MUGELLO – Il professor Paolo Bassani oggi ci racconta dellle migrazioni degli uccelli, che vedono il Mugello luogo di sosta, nelle rotte nord-sud.
Le migrazioni sono un fenomeno che è stato sempre presente sulla Terra da quando c’è la vita ed hanno avuto sempre un ruolo molto importante nel popolare le diverse zone abitabili marine e terrestri e nel diffondere nuovi prodotti dell’evoluzione in sostituzione di organismi ormai inadeguati alle nuove condizioni ambientali. Le modalità di spostamento, poi, sono molteplici. Me lo insegnò il docente di Geologia Regionale, Alberto Castellarin, che durante una lezione mi interpellò sulle modalità di migrazione delle Ammoniti, lontane parenti estinte dei calamari, e che al mio imbarazzato silenzio (mai avevo visto un prof. fare domande agli studenti) replicò con la mitica frase: “Lei conosce solo la migrazione podalica?”. In effetti la migrazione più conosciuta è quella dell’uomo che ha colonizzato il mondo partendo dall’Africa. L’ultima terra raggiunta è stata la Nuova Zelanda, ove i Maori arrivarono un paio di secoli dopo il Mille d.C. E per arrivarci l’homo sapiens ci ha messo circa 70.000 anni. Che potenza i piedi!
Certamente se si usano le ali si possono percorrere distanze lunghe in tempi minori. Ed è questa la peculiarità degli uccelli. Sappiamo che gli ultimi due milioni di anni sono stati interessati da glaciazioni anche molto potenti e che l’ultima è terminata circa 10 mila anni fa. Durante tutto questo periodo nel Mugello c’era un lago, che occupava una profonda depressione tra le montagne, fino a oltre 500 metri sotto il livello del mare (più profonda di quella del Mar Morto, per capirsi). Dalle montagne circostanti i corsi d’acqua portavano detriti a riempire quell’immensa buca, che 900 mila anni fa divenne così una palude. In quel momento il clima era caldo (periodo interglaciale) e la palude era ricca di vegetazione ed abitata da elefanti, ippopotami, scimmie, cervidi, bovidi e così via. Poi si sono susseguite tre glaciazioni, intervallate da periodi interglaciali, per cui possiamo facilmente ipotizzare che le rotte migratorie degli uccelli si accorciassero o si allungassero in relazione all’estensione dei ghiacciai.
Che vantaggio hanno gli uccelli nel migrare? Raggiungono territori dove possono riprodursi con sicurezza maggiore e con cibo più abbondante a disposizione dei pulcini. Ma la migrazione degli uccelli è una benedizione anche per i territori interessati per la grande massa di sostanza organica che vi apportano sotto forma di deiezioni, cadaveri, detriti vari e anche di cibo per gli scarsi predatori locali.
Dopo l’ultima glaciazione, quindi, l’Italia ha potuto riprendere il suo ruolo di ponte tra l’Africa e l’Europa del Nord. Ma nella penisola l’Appennino rappresenta una barriera verso la pianura padana e per superarla gli uccelli devono salire oltre i mille metri d’altezza per cui molte specie fanno sosta in Mugello, dove trovano una grande varietà di ambienti, da quelli umidi per gli uccelli limicoli, ai prati per oche, gru e cicogne, ai boschi per i colombacci, ai laghetti per gli anatidi, tanto per citarne qualcuno.
Il cuoco Chichibio conosceva bene le gru, che riposano su una gamba sola, e ancora oggi, in marzo-aprile, questi animali riempiono i nostri cieli, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Quando c’era più fame, come ai tempi del Boccaccio e fino alla metà del secolo scorso, l’arrivo di tanti uccelli diventava un ben di Dio, così si tendevano trappole per catturarli, studiando i tempi d’arrivo e di sosta e preparando ambienti adatti perché si posassero a terra. Nacquero così i paretai, insieme di reti che potevano coprire parti di terreno adeguatamente preparate con forme vegetali adatte ad attirare i bersagli, oppure i laghetti di caccia, attrezzati con ricoveri per i cacciatori. Mi piace ricordare la struttura del notaio Sandrini a Pesciola, nel comune di Vicchio, che è stata in funzione per un lungo periodo. L’attività è documentata dai registri delle catture, che riportano l’intensità dei passaggi delle varie specie, soprattutto anatidi, e le loro variazioni nel tempo, costituendo una preziosa fonte di informazioni.
In quel laghetto, in un freddo febbraio del 2000, ho perso una delle più importanti occasioni faunistiche della mia vita. Ero appostato lì in attesa con la macchina fotografica e avevo fatto qualche foto al paesaggio e molte alle anatre, soprattutto a una che si era messa quasi in posa davanti a me. Poi accanto a lei si posò un’anatrona grande più o meno il doppio. La guardai bene: il collo e la testa rossi, la gola bianca, il grande corpo grigio, il becco strano, diverso. La inquadrai nell’obiettivo ma lo scatto non ci fu: il rullino era finito. Lo avevo sprecato tutto per piccole anatre insignificanti e non potevo documentare un incontro di estrema importanza, come seppi qualche giorno dopo parlando con uno specialista ornitologo. Si trattava di una femmina di smergo maggiore, dalla livrea assolutamente inconfondibile: sarebbe stata la terza segnalazione in Italia, dato che questo uccello non frequenta la nostra penisola, vivendo tra l’artico e l’Europa orientale. E allora cosa ci faceva lì quella mattina di febbraio, oltre a dimostrare la mia stupida imprevidenza? Sicuramente durante il volo era stata vittima di un dirottamento provocato da venti tempestosi che l’avevano spostata di qualche centinaio di chilometri dalla sua rotta abituale, venendo a scodellarla sotto il mio naso. Con quale delusione la vidi andar via dopo pochi minuti! Purtroppo le occasioni perdute non tornano più.
Paolo Bassani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 6 agosto 2023