Gustavo Benelli. Un chirurgo a Firenzuola tra periodo napoleonico e restaurazione
FIRENZUOLA – La famiglia Benelli giunse a Firenzuola da Montiano, nel grossetano, quando Luigi Benelli ricevette l’incarico di medico condotto. Luigi ricoprì la carica sicuramente nel periodo napoleonico (viene citato, in un documento del 1810, come facente parte del comitato di vaccinazione della comunità di Firenzuola) e anche dopo la restaurazione, coprendo questa mansione fino alla sua dipartita, avvenuta il 27 agosto 1824, all’età di 59 anni, come appare dal registro dei morti della comunità di Firenzuola redatto in quell’anno.
Vorrei cercare di fare un po’ di luce sul figlio di Luigi, Gustavo, del quale sono riuscito a trovare alcune di informazioni. Nacque nel 1795, la madre si chiamava Apollonia Fei; seguì gli studi, presso l’ospedale di Santa Maria Nuova, per apprendere la professione di chirurgo. L’inizio non fu dei migliori, colpito da vari malanni e vista l’inefficacia delle cure a cui fu sottoposto, venne consigliato dai medici a tornarsene a Firenzuola. L’aria del paese natio, il buon vitto e soprattutto (secondo lui) il consumo dalle dodici alle quindici tazze di caffè al giorno, lo ristabilirono completamente e poté tornare a Firenze a proseguire i suoi studi. Cominciò la sua opera professionale intorno al 1817, quando divenne secondo chirurgo aderendo ad un bando emesso nell’anno precedente.
Il 9 agosto 1819 si sposò con Anna Giovacchini di anni 24, figlia di Giovanni e Caterina Cavicchi, che di mestiere faceva la filatrice. Il 15 luglio 1820 nacque Ferdinando, il loro primo figlio, che morì in tenera età; ne seguirono altri sette: un altro Ferdinando (22 gennaio 1822), Luisa Michela (18 dicembre 1824), Clementina Paolina (20 maggio 1826), Luigi Raffaello (23 agosto 1828), Maria Sofia (21 maggio 1830), Maria Giuseppa (12 marzo 1833) e infine Michele Giustino (20 gennaio 1835). Nel 1825, in seguito alla rinuncia di Antonio Bondi, assume l’incarico di primo chirurgo. Dal 1823 al 1841 sovrintende alla campagna di vaccinazione contro il vaiolo, provvedendo a vaccinare 1037 fanciulli fino ad 11 anni, e dichiarando, nel 1842, che nessuno dei soggetti regolarmente vaccinati aveva contratto questa infausta malattia.
Nel 1829 scrisse una memoria dedicata a Tommaso Carli, che fu anche gonfaloniere di Firenzuola. La pubblicò soprattutto per delle voci malevole che si erano levate sul suo operato “il decoro della professione, e lo zelo imparziale dimostrato nel lasso di dodici anni, in cui ho avuto l’onore di servire in qualità di chirurgo condotto questo estesissimo Vicariato di Firenzuola, tanto a benefizio del ricco, che del mendico, m’impongono assolutamente di giustificarmi presso gli Abitanti di detto luogo sugli addebiti postimi da alcuni (di essere stato cioè a divertirmi in luogo di assistere dei gravi ammalati), così ho riconosciuto necessario l’includere quivi la seguente Apologia, per dimostrare apertamente ai primi l’assurdità delle calunnie architettate dei secondi”. Dopo aver dichiarato di aver eseguito 21 operazioni per parti difficili, ce ne descrive dettagliatamente uno particolarmente complicato, affrontato da Anna, moglie di Giovanni Lepri, del popolo di Casanuova: la difficoltà, determinata sia dall’estrema grandezza della testa del nascituro e dal ritardo con cui era stato chiamato, fece sì che alla fine l’evento si risolvesse, purtroppo, tragicamente per il bambino.
Nel 1843 opera ancora a Firenzuola. Figura, come medico del paese, nella lista degli appartenenti alla Società di mutuo soccorso tra medici, chirurghi e farmacisti della Toscana. Viene citato anche in un articolo di tale dottor Marconcini, riportato sugli Annali medico chirurgici, vol. 10-11, di quell’anno, nel quale, il predetto medico, in una ricognizione fatta da quelle parti, afferma di aver osservato tre individui con una frattura a stella sulla fronte con mezzo pollice ciascuna di depressione, causata nei primi due da una sassata e nel terzo dalla caduta di un ramo di castagno. Il nostro dottor Benelli li aveva curati con cerotti unitivi e salassi, senza utilizzare il trapano e constatava, il detto Marconcini, che nonostante fossero passati molti anni, i tre godevano di ottima salute.
Nel 1868 lo troviamo medico chirurgo condotto a Galliano. Ciò appare da una memoria pubblicata sul giornale medico Lo Sperimentale, relativa un parto trigemellare di una tale Ester, moglie di Carlo Fusi, appartenente al popolo di Lucigliano, al quale aveva assistito.
Esercitò la sua professione per 55 anni come afferma lamentandosi per la bassa pensione e per le troppe tasse da pagare: “Un povero medico, senza beni di fortuna, con famiglia da mantenere, ed ottantun’anno sul groppone, dopo aver servito sulla sella per cinquantacinque anni come condotto e in paesi montagnosi, sopra l’annua meschina pensione di lire ottocento quaranta, che gli è stata assegnata dal municipio ove ha servito, dovrà pagarne cento venti all’anno fra ricchezza mobile, tassa di famiglia, certificato mensile di vita, porto e riporto di mandati, bolli ecc.. Chi ha firmato tal regolamento deve avere in petto non un cuore, ma il masso di S. Croce”. Afferma anche che con una casa a disposizione e il necessario per vivere non esiterebbe ad abitare in un posto sperduto di quell’Appennino, che in cuor suo ha sempre amato: “L’ottuagenario scrivente con un buon pollaio, una buona cantina, buon granaio, ed un oratorio nell’interno di una casa di sua proprietà, starebbe volentieri anche a Pianugoli, sulla cima degli Appennini del Mugello, a ricevervi la gran Giusta, alias la morte”.
Ormai ultraottantenne, nel 1876, dà alle stampe un volumetto intitolato: “Raccolta di proverbi, massime morali, aneddoti, ed altro”, nel quale si trovano, oltre a quanto annunciato nel titolo, anche alcuni ricordi autobiografici, dai quali abbiamo attinto. Il libro termina con alcuni versi intitolati: ”Compatimento al più che ottuagenario scrittore” nei quali descrive in maniera ironica gli argomenti trattati nella Raccolta:
Non est tota farina e sacco meo,
Come il nobil vedrà, vedrà il plebeo:
Di questa ve n’ha poca, ma molt’ore
E’ costato, e pazienza a me scrittore,
Per porre questo magro lavoretto,
Sotto gli occhi del pubblico intelletto,
Insiem riunito in Massime morali,
Aneddoti, Proverbi, e cose tali.
Evvi un elogio ancora a Lieo [Dioniso dio del vino] possente,
Che ravviva de’ vecchi spirto e mente:
E se nel conversar seco mi beo,
Questo è per me il cavallo Pegaseo
Che dal monte Elicona par che dica:
Poco o nulla abbisognan di fatica:
Le rime tue sconnesse, insulse e zoppe:
Degne d’asini star sulle groppe:
Apollo però lascia e corri a Bacco,
Ma non bere, ti avverto, da vigliacco:
Che se in vecchiaia ber mostri desio,
L’ultima poppa è questa, affè di Dio!
Cesso alla fin di rendermi molesto
Con tanto cicaleccio, e qui mi arresto:
Sperando almen dal cuor del leggitore
indulgenza trovare, e non rigore.
La presenza di un medico, nella comunità di Firenzuola, fu stabilita perlomeno dagli statuti del 1418 “per le necessità e salute de’ corpi degli huomini del decto Vicariato”. Accanto ad esso era previsto anche “un buono et experto barbiere”, che all’epoca, oltre a tagliare barbe e capelli, si occupava di piccole pratiche chirurgiche come togliere denti, eseguire salassi, curare emorroidi ecc.; fu da inizio settecento che i chirurghi si divisero dalla professione dei barbieri.
Medici e chirurghi operarono parallelamente, immatricolandosi ognuno nella propria disciplina, dopo aver frequentato un severo corso di studi. In Toscana si tentò la riunione delle due arti in un unico corso accademico nel 1840, anche se qualche anno dopo si tornò, per molti anni ancora, al vecchio regime, poichè il cambiamento non aveva dato i risultati sperati. In sostanza a Firenzuola fu mantenuta la presenza di un medico e di un chirurgo dal XV secolo all’inizio dell’ottocento quando, esattamente nel 1816 venne bandito un secondo posto di chirurgo condotto. La procedura per il reclutamento era regolata da norme e obblighi precisi e attraverso un bando pubblico.
Innanzitutto si prediligevano i matricolati anche in medicina, nel caso non fosse stato possibile eleggere alcuno con tale qualifica, si sarebbe passati all’elenco dei matricolati solo in chirurgia, entrambe le matricole dovevano essere certificate dal collegio medico chirurgico della Toscana. La domanda di partecipazione doveva essere presentata alla cancelleria comunitativa, allegando i diplomi di matricola e di abilitazione ad esercitare nel Granducato di Toscana, e le carte attestanti la buona moralità. Per la nomina si procedeva ad una sorta di votazione chiamata squittinio, che consisteva nell’imborsare, in una sacca, tessere di diverso colore, a seconda se il votante era favorevole o contrario alla nomina, a chi riceveva più voti a favore veniva dato l’incarico. Come stipendio era concessa una indennità di 1050 lire annue.
Il chirurgo era obbligato a tenere una cavalcatura a proprie spese; aveva l’obbligo di curare gratis tutti gli abitanti residenti e non, compresi gli impiegati regi e della comunità. Le visite gratuite si dovevano tenere dentro il castello di Firenzuola e a non più di un miglio di distanza da esso; oltre questa distanza, il visitato, doveva corrispondere al chirurgo la somma di lire 1. Le operazioni di bassa chirurgia erano gratuite entro la detta distanza, per quelle di alta chirurgia ci si doveva attenere ai tariffari vigenti; i poveri e i disabili che non potevano pagare dovevano essere comunque curati sia dentro il paese che fuori dal miglio predetto. Anche le visite fatte per problemi di salute pubblica dovevano essere gratuite. Il chirurgo era anche obbligato ad avere la residenza dentro le mura di Firenzuola, e ad aiutare il medico condotto nel suo servizio presso tutti i popoli della comunità, in caso di suo impedimento.
Il titolare della condotta aveva l’obbligo di comunicare almeno due mesi prima, la sua intenzione di lasciare tale incarico.
Per poter avviare alla professione medica anche le persone prive di mezzi economici, era vigente una borsa di studio dell’importo di 470 lire annue per la frequentazione della scuola di medicina e chirurgia annessa all’ospedale di Santa Maria Nuova. Era stata istituita con un lascito di Maria Maddalena Gargelli-Gaci e approvata con un sovrano rescritto in data 12 giugno 1819. Veniva conferita previo concorso, da parte del consiglio comunale, per un periodo di sette anni, a un candidato nato nel castello di Firenzuola.
Alla medesima famiglia Benelli apparteneva anche don Ferdinando, che nel 1857 iniziò la costruzione della nuova chieda del Covigliaio. Di lui abbiamo già parlato in un altro articolo (clicca qui)
Sergio Moncelli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 Marzo 2023