La pieve di San Giovanni Battista in Petrojo
BARBERINO DI MUGELLO – Le luci calde e radenti del tramonto macchiano la facciata di un rosa ambrato, gli archi del portico ora sembrano mostrare tratti più marcati; esaltano eleganza e forme di un’architettura perfetta che sembra fondersi nel languido e scintillante abbraccio del lago di Bilancino. Quasi coccolata da uno scenario unico e irripetibile, la pieve di San Giovanni in Petrojo si mostra come una cartolina di altri tempi, ambita dagli appassionati di fotografia e dagli amanti del trekking che ormai la identificano come San Giovanni al Lago, eludendo significati e valore storico del toponimo originale. In realtà, San Giovanni in Petrojo costituiva un riferimento nevralgico nella viabilità medievale del Mugello.
Da qui transitava infatti, un’antica strada (forse di origine romana) che univa la Romagna all’area fiorentina e fiesolana. Superata la Sieve al ponte del Colombaiotto, la strada saliva con tracciato rettilineo verso la pieve, per proseguire in direzione del Trebbio e ridiscendere poi nella Val di Carza. Nel Fondo Diplomatico dell’Archivio Capitolare fiorentino, si conservano i documenti più antichi di questo superbo edificio di culto, datati al 1097, quando lo stesso esercitava la propria giurisdizione su un territorio enorme comprendente anche i plebati di Barberino di Mugello e Galliano. Nel Bullettone dell’Archivio Arcivescovile si conserva invece un documento del 1215 nel quale si legge di tal Rodolfo pievano di San Giovanni, tenuto a versare un censo annuo di otto soldi alla Mensa vescovile. Al tempo, oltre la congrua, il vescovo di Firenze esigeva omaggi e giuramento di fedeltà dall’intero Popolo di Petrojo.
Nelle Rationes Decimarum del 1276, troviamo la pieve tassata per venti libbre e dal 1343 le figuravano annesse molte chiese limitrofe tra le quali San Niccolò a Latera, Santa Maria a Campiano, San Michele a Lucigliano, Santa Maria a Collebarucci, San Jacopo alla Cavallina, e Santa Maria e Niccolò a Spugnole. Probabilmente in questo periodo andava concretizzandosi l’interesse fondiario dei Medici per questa parte del Mugello; ciò si evince dagli importanti acquisti che i banchieri fiorentini compirono proprio in quel tempo nella piana di Cafaggiolo e nello stesso Popolo di San Giovanni in Petrojo. Il fenomeno era destinato a crescere anche nella prima metà del XV secolo, quando ormai la casata figurava come la maggiore realtà signorile del plebato, cogliendo presto i favori della Mensa cittadina, fino ad ottenere anche il patronato della pieve. Proprio i Medici nel giugno del 1482 nominarono il primo pievano del loro privilegio in San Giovanni, che portava lo stesso nome della pieve, ossia Ser Giovanni Battista prelato di mastro Vezzano. Nel Cinquecento la pieve fu data in commenda; tra i pievani che la ebbero in cura in quel periodo figuravano i nomi di Girolamo di Bernardo Giugni (1542) e Ser Lorenzo Serguidi, nominato dallo stesso Cosimo I il 10 maggio 1564 e rimasto alla guida del plebato fino al 1579 quando fu nominato vescovo di Volterra. Per volere del Granduca Cosimo II, nel 1617 il patronato era ceduto a Odoardo di Dionisio Portinari che lo avrebbe ottenuto in cambio della completa autorità sui diritti dello spedale di Santa Maria Nuova. Il patto prevedeva che il patronato fosse tornato ai Medici solo dopo l’estinzione della famiglia Portinari. Alla scomparsa dell’ultimo discendente maschile di quella casata, tutti i diritti sulla pieve tornarono di pertinenza medicea, naturalmente trasferiti agli organismi granducali che ne mantenevano ancora la collazione nella prima metà dell’Ottocento.
Parzialmente restaurata qualche tempo fa, la pieve appare ancor oggi in tutta la sua imponenza ed eleganza, munita di un possente campanile a pianta quadrangolare che si appoggia all’angolo posteriore destro. La facciata è a capanna, decorata in gronda da un motivo di mattoni disposti a dentelli.
Nella parte superiore mostra un paramento in filaretto di bozze irregolari, con oculo centrale sormontato dallo stemma dei Medici e affiancato da due stemmi speculari della famiglia Portinari. Sempre nella parte superiore del prospetto, una diversa disposizione dei conci, denuncia un’evidente trasformazione della copertura che in antico doveva articolarsi su quattro spioventi con la navata centrale rialzata.
L’ingresso è preceduto da un porticato di costruzione più tarda, caratterizzato da sei arcate a sesto ribassato sorrette da pilastri quadrangolari e completamente intonacato.
All’aula si accede superando un elegante portale in pietra di gusto cinquecentesco che mostra al centro l’emblema dei Medici ormai quasi completamente sfaldato ma ancora intuibile nella sua simbologia classica. Un altro stemma mediceo appare invece sopra il massiccio portale di ingresso alla canonica che si apre in corrispondenza dell’ultimo arco di destra del portico.
L’interno è a tre navate, coperto a capriate e cavalletti che sostengono un’unica struttura a due falde. Le navate sono scandite da due file di colonne a sezione circolare, realizzate con bozze di alberese e capitelli di arenaria che sostengono sei arcate a tutto sesto. L’aula si conclude nella scarsella centrale non originale e in due piccole cappelle laterali. Al centro della navata principale, spostata sulla destra, è una sepoltura con lapide di marmo recante l’arme della famiglia Becchi; tre teste d’aquila con il becco alzato.
Da tempo non più officiante, la pieve risulta priva di qualsiasi arredo ed immagine decorativa; fa eccezione un bel tabernacolo per gli Oli Santi e il quattrocentesco Fonte Battesimale in pietra serena finemente scolpito e posizionato nell’angolo destro della navata adiacente l’ingresso.
Tuttavia in passato la pieve era dotata di alcuni oggetti di arredo di notevole pregio artistico tra i quali si distingueva un calice con ornamenti niellati, raro esempio di arte bizantina risalente al XIV secolo, un boccale con piatto di ottone e due croci astili rispettivamente del XIII e XIV secolo. Nella più antica, per la vigorosa modellatura del corpo del Salvatore e per la minuziosa esecuzione della barba e dei capelli, si riconoscevano le tecniche tipiche della scultura toscana adottate sul finire del XII secolo.
Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 9 maggio 2021