Rileggendo “Ragazzi di paese” di Luigi Lorenzi
SCARPERIA E SAN PIERO – Alle ancora fresche emozioni suscitate dalla pubblicazione di Raffaello Degl’Innocenti “La Paolina. Un paese una storia” e “San Piero a Sieve tra le due guerre” (clicca qui per la recensione su queste pagine), riguardante vicende legate alla Resistenza e alla Liberazione dal nazifascismo, si aggiungono quelle di un altro libro, che meriterebbe una ristampa: “Ragazzi di Paese” di Luigi Lorenzi, Guerra Edizioni.
Si tratta di un’ulteriore testimonianza diretta, come quella di Raffaello, lasciataci da un altro dei ragazzi della Formazione partigiana “Fanfulla”, che operò nella zona durante i giorni terribili che precedettero la Liberazione.
Era una persona deliziosa Lorenzi, come del resto Degl’Innocenti. Entrambi dotati di quel senso di empatia e rispetto, maturate in un percorso di vita non semplice, ma sicuramente formativo.
Luigi – per tutti “Luigino” – ci narra la storia della sua vita, dal 1925 fino al termine del secondo conflitto mondiale, ed il percorso verso la rinascita. Ce lo racconta usando la terza persona, ma mantenendo inalterati i nomi dei personaggi, i luoghi del paese e le situazioni vissute.
Luigi, il protagonista, era il nipote di Paolina Romagnoli, la “Paolina”, moglie di Eugenio Lorenzi, e mamma di ‘quel’ Luigi – zio dell’autore – che insieme a lei ed al fratello minore Raffaello, fu messo in carcere dopo una rappresaglia fascista. Luigi morì dopo 11 mesi di detenzione per le conseguenze del pestaggio, mentre dovevano trascorrere ancora 3 mesi perché la Paolina e Raffaello tornassero ‘liberi’, dopo essere stati scagionati dall’accusa.
Di questo e molto altro tratta il libro, come della cattura e della deportazione di Aldo Fedi, morto a Mauthausen e di Silvano Stefanacci, che perse la vita per la liberazione di Milano. Ai due caduti, fra l’altro, è intitolato il plesso scolastico di San Piero a Sieve.
Ma non si tratta soltanto delle testimonianze sui fatti, il che non ne sminuirebbe certo il grande valore. C’è la trasposizione del clima che si respirava in paese, al di là degli schieramenti politici, ed emerge il quadro di una comunità piccola, povera ma unita. Ci sono i pensieri e il sentire di un ragazzo cresciuto portando – seppure con orgoglio – il peso di un nome che, al solo pronunciarlo, rievoca una ferita mai rimarginata, impressa nel viso scavato di sua nonna Paolina e nel cuore di tutti i familiari. E c’è, storia nella storia, il fil rouge del racconto sull’amico Luciano, sofferente fin da adolescente di un disturbo che – complici anche i pregiudizi – ne aveva compromesso la salute mentale, fino a portarlo alla morte il primo marzo del ’48, mentre l’Italia e il nostro paesino stavano rinascendo dalla cenere. “Questa di Luciano è una presenza fondamentale – scriveva il Prof. Giovanni Falaschi nella postfazione del testo – che rappresenta il lato inspiegabile della vita, l’ingiustizia di cui essa è fatta e della quale bisogna prendere atto. L’altra ingiustizia, diversamente tragica, è rappresentata dal fascismo e dalla guerra”.
Non ci sono altre parole che possano rendere l’idea, bisogna leggerlo questo libro il cui titolo – sempre per dirla con Falaschi – , ha un inconfondibile sapore pratoliniano. E conosceremo ragazzi giovanissimi con le idee ben chiare sulla politica, determinati nel volere la fine delle ingiustizie, che per questo vollero diventare partigiani, mettendo a rischio le loro vite.
Ed è anche grazie a loro se, oggi, viviamo in una Repubblica fondata sul lavoro e su valori improntati alla democrazia e alla libertà, e che possiamo manifestare le nostre idee. In altre parti del mondo, anche non troppo lontane, questo non è possibile.
Elisabetta Boni
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 marzo 2024