In campagna tra passato, presente e futuro
MUGELLO – Questa foto scattata poco lontano da casa mia mostra, concentrato in pochi metri, qualcosa che ha a che vedere con il Mugello passato, presente e futuro.
Sulla destra un bellissimo tabernacolo troneggia inerme nella campagna in attesa della sua rovina. Questo rudere solitario è sopravvissuto nei secoli a testimonianza della presenza dell’antica chiesa di S. Ippolito e S. Cassiano riconducibile al patronato dei Della Casa e poi dei Mei. Nel XV secolo era decaduta e governava solo alcune case, e per questo il suo popolo fu annesso a Santa Maria a Montefloscoli, in linea d’aria non poi così distante. Soppressa la chiesa e trasformata in cappella di sosta e preghiera legata alla pieve di San Cassiano in Padule, crollò a metà Novecento e ora è rimasta in piedi solo una frazione di parete dov’è appoggiato il barcollante tabernacolo a edicola.
Dotato di due eleganti colonne, basamento e architrave liscia con capitello, c’è un gradino che porta all’angusto interno, dove si può ancora ammirare quel che resta di un altarino in pietra sorretto da due mensole scalinate e sopra un affresco gravemente danneggiato di fattura grossolana che fa pensare a un artista locale del XVII secolo influenzato dalla scuola fiorentina. Dunque, questo è il triste esempio di un Mugello del passato che scompare.
Ci sono poi nella foto alcune case coloniche, fortunate perché non crollate ma solo “rimaneggiate”; eppure, nonostante la luminosa campagna intorno, a me fa tristezza vederle circondate spesso da recinti con cane mordace o magari piscina, con proprietari talvolta mentalmente distanti anni luce dal luogo dove pure hanno scelto di vivere. E questo proprio dove un tempo c’era un’aia rumorosa e piena di animali da cortile, la battitura, la vendemmia, dove si avvertiva un modo tutto speciale di affrontare la vita, con sudore e fatica ma anche con partecipazione.
Dunque, questo è il Mugello del presente che si trasforma. Infine, nella foto c’è pure una splendida fioritura di mimosa che, purtroppo, a me sembra il fantasma di un preoccupante futuro pieno di devastanti cambiamenti climatici; ma la mimosa una volta non fioriva a marzo? Ormai l’agricoltura è cambiata, la neve non c’è più e per le stagioni chiedete a CHI L’HA VISTO? Dunque, questo è il Mugello del futuro che preoccupa. Eppure, c’è qualcuno che tenta ancora di convincerci che il nostro futuro sarà speciale e migliore, ma non penso che si riuscirà a farlo mettendo ingombranti pale eoliche a deturpare i crinali o magari affidandosi all’intelligenza artificiale. Si dice che quest’ultima renderà la nostra vita facile, ma sarà davvero così? Resto scettico pensando, ad esempio, a una persona sola confortata da una modella supertop generata artificialmente invece che dall’abbraccio di un amico vero.
Ora, però, non voglio imbarcarmi in ragionamenti complicati, anche perché non conosco bene l’argomento; apparirei perlomeno superficiale. Vi voglio però raccontare almeno un piccolo aneddoto vissuto personalmente. Alcuni mesi fa un mio amico, come me “diversamente giovane” (oggi si usano questi neologismi, pensando che il rispetto stia nelle paroline anziché nei fatti), mi telefonò eccitato. Mi disse che mediante un’applicazione di intelligenza artificiale aveva composto una poesia sul periodo in treno tra amici pendolari. Il mio amico di poesia non capiva un accidente, ora stai a vedere era diventato Leopardi anche lui! La lessi e a dire il vero non la trovai nemmeno brutta, ma c’era qualcosa che non mi convinceva, era come se mancasse qualcosa. Frugando nei ricordi e nelle emozioni provai a scriverne velocemente una anch’io sullo stesso argomento, e venne fuori così:
Giornate uguali di sguardi sempre uguali,
riti e fantasmi che ripetevano
tra sferragliar di rotaie e scintillio dell’alba,
stazioni intraviste e ricordi perduti.
Così presto diventò oblio
quel tempo inesorabile
segnato da gioiose grida di dolore
e fili grigi sparsi sulle tempie.
Era la nostra trincea quotidiana
non guerra, ma battaglia
comunque da combattere.
E l’anima non rimaneva mai sola
nel nostro comune destino,
uguali in quegli sguardi uguali,
nel rotolare affannoso
di quelle giornate sempre uguali.
Poi le rilessi entrambe e finalmente compresi qual era il piccolo dettaglio mancante alla poesia artificiale costruita dal mio amico; per quanto cercassi, là dentro non riuscivo a trovare nessuna traccia del cuore.
Fabrizio Scheggi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 febbraio 2024