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Pietramala e i suoi “terreni ardenti”

FIRENZUOLA – “Pietramala è un piccolo villaggio che si trova alla più grande altezza della strada che mette da Bologna e Firenze. Alla distanza di poco più d’un mezzo miglio al di sotto del villaggio sul pendio del monte evvi un terreno, come un piccol campo, il quale mirato anche da lungi, vedesi coperto di fiamme, che sorgono all’altezza di alcuni piedi, fiamme leggere, ondeggianti, e di color ceruleo la notte, come s’accordano tutti a riferire gli abitanti di quelle vicinanze; in tempo di chiaro girono queste fiamme non si scorgono che assai dappresso, e appaiono assai tenue e rossigne”.

Con queste parole Alessandro Volta descriveva i famosi “terreni ardenti” di Pietramala, conosciuti più comunemente come “fuochi”, dopo averli visitati nell’anno 1780. Oggi sono ormai poche le persone che possono ricordare questo affascinante fenomeno, che per secoli e secoli ha costituito una caratteristica indelebile di Pietramala, piccola frazione del Comune di Firenzuola, situata proprio sotto il Passo della Raticosa, sul versante toscano, ad un tiro di schioppo dal confine con l’Emilia Romagna; non bisogna però stupirsi di questo se si pensa che ormai da un secolo le fiamme non sono più visibili, da quando cioè nelle zone interessate dai fuochi si cominciarono a trivellare pozzi per l’estrazione di petrolio e gas metano. Tale gas, uscendo dalle crepe dei terreni argillosi caratteristici della zona e incendiandosi durante i temporali a causa dei fulmini, erano all’origine dei cosiddetti “fuochi”, gas che viene ancora oggi utilizzato per alimentare automezzi dotati di appositi impianti che ne permettono lo sfruttamento con notevole risparmio da parte degli utenti (oggi forse non più cosi notevole…) e, cosa non trascurabile, una drastica riduzione dell’inquinamento atmosferico in genere.

In passato questi fuochi colpirono assai la fantasia della gente del posto, oltre ad incutere un certo timore, e furono oggetto delle più svariate congetture anche da parte dei viaggiatori stranieri che si trovavano a percorrere la lunga e faticosa via fra Bologna e Firenze, in particolare quel tratto che da Pietramala portava a Scaricalasino (l’attuale Monghidoro). Il nome stesso di Pietramala (letteralmente “pietra cattiva”) è, con ogni probabilità, dovuto proprio a qui fuochi i quali, ardendo nei suoi paraggi, intimorivano i viaggiatori (in epoca romana infatti l’aggettivo malus era solito indicare ogni cosa infausta e di cattivo augurio). Scriveva il Targioni-Tozzetti che attorno alle fiamme dei terreni ardenti si erano rivenuti in passato monete d’oro, idoletti e amuleti pagana, gettati probabilmente dai viandanti come doni propiziatori; era questo un atteggiamento tipico dei superstiziosi Romani, i quali credevano le bocche dei vulcani (per molti secoli si credette che i terreni ardenti costituissero la bocca di un vulcano nascosto fra le viscere della terra) spiragli dell’Inferno. In ogni caso, le prime descrizioni del fenomeno di Pietramala risalgono soltanto al XV e XVI secolo. Prima di allora la piccola borgata era soprattutto nota come animato posto di dogana, a causa della sua posizione di confine fra l’Emilia e la Toscana. Le sorgenti dei fuochi erano localizzate in tre differenti punti, tutti situati nelle vicinanze del paese, e conosciuti con il nome di Fuoco del Legno, Fuoco del Peglio e Acqua Buia. Sembra che ne esistesse anche un quarto, detto di Canida (oggi Monte Canda), che però venne occultato, pare, da una frana. Il primo di questi era situato subito sotto il paese, in un zona conosciuta ancora oggi con il nome di Vulcano, proprio a cagione di questi fuochi, ed era il più noto perché ardeva sempre ed era anche quello maggiormente visibile dalla strada principale. Nel ‘600, quando ancora i fuochi incutevano terrore, il Fuoco del Legno era denominato l’Inferno o Bocca d’inferno.

Ciò, pare perché i viaggiatori che si smarrivano nella notte finivano in precipizi per via di queste fiamme luminose che questi volevano seguire. Il Fuoco del Peglio era situato poco lontano da quello del Legno, nei pressi dell’abitato omonimo; questo era conosciuto col nome di Paradiso. Non è dato però a saperne il motivo. Anche questo fuoco era quasi sempre acceso e presentava gli stessi fenomeni di quello del Legno: la terra intorno a loro aveva un colore nerastro, era untuosa ed odorava di petrolio. Il Fuoco dell’acqua Buia era situato subito al di sopra del paese, ai piedi del contrafforte arenaceo di Monte Oggioli (Alpe di Monghidoro). La bocca di questa fuoco formava un piccolo bacino dove si raccoglievano le acque, che bollivano per la risalita del gas dal sottosuolo: a causa di ciò il fuoco era quasi sempre spento. Solamente in estate, quando il bacino era in secca, si formavano piccole fiammelle che si spegnevano al minimo alito di vento. Per quanto riguarda le cause di questo fenomeno, va ad Alessandro Volta, cioè a colui che scoprì l’elettricità, il merito di aver individuato la vera origine dei fuochi.

Non tutti sanno, credo, che si deve a lui la scoperta del gas metano: nel 1778 infatti, mentre camminava nei pressi dei canneti di Angera, sul Lago di Como, egli notò che dal fondo melmoso affioravano copiose bollicine di gas. Intuendo che questa “aria” potesse essere infiammabile, la raccolse e l’accese, scoprendo così quella che lui definì “aria infiammabile nativa delle paludi”, che i moderni avrebbero chiamato metano.

Volta si era recato a Pietramala nel settembre del 1780 e, nel piccolo albergo della borgata, aveva trasformato la sua stanza in un vero e proprio laboratorio chimico. Egli constatò sperimentalmente che il gas che si sprigionava dai Fuochi di Piatramala era analogo a quello da lui studiato due anni prima ad Angera.

A Pietramala il Volta ebbe occasione di perfezionare i suoi studi sull’Eudiometro, un apparecchio inventato dallo stesso Volta (1777) per determinare la quantità di gas presente all’interno di una miscela aeriforme. Questo preziosissimo strumento d’indagine, che il Volta applicò in un primo momento per l’analisi dell’aria, era costituito da un tubo graduato chiuso ad un estremità con un tappo di sughero attraverso il quale passavano due fili metallici (elettrodi); perfezionato in seguito da Gay-Lussac, Bunsen e Hoffmann, l’eudiometro di Volta è adoperato ancora oggi.

Lo scienziato studiò inoltre la possibilità di comprimere il gas metano nella canna di un moschetto e, per mezzo di una scintilla elettrica, incendiarlo ottenendo una micidiale forza di propulsione (la cosiddetta “Pistola Voltiana”). Bisogna comunque rendere merito anche a coloro che, come il Bijoernsthael nel 1772, sostenevano che la causa del fenomeno dei terreni ardenti andasse ricercata nell’olio di monte, cioè nel petrolio, che sgorgava continuamente dalle alture pietramaline. A quel tempo il rapporto esistente fra il metano e il petrolio scoperto molto tempo dopo a Pietramala non poteva certo essere conosciuto.

Dopo le esperienze di Volta e le intuizione di Bijoernsthael, sarebbe trascorso più di un secolo prima che l’affascinante fenomeno dei terreni ardenti venisse perfettamente compreso e utilizzato. I fuochi, come si è già visto, erano infatti dovuti alla fuoriuscita di gas metano dal terreno, gas che a sua volta ha avuto origine dalla distillazione naturale di piccoli giacimenti di petrolio situati all’interno della coltre dei terreni argillosi pietramalini (terreni che i geologi che hanno studiato per primi l’Appennino hanno chiamato “Complesso Caotico”); tutti i giacimenti metaniferi dell’Appennino Tosco Emiliano hanno questa origine, un origine diversa da quello ad esempio padano.

I primi tentativi di estrazione del petrolio si ebbero nel 1895, grazie ad una società di capitalisti con a capo il marchese Carlo Ginori. I lavori erano diretti dal tedesco Victor de Klobassa, già direttore e comproprietario delle miniere petrolifere della Galizia. L’impresa fu ben presto abbandonata, ma negli anni a seguire, fin dopo il secondo conflitto mondiale, si sono avuti numerosi tentativi di estrazione del petrolio nella zona, spesso coronati da successo. L’estrazione del greggio ha avuto però breve vita, non essendo quest’ultimo presente in quantità economicamente vantaggiose. Il metano presente in questi giacimenti viene ancora oggi estratto e utilizzato, come si è già detto, soprattutto per autotrazione.

Francesco Tonini, geologo
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 maggio 2022

BIBLIOGRAFIA
L. CARANDINI, “L’Universo”, vol.XLI, 1961.

S. CASINI, Dizionario Biografico Geografico Storico del Comune di Firenzuola, vol. II, 1983.

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