La chiesa di Sant’Andrea a Barbiana
VICCHIO – Il versante settentrionale del Monta Giovi conserva qualità paesistiche particolari, forse le più integre di questo modesto rilievo che si lascia circuire a lungo dalla valle della Sieve prima di abbassarsi a disegnare il limite della più imponente ed aperta valle dell’Arno.
Nonostante le quote poco elevate, l’area del Monte Giovi a sud di Vicchio si mostra infatti, come un ambiente tipicamente appenninico, un tempo dimora di pastori e agricoltori che si adattavano ad un territorio aspro e non sempre facile da vivere. Una zona frequentata in ogni epoca ma che posa le basi più antiche del suo passato nel tardo periodo romano fino al Basso Medioevo. Ai numerosi toponimi di chiara matrice latina (Padulivo, Barbiana) se ne affiancano altri più recenti, tipici dell’era e delle attività medievali.
Il toponimo di Castello o Castellaccio di Barbiana, piccolo agglomerato posto a 541 metri di quota nella parte medio alta del rilievo, lascia intuire la presenza di una struttura fortificata, un luogo di avvistamento o di difesa tipico del Medioevo, ipotesi che trova conferma con l’esame dell’edificio principale del borgo, provvisto di archi tamponati, scala di pietra all’ingresso e una croce greca in rilievo posta al centro di un architrave interno.
Poco altro sappiamo delle vicende che caratterizzarono il passaggio verso l’era moderna, anche se l’identità storica più significativa e documentabile di questo esiguo lembo del Monte Giovi, è da riconoscersi in quegli eventi ben più recenti e particolari che caratterizzarono la zona per buona parte del Novecento.
In quest’angolo del Mugello resta vivo e palpitante il triste momento della Seconda Guerra Mondiale e delle epiche lotte partigiane che elevarono il luogo a simbolo della Resistenza Toscana contro il regime nazifascista. Di analoga intensità emotiva e di assoluta attualità appare inoltre l’opera straordinaria di Don Lorenzo Milani che relegato in un luogo così isolato per i tempi, riuscì a lanciare messaggi di un’inedita moralità cristiana che avrebbe sconvolto le coscienze di molti e creato scompiglio nella Chiesa cattolica cittadina.
Don Milani giunse a Barbiana il 6 dicembre 1954, una parrocchia di 120 anime sparse sulla montagna che la Curia aveva deciso di chiudere e che invece rimase aperta per l’esilio di quel prete ritenuto “scomodo.” Qui il giovane sacerdote fondò la sua scuola popolare il cui fine principale era quello di offrire ai poveri e ai figli dei più poveri l’istruzione necessaria per superare le proprie condizioni di vita, individuando nella conoscenza e nell’uso della parola i dogmi di ricchezza e libertà.
Fu autore di numerosi saggi che sconvolsero il pensiero religioso tradizionale, le idee politiche e principi sociali del tempo. Rimase a Barbiana fino al 1967, anno della sua morte e volle essere sepolto nel piccolo cimitero accanto alla sua chiesa, nel “posto” che lui stesso aveva acquistato fin dal suo arrivo.
Di una prima chiesetta sul Monte Giovi intitolata a Sant’Andrea abbiamo notizie dal 1244, quando il vescovo fiorentino Ardengo de Foraboschi ne confermava il possesso al Monastero di San Miniato al Monte. Presso quella rettoria si sarebbe costituita presto una fondazione monastica femminile, ancora attiva nel primo quarto del secolo successivo.
La chiesa è citata nuovamente nelle Decime pontificie del 1302 come Sant’Andrea a Curculiere o a Culvalieri, collocata in una posizione più elevata della montagna. Qualche tempo dopo sarebbe stata ricostruita più in basso, nel luogo di Barbiana, secondo la disposizione attuale e mantenendo ancora la dedica del Santo titolare.
Verso la metà del Cinquecento la consistenza demografica locale registrava valori esigui ma la chiesa di Sant’Andrea era ritenuta essenziale per la comunità, per questo consacrata dall’Arc. Antonio Altoviti nella sua Visita Pastorale del 1568 e quindi inserita nel piviere di San Martino a Scopeto.
Una lapide con stemma gentilizio posta negli ambienti inferiori, ricorda l’opera di ampliamento e ristrutturazione della canonica compiuta da Prete Francesco nel 1572, probabilmente uno dei periodi più floridi della piccola chiesetta di montagna.
Nel 1575 il patronato apparteneva alla famiglia fiorentina dei Bizzeri, la cui effige resta impressa in parti diverse della chiesa; corrosa dal tempo sulla chiave dell’arco del portale di accesso alla sacrestia, elegantissima alla sommità dell’arcata presbiterale, dove il simbolo è riprodotto nella pregevole cromia della terracotta invetriata, con il “cane rampante troncato d’argento e di nero, accollato da un corno da caccia di nero legato di rosso al collare.”
Dal 1589 il patronato appartenuto al popolo e poi al ceto nobiliare, sarebbe passato definitivamente alla mensa vescovile fiorentina.
L’edificio di culto che osserviamo oggi, mostra un aspetto probabilmente poco diverso da quello visibile al tempo di Don Milani. La facciata è lineare, coperta a capanna, con oculo circolare sopra l’ingresso, nel quale si riconoscono gli elementi classici della simbologia biblica riprodotti in un mosaico di vetro policromo.
Sul fianco sinistro dell’edificio si appoggiano i locali dell’antica Compagnia di Sant’Antonio Abate. Il campanile è coperto a padiglione e posto sull’angolo tergale destro. Restaurato al tempo di Don Milani, ha pianta quadrangolare ed è munito di quattro campane.
L’interno della chiesa è graziosissimo, accogliente e armonioso nell’estetica; la copertura è sorretta da capriate lignee ed il pavimento realizzato con mattoni di cotto posati a spina di pesce. Una fascia longitudinale in lastre di arenaria, segna il centro della navata, probabile reminiscenza di una primitiva pavimentazione.
Gli altari laterali sono due. Quello sulla parete destra è dedicato a Sant’Antonio Abate, eretto nel 1750 dal parroco pro tempore Domenico Maria Fabbri insieme ai confratelli della Compagnia. Nella nicchia centinata è il mosaico del Santo Scolaro realizzato dai ragazzi di Barbiana con piccole tessere di vetro. Acquisita la tecnica dopo un viaggio in Germania, i ragazzi lo composero seguendo il disegno fatto da Don Milani di un giovane monaco intento alla lettura.
Sulla parete di sinistra, in posizione speculare, è l’altare dedicato alla Madonna, restaurato nel 1865 al tempo di Don Antonio Conti. Sopra l’altare è possibile ammirare lo splendido affresco di scuola giottesca raffigurante la Madonna col Bambino, Santa Caterina e due Angeli, probabile residuo di un polittico rinvenuto sotto l’intonaco dallo stesso sacerdote. La lapide sotto l’altare ricorda che “con l’aiuto di P. Francesco Ciulli e Giuseppe Burberi, dopo aver rinnovato l’altare ed i suoi ornamenti, Don Antonio Conti restituì alla fede e all’arte, l’immagine famosissima della Vergine già dipinta da Giotto, poi abbandonata alle ingiurie del tempo e devastata dall’incuria degli uomini, ora restaurata da Ferinando Folchi pittore fiorentino.”
Il presbiterio è rialzato di un gradino e si conclude in una scarsella sovrastata da volta a botte.
L’Altar Maggiore eretto nel 1749 ospita un elegante tabernacolo marmoreo sorretto da colonnette cilindriche di gusto raffinato.
In dote all’altare era un’ Incoronazione della Vergine con i Santi Andrea e Lorenzo, dipinta nel 1721 ed attribuita alla scuola di Anton Domenico Gabbiani. L’opera trafugata nel 1993 e poi smembrata in più parti, è stata oggetto di una scrupolosa indagine del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Firenze che ha permesso il recupero di almeno quattro frammenti, l’ultimo dei quali raffigurante il Padreterno. Le altre sezioni recuperate fanno parte di una composizione ancora visibile nelle sale espositive del Museo Beato Angelico di Vicchio e restituiscono il fascino antico di questa pregevole opera devozionale.
Sulla parete sinistra del presbiterio è il tabernacolo per gli Oli Santi, mentre una struttura analoga con imposta di pietra serena finemente scolpita a motivi vegetali, è sistemata in posizione assai elevata sulla parete destra del presbiterio, probabile riutilizzo di un antico manufatto impiegato come finestrella o apertura verso i locali della canonica.
Entrando in canonica è possibile rivivere non senza emozione e con un filo di nostalgica tristezza gli ambienti della scuola di Don Milani, con il laboratorio e l’aula delle lezioni perfettamente conservati e ancora provvisti degli arredi originali.
Qui ogni oggetto è al suo posto, gli attrezzi ed i macchinari di lavoro, gli sci, i tavoli per lo studio, i libri e le carte geografiche, con il celebre motto “I Care” posto a caratteri cubitali su una porta di servizio come prosecuzione di un tempo e di un pensiero di enorme valore umano e sociale.
Tutte sensazioni ancora percepibili grazie all’impagabile lavoro di un gruppo di persone che dimostrano attenzione e amore per questo luogo particolare.
Nel 2004 si costituiva infatti, la Fondazione Don Lorenzo Milani, associazione senza scopo di lucro che si proponeva di diffondere l’opera e gli insegnamenti del priore di Barbiana. Oltre a questo obbiettivo certo non facilmente perseguibile, la Fondazione è impegnata nella conservazione dell’intero complesso parrocchiale e nella tutela di tutti i beni in esso conservati. Un dono impagabile offerto a tutta la comunità che ci permette di tornare in uno dei luoghi più suggestivi del Mugello, un luogo povero e inizialmente destinato all’oblio ma che l’intelligenza straordinaria di un uomo, avrebbe trasformato in simbolo di conoscenza e moralità, strumenti insostituibili per la dimensione etica e sociale di ogni uomo.
Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – gennaio 2024