
MUGELLO – I monumenti appartenenti al primo tipo – più celebrativi, e di forme classiche – vennero eretti tra il 1922 e il 1928; dunque negli anni di più intensa messa in opera dei monumenti italiani, quali ci sono testimoniati dalla “Domenica del Corriere” tra il 1921 e il 1925. L’erezione dei monumenti ai caduti si bloccherà intorno al 1930, dopo che nel 1927 il Ministro dell’Istruzione Pubblica, Pietro Fedele, in occasione del centenario dell’istituzione del primo asilo infantile italiano, aveva pubblicato un articolo, sul “Foglio d’ordini” del partito Fascista, intitolato “Non monumenti ma asili” (1); un anno dopo, anche una circolare ministeriale invitava le amministrazioni locali a limitare le spese per i monumenti commemorativi, chiedendo di impiegare i fondi raccolti dai comitati promotori in opere di pubblica utilità. I monumenti mugellani anche se vennero eretti nei primi anni del Fascismo, sembrano rispondere maggiormente alle motivazioni proprie del primo dopoguerra che condurranno all’esecuzione di monumenti ai caduti caratterizzati da espressioni cariche di forza e soprattutto di virilità. Per questo motivo, i nostri monumenti – come quasi tutti quelli italiani – non presentano un carattere passivo, per lo più costituito da un asse orizzontale dominante, come nelle sculture funerarie; ma un asse verticale, capace di dare un’immagine viva ed eroica della guerra. Ne abbiamo un esempio nell’obelisco di San Godenzo, il primo dei monumenti ai caduti della zona ad essere inaugurato; ma la medesima asse dominante verticale la ritroviamo anche nelle steli commemorative di Figliano; di Luco; di San Piero a Sieve; nel cippo eretto a Sant’Ansano; e nelle colonne innalzate a San Martino a Lubaco e a Ronta; e verticalmente si dispongono le figure sui basamenti e sulle gradinate dei monumenti di Barberino di Mugello; di Borgo San Lorenzo; di Vicchio; di Dicomano; di Pontassieve; di Molin del Piano; della Rufina; di Firenzuola, e di Marradi.
Queste forme mitiche volevano esser molto vicine ai sentimenti dei reduci e dei parenti dei caduti, i quali avevano sofferto in prima persona per una causa, che ora veniva innalzata a una gloriosa dignità nella quale si giustificava il sacrificio e il dolore. Questo fa comprendere la grande partecipazione materiale ed emotiva che accompagnò sempre l’erezione di un monumento. E spiega gli enormi sforzi che i cittadini anche del Mugello affrontarono per contribuire alle spese per i monumenti, e per la costosa operazione di riqualificazione delle piazze, come quella di Barberino di Mugello, di Vicchio, di Borgo San Lorenzo e di Dicomano, interamente risistemate prima di accogliere i monumenti nel cuore del paese o nei giardini pubblici, o, successivamente al 1922, nei Parchi della rimembranza. E giustifica le numerosissime recite e fiere di beneficenza per reperire i fondi di cui parla il “Messaggero del Mugello”: nell’organizzazione delle quali si impegnarono i comitati e molte delle personalità più in vista della zona. Lo stesso settimanale descrive le cerimonie di inaugurazione, come grandiose, col paese imbandierato e illuminato dalla mattina, le bande dei vicini centri abitati, e l’arrivo dei rappresentanti di varie associazioni, degli oratori, del sacerdote che benediceva l’opera e, a seconda dell’importanza del paese, anche di autorità eccellenti.
Gli scultori dei monumenti bronzei furono scelti senza concorso dai comitati. Si tratta di scultori che provenivano dall’Accademia di Belle Arti di Firenze: Alimondo Ciampi, Giovanni Giovannetti, Giuseppe Gronchi, Giorgio Rossi, Angelo Vannetti: uno mugellano, il Rossi, uno livornese, il Vannetti – reduce di guerra, mutilato –, tre di Firenze e dintorni. Essi danno un’interpretazione ogni volta diversa della morte dell’eroe pur avendo in comune il richiamo alla classicità a cui erano stati educati all’accademia, e al quale li invitava anche Ojetti, i cui pensieri sembrano animare le loro opere. Il critico infatti invita gli artisti ad ispirarsi alla tradizione di Roma, ai suoi trofei, alle sue are, agli archi, alle colonne e alle fontane, dove le sculture e le epigrafi su quelle architetture serene sono il segno più noto della civiltà latina. Anche nelle strutture architettoniche dei monumenti domina un materiale proprio della romanità e della classicità, come il travertino.
Così è nel monumento di Borgo San Lorenzo, eseguito da Giorgio Rossi, nativo di San Piero a Sieve, nel quale nudità di figure e architettura richiamano alla concezione classica della scultura monumentale: basti osservare sia la struttura in travertino, con al centro due colonne corinzie binate sorreggenti un’alta lapide, con la data d’inaugurazione del monumento, sostenuta da sfingi alate, sia i simboli scolpiti della mitologia guerresca classica, ovvero l’alloro, per la gloria e l’immortalità, oppure, come troviamo in altri monumenti mugellani, le foglie di quercia, per la forza e il coraggio, e le fronde di palma, per il trionfo e la vittoria. Tutto questo prepara nel monumento di Borgo San Lorenzo a contemplare il gruppo scultoreo, dove un soldato ha appena disteso il corpo esanime del compagno su di un’ara, in offerta sacrificale per la salvezza dei più: e la sua morte è “assunta in gloria”. Scorgiamo nelle figure, volti giovanili e regolari; e la bellezza della persona e del busto nudo viene idealizzata per diventare, così, segno di una grandezza interiore.

Giuseppe Gronchi, l’altro scultore dell’accademia fiorentina che si richiama al tema della “glorificazione”, eseguì, per il Mugello, i monumenti di Barberino, di Vicchio, di Galliano, di Firenzuola e di Pietramala, tutti andati perduti, tranne le parti lapidee del monumento di Vicchio, e quelle architettoniche del monumento di Barberino.
Il monumento di Barberino di Mugello (2) è caratterizzato da una struttura complessa, costituita da forme plastiche diversificate: la parte centrale, con la raffigurazione bronzea dell’Italia assisa sul trono con l’elmo in testa, ha un modellato rigido, ieratico, e teso ad esprimere il concetto grande e forte di Patria, per la cui difesa il soldato è stato disposto a sacrificare la propria vita per le generazioni future. Nelle due formelle laterali − con unità e coerenza di contenuto e di forma − troviamo un modellato più morbido, per significare sentimenti di affetto e di pietà: il distacco è espresso dal saluto che il soldato porge alla sua famiglia nel pannello di sinistra, e il dolore è rappresentato dal corpo senza vita del caduto, sostenuto dai compagni nel pannello di destra. La famiglia riveste un ruolo molto importante nel nostro paese, e questo forte legame viene messo in risalto anche in altri monumenti ai caduti.
Giuseppe Gronchi insiste sul legame sentimentale della famiglia anche nel monumento ai caduti di Vicchio (3), ma qui il discorso si fa più astratto: il fante, oggi perduto, si ergeva in difesa delle raffigurazioni della Patria e della Famiglia, simbolicamente scolpite nell’obelisco di travertino: la Patria, dalla testa coronata di alloro, e con la spada, e la Famiglia, dalla testa coronata di pampini e d’uva, e con la pala. Le difende una figura contadina, eppur nobile per gli intenti: contadina, nel corpo possente, nobile, nella posa delle gambe che richiama l’armonia dell’Apollo di Belvedere, e nel volto squadrato da quel dovere, da quel richiamo della Patria.


A questo stesso concetto Giuseppe Gronchi perviene anche con le due lastre scultoree scomparse, già sistemate attorno alla porta di Galliano (4), e separate dalla dedica lapidea. Infatti qui la figura della Patria, nella prima lastra, è difesa, nella seconda, da un soldato, nel cui torso nudo è la vitalità contadina unita all’idealità classica: e la glorificazione è demandata alla campana votiva del campanile, nella quale sono fuse le vicende dell’esistenza di quel soldato – la nascita, la giovinezza, gli affetti domestici –, perché risuonino nel paese e nella campagna per il quale egli ha donato la vita.

Se Rossi e Gronchi guardano a forme classiche e più formalistiche, altri artisti presenti in Mugello adottano un modellato “impressionistico”, e altri ancora nelle loro raffigurazioni presentano maggiore fedeltà al dato naturale e agli elementi esteriori del soldato, come gli elmetti, i fucili, le baionette, le giberne e l’abbigliamento militare stesso. Ne sono un esempio i soldati di Pontassieve (5) e di Molin del Piano (6), entrambi di Giovanni Giovanetti, e il fante di Dicomano, opera di Angelo Vannetti (7). I due fanti eseguiti da Giovanetti − rispettivamente nel 1924 e nel 1926 −, sono rappresentati nel momento in cui vengono feriti mortalmente, e sono caratterizzati da una composizione delle masse dinamica, ma equilibrata. Il fante di Pontassieve, è raffigurato mentre porta la mano destra al petto e con la sinistra sorregge a stento il fucile: in suo soccorso sta arrivando la Patria, che lo sostiene e gli porge la corona d’alloro e la statuetta della Vittoria. Il fante sta per passare dalla vita terrena alla glorificazione, come dimostra l’abbigliamento della parte bassa e la nudità della parte alta della figura.
Invece, il fante che Giovannetti eseguì per Molin del Piano, testimonia senza retorica, la realtà della guerra. Questo è posto su un masso roccioso, ove ripete la stessa posa di quello a Pontassieve; una fitta improvvisa di dolore ne segna il volto, e ne piega il corpo, tanto che deve aggrapparsi alla bandiera, ultimo suo appiglio prima di cadere: in spalla ha il fucile, ma non ha né la forza né la voglia di usarlo, perché, smarrito e incerto, sta perdendo l’equilibrio e la lucidità.


Il monumento ai caduti che Angelo Vannetti eseguì per Dicomano, dà forma, invece, ad ideali più nazionalistici. Il soldato è raffigurato col suo pastrano invernale, nell’atto di sollevare il braccio e la mano con cui vigorosamente impugna l’arma per difendere la Patria alle sue spalle, che è rappresentata da una colonna con incisi i nomi delle grandi conquiste, e alla cui sommità, come a significare i suoi alti confini, sono assise delle aquile, pronte però a spiccare di nuovo il volo. Sono questi gli ideali nazionalistici propri di chi ha fatto l’esperienza della guerra in prima persona, subendone anche delle mutilazioni, come fu per lo scultore.

I pensieri che invece animano lo scultore Alimondo Ciampi sono diversi: il suo monumento per il comune di Rufina (8), raffigura il transito dell’eroe in grembo alla Vittoria, e si segnala per un modellato delicato. Il soldato è abbandonato col braccio destro che cade, mentre, il sinistro preme la mano sul cuore, che sta per cessare i suoi battiti; la Vittoria alata con volto candido e un’acconciatura greca lo sta sorreggendo delicatamente, e gli porge la ghirlanda di alloro, simboleggiante la gloria e la vita eterna, per le sue foglie sempre verdi ed il riscatto dei morti che rasserena i vivi.
Rossi, Gronchi, Giovannetti, Vannetti, Ciampi hanno dato un’interpretazione diversa della morte dell’eroe, pur essendo a tutti comune il richiamo alla tradizione classica tanto nelle strutture, quanto nella plastica, propria della cultura fiorentina.

Elisa Marianini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 novembre 2018
(1) Vedi: G. SALVAGNINI, La scultura nei monumenti ai caduti della prima guerra mondiale in Toscana, 1999, p. 59 : “Troppi monumenti che sovente contrastano con l’arte, già adornano le piazze e le strade d’Italia. I Fasci, d’ora in poi, invece di monumenti dedichino ai Caduti case che ne portino col nome il ricordo”.
(2) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 1 del catalogo pp. 89-91.
(3) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 113 del catalogo pp. 182-183.
(4) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 6 del catalogo p. 94.
(5) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 82 del catalogo pp. 154-155.
(6) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 85 del catalogo p. 158.
(7) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 48 del catalogo pp. 131-132.
(8) Vedi: E. MARIANINI, La memoria dei caduti della Grande guerra in Mugello Una ferita salvata dalla bellezza, 2015, scheda n° 92 del catalogo pp. 163-164.