche modo riguarda anche me. Inoltre l’immagine è ricca di simboli. In particolare amo il fondo oro che rappresenta l’appartenenza alla dimensione spirituale.
In Sant’Omobono eri già presente. E’ tua, se non erro, la Madonna posta sull’altare. Ce ne parli? Quando fu restaurato Sant’Omobono, mi fu chiesto di dipingere una Madonna. A quei tempi mia nipote era una ragazzina e il suo bel volto mi ricordava le Madonne della pittura senese del Trecento. Così è stata la mia modella. Una cosa che, forse, non ho mai detto riguarda la posizione delle sue gambe. Le ginocchia sembrano “strane”, perché l’ho dipinta con una gamba incrociata sotto il ginocchio dell’altra gamba: la mia stessa posizione quando tenevo in braccio le mie bambine. Volevo, infatti, che avesse una posizione naturale e che non stesse nella classica posa statica. In ogni caso, per me è un grandissimo onore che quella tavola sia esposta lì, indegnamente, dove prima era collocata un’opera di Giotto, la Madonna ora conservata nella Pieve.
Irene De Vito
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 maggio 2018