Le interviste dell’Ingorgo: a tu per tu con Daniela Matronola
BORGO SAN LORENZO – Tra i primi autori presenti alla lunga kermesse di Ingorgo letterario (articolo qui), terza edizione, troviamo Daniela Matronola che sabato 24 ottobre alle ore 17.0 al Caffè Valecchi presenta “Il mio amico” per Manni Editore con la partecipazione di Barbara Donatini. L’ingresso è gratuito la prenotazione consigliata e già possibile al link eventbrite.
Andrea Tagliaferri, scrittore e redattore di Ingorgo Letterario l’ha intervistata in anteprima per il pubblico del festival borghigiano.
Daniela Matronola (Cassino, 1961) vive e lavora a Roma dove si è laureata con la poetessa toscana Margherita Guidacci con una tesi su Tennessee Williams. Ha iniziato presto a recensire intervistare e tradurre autori italiani francofoni e anglofoni tra i quali Richard Ford. È docente di ruolo di Lingua e Letteratura Inglese alle Superiori dal 1987.
Critica letteraria militante, ha scritto per varie testate nazionali tra cui Alias, Diario della Settimana, Linea d’ Ombra, Nuovi Argomenti. Attualmente fa parte della redazione di Leggendaria e collabora a succedeoggi.it.
Nel 1997 è stata inclusa nell’antologia La sedia di paglia si è rotta del Premio Dario Bellezza per la Poesia Inedita I Edizione, tenuta a battesimo da Giovanna Sicari, Sara Zanghì e Luce D’Eramo.
Nel 1999 ha pubblicato Cartolina Da Parigi, l’opera fotopoetica con prosa finale (BlackHole/LineaGrafica, Roma), incoraggiata dalla fotografa Sebastiana Papa. Nel 2000 ha collaborato da traduttrice delle americane Emily Fox Gordon, Rachel Westzeon e Cynthia Ozick al volume Il Dovere della Felicità di Filippo La Porta e Alessandro Carrera (Baldini&Castoldi, Milano). Con l’editore Manni, ha pubblicato nel 2002 la raccolta Il luogo dell’appuntamento, insignita nel 2003 del Premio Alghero Donna per la Poesia Edita; e nel 2010, PARTITE. Romanzo in tre movimenti, insignito nel 2011 del Premio Città delle Donne (XII Edizione, Casa Internazionale delle Donne).
Con RP Libri di Rita Pacilio ha pubblicato Melamangiai nel 2018, e Tempo Tecnico nel 2019 – insignito il 27 giugno 2020 del Premio Prata Sannita / Anna Maria Ortese
Cos’è per te l’ispirazione (se esiste)? Questa faccenda dell’ispirazione è sempre controversa: c’è chi ci crede e chi come me non la demonizza né idolatra. Un fatto è certo: quando si ha in testa un’ossessione, un’idea fissa che cerca un varco per venire fuori e farsi scrittura magicamente succede, sempre, che poi da fuori, per così dire, arrivi qualche suggestione che puntualmente va ad incontrare proprio ciò che da un po’ ti gira in testa e vedi venirti incontro un po’ ovunque. E così si avvia una volta per tutte quel meccanismo che dà carne e sangue alla scrittura. Nulla che si possa afferrare – è proprio l’inafferrabile della letteratura. E tale è bene che resti. Senza tante cerimonie.
Hai un metodo di scrittura? Se sì, è cambiato negli anni? Metodo è una parola grossa. Piuttosto la chiamerei una ostinata mancanza di metodo – non per sistema ma proprio per avversione ad automatismi e ripetizioni. Nel tempo, con sguardo retrospettivo, potrei facilmente osservare che i materiali si formano e obbediscono a delle leggi cronologiche piuttosto naturali: ormai però non è Chronos a dettare legge ma una rielaborazione dei materiali che è il momento più sistematico della scrittura. Mi è successo spesso ma me ne rendo conto da non molto. Pochissime nel tempo le volte che, o i libri per i quali, questo non sia accaduto.
Dove scrivi? In genere davanti al televisore acceso. Non è solo un sottofondo che sta lì a farmi da moquette sonora: seguo tutto abbastanza attivamente, in un certo modo l’attualità o le serie crime o poliziesche interagiscono in modo vivo col processo della scrittura.
Hai dei rituali di preparazione alla sessione di scrittura? Nessun rituale: forse dal poco che ho detto finora s’intuisce che rifiuto ogni feticismo. O ritualismo, anche solo, semplicemente.
Ti imponi un numero di battute o raccogli quello che viene? Anche su questo terreno non mi impongo nessun vincolo o traguardo. Non devo per forza “portare a casa” chessò due paginette al giorno o 2000 battute almeno. Ci sono fasi variabili in cui la scrittura non è materiale ma tutta nella testa. Il punto alla fine, almeno per me, è questo: avere in testa ciò che poi si tradurrà in scrittura, anzi in composizione, fino a quando non è maturo il tempo di passare all’azione. Ciò implica anche una fase o più fasi di raccolta di materiali, letture, verifiche, indici e liste, cataloghi… sarà per questo che perdo un sacco di tempo. Non lo consiglio come “metodo” perché appunto è un “non-metodo”, da non rifare a casa…
Qual è l’autore che più ti ha influenzato? Ce ne sono molti: mi influenza sempre molto Margherita Guidacci, poeta fiorentina che ho avuto come docente all’Università, che ho letto tutta, e su cui ho anche scritto – e attraverso lei Virginia Woolf, James Joyce e TSEliot, ma soprattutto la Dickinson. Per dire, un po’, anzi parecchio, mi ha influenzata anche, più di Shakespeare autore di sonetti e abile tessitore di trame e risvolti dell’animo, molto John Donne, il poeta metafisico, proprio per la libertà nell’azione compositiva. Potrei poi dire Salinger, Pynchon e Foster Wallace, ma molto di più direi Flannery O’Connor. Ma poi finiamo a nominare le autrici e gli autori che ho letto (che ne so?, la Ortese la Ramondino la Morante ma anche, molto, Moravia e Pasolini) ma sarebbe un elenco infinito che vuol dire solo che come tutti anche io ho letto studiato incorporato assorbito nei modi e nei tempi più vari, ma questo non è dimostrazione di nulla: né di somiglianze reali né, torno a dire, di feticismi. Secondo me molto più mi influenzano i poeti e gli autori di prosa breve. E molto anche la musica. Le canzoni. Il pop-rock. E lì sì che scattano manie e feticismi. Perché sono figlia del mio tempo.
Che libro stai leggendo? Sto leggendo molto i poeti, perché me ne occupo in una rubrica settimanale in rete. E tra i romanzi, “Il più grande criminale di Roma è stato amico mio” di Aurelio Picca, e la riedizione (con molte variazioni, specie nel finale) di “Il sorcio” di Andrea Carraro. Poi in questo periodo leggo molto in francese: Carrère, BHL, Marie David, in vista, in questo caso, del prossimo romanzo, ambientato a Parigi nel settembre del 1982.
Andrea Tagliaferri
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 17 Ottobre 2020