Eia Eia Alalà
In pochi lo sanno. Nel cimitero di San Piero a Sieve spicca la tomba del dottor Giunta, il ‘dottoraccio’, fisico prestante, barba rossiccia, si dice sciupafemmine. In sodalizio con la marchesa Marianna Cambray-Digny governò il paese senza tanti complimenti. Del resto, medici e nobiltà di terra allora facevano il bello e il cattivo tempo. Ma non è lui che ci interessa. È il figlio, Francesco, che va messo sotto i riflettori. Fu segretario del Partito Nazionale Fascista al tempo dell’ascesa di Mussolini. Proprio così. Benito capo del governo, Francesco capo del partito. Di più. Fu tra i più stretti collaboratori del duce, uno dei più intimi, uno dei cinque cui Benito si rivolge quando istituisce la polizia segreta, la Ceka affidata alla guida di Amerigo Dumini. Di più. Sarà proprio lui, in compagnia di Cesarino Rossi, a stilare le liste elettorali delle ultime elezioni semilibere in Italia, quelle del 1924. Insomma, un fiduciario.
Francesco è nato quassù. La sua vita è la fotografia dell’uomo del secolo nascente: attratto dal futurismo, patriottico, antibolscevico, violento. Fu volontario nella Grande Guerra, seguace di D’Annunzio nell’avventura di Fiume, un ardito della prima ora, pugnale e bomba a mano. È nato quassù ma visse soprattutto nel nord-est, a Trieste. Fallito l’assalto all’hotel Bristol, a Roma, nel 1919 (vi risiedeva il presidente del consiglio Nitti), preferì abbandonare la capitale e cercare fortuna in una terra di confine. La migliore per un professionista della bastonatura permanente. Forte dei finanziamenti degli industriali locali, si annunciava con il motto ‘Pronti a uccidere, pronti a morire’. Ai fasci aderì naturalmente. Era la sua natura. Tenne nel mirino slavi e socialisti. I morti dell’hotel Balkan sono opera sua, tra i primi nella bufera di azioni punitive promosse dalle squadracce fasciste. Sarà a lungo deputato, un fedelissimo del duce, un convinto sostenitore dell’Idea. Un uomo di fede che non si pentì mai delle sue gesta, nemmeno dopo la caduta del fascismo.
È durante le settimane drammatiche del rapimento e dell’omicidio Matteotti che il Giunta fa sentire la sua voce. Nessuna resa, nessun patteggiamento, nessuna ammissione di colpa. Gli altri si preoccupano, sono titubanti, si nascondono. Lui no. Si espone definitivamente. Con Curzio Malaparte sarà tra i più attivi nel promuovere la ‘seconda ondata’ di manganelli e olio di ricino. O con noi o contro di noi. Tertium non datur. Ebbe ragione. Sepolto Matteotti, Mussolini inaugurò la dittatura.
Ecco, accanto a Machiavelli che recluta fanti tra Barberino e l’alto Mugello, accanto ai ‘maire’ di Napo’, accanto ai poveracci dei moti del pane a Borgo, devi annoverare anche il Giunta. Troppe volte neghiamo la verità su ciò che non ci piace ricordare, ma il fascismo ebbe anche qui una lunga storia. E molte adesioni.
Riccardo Nencini
© Il Filo – Arte e cultura in Mugello – 21 ottobre 2018
Fotografia 25 anni orsono la tomba del Giunta a San Piero a Sieve. Scrissi un articolo e fui infamato,perchè avevo ricordato un fascista. Il bello è che fui infamato da una persona ( ormai è morto) che faceva la corsa a Borgo per prendere il gagliardetto nero per i cortei e le manifestazioni. Tanti saluti, Aldo Giovannini
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