MUGELLO – Luca Varlani ha scovato un librettino ottocentesco, dove l’autore, in prima persona, racconta il proprio viaggio in Mugello. E fissa in pagina una serie di appunti, racconti, analisi della realtà sociale davvero interessanti. E gustosissimi da leggere. Perché pur essendo passati 150 anni, ci sono pagine che sembrerebbero scritte adesso. Ma soprattutto sono arguti i suoi commenti, che talvolta strappano il sorriso.
Pagine talmente gustose e interessanti, che intanto ne metteremo a disposizione alcuni estratti, relativi ai vari paesi toccati.
Per poi chissà, alla fine, regalare ai nostri lettori l’intero testo.
E dopo il primo assaggio, con le pagine introduttive arricchite da alcune immagini d’epoca, dall’archivio di Varlani (articolo qui, qui e qui), ecco il continuo della storia. E il nostro autore si ferma a Vicchio .
Chi è l’autore di questo testo? Lo riveleremo alla fine. Adesso godiamoci questa ottocentesca prosa che racconta il Mugello di un tempo.
Per la grande venerazione che ho sempre nutrito nel cuore per i sommi uomini , il cui nome varco glorioso i secoli e si sparse per tutte le parti del mondo, ogni qualvolta mi avviene di appressarmi alla loro tomba o al luogo della loro nascita , provo un sentimento incomprensibile , misto di piacere , di meraviglia e di sacro terrore. Cosi avvicinandomi alla casa di Giotto sentiva la esaltazione che essa mi produceva , presentando vivamente alla fantasia le memorie e le glo rie di quel sommo che aggiunse colla sua arte sì preziosa e non contesa gemma nella corona delle glorie della patria nostra . E nella mia esaltazione ad ogni verde margine erboso , io pensava : qui forse Giotto giovinetto si riposava al fresco meditando le forme delle cose e degli uomini e il modo di tradurle a se stesso e altrui : in ogni pietra parevami dover riconoscere quella ( che direi sacra) in cui fu disegnata la pecorella che rivelò a Cimabue il genio del figliuolo di Bondone ; d’ogni fanciullo che mi capitava dinanzi mi faceva ad esplorare la fisonomia come desideroso di trovarvi quella di Giotto . In queste visioni io mi trovai in faccia alla casa di cui alcune parole incise su pietra di marmo indicano la gloria .
La casa è antica , come costruita non dopo il secolo XI, ma ben conservata mercè le cure del suo proprietario che d’ogni buona e bella cosa è sapiente ammiratore e diligente custode . Visitato così quel luogo venerabile per le memorie gloriose che mi desto , io guardai all’ intorno e vidi che amenissima e ridente è la posizione del terreno ove sorge la casa di Giotto , accanto alla quale sorge una torre che era in antico dei Conti Guidi.
Essa siede in cima all’erta collina di Vespignano che sta come nel centro del Mugello ; onde io a quella vista m’ innamorai più e più di quella valle, e mi confermai nell’idea che ella meritasse il nome di Paradiso terrestre della Toscana , e quello di gioioso paese datole dall’imperatore Carlo Magno. Il sole era vicino al tramonto . Assiso sopra un piccolo ciglio erboso , io stava a godere lo spettacolo che offriva la sottoposta valle della Sieve nell’ora del tramonto di quel bel giorno d’estate. Fra gli ontani e gli alberi delle rive splendeva qua e là l’acqua della Sieve , che , come immenso nastro di argento e d’oro serpeggiando, si porta da Barberino , lambisce i piedi del colle ove sta la fortezza di San Martino , rasenta il Borgo San Lorenzo e passa tra il colle ove è Vicchio e Monte Sassi , e, a Maltempo , fra una foresta di alberi e di ontani si nasconde , per riapparire più lungi scoperta alle Balze vicina a toccare Dicomano. Una lieve nebbia colorata di porpora e d’oro involgeva dalla parte del tramonto i casolari , i villaggi e gli alberi della pianura di Barberino e la fortezza di San Piero a Sieve ; dalla parte di levante il cielo più cupo , ma più sereno, aveva sotto a sè una luce schietta , rotta qua e là dalle grandi ombre dei colli.
Dal vago colle di Vespignano si può andare a Vicchio traversando boschi e prati e campi per tortuosa ed angusta via che , un buon camminatore fa in poco più di mezz’ora In quella io mi misi , e quella con diletto percorsi , dopo che accomiatatomi dal medico e dal prete , il sole fu tramontato e il suono delle campane delle chiesuole qua e là biancheggianti per la valle e sui colli annunziava l’ avvicinarsi delle quiete ore vespertine. Allorchè io giunsi ad un trar d’arco dal castello di Vicchio , mi soffermai per l’erta strada per riprendere fiato ,’ e per rimirare lo strano pertugio o feritoia che doveva prestarmi l’ufficio di porta nell’ entrarvi. Strani effetti dei lavori moderni eseguiti sugli antichi edifici senza la guida del gusto e del buon senso ! (pensava io mirando quella porta cosi stranamente fuori d’ogni proporzione di porta) . Io aveva indovinato ciò che poi seppi essere avvenuto, cioè, che avendo il Municipio di Vicchio, per rendere meno ardua la salita che immetteva nel paese, abbassata la strada e la parte inferiore della porta , aveva trascurato di allargarla in proporzione della nuova altezza datale o di abbassarne l’arco , e così aveva tolte alla porta le proporzioni sue e datele quelle di feritoia . La negligenza dell’arte architettonica e del decoro che ne deve venire ai pubblici edifici , mi apparvero cosi stampati a larga nola nella prima fronte del paese , che mi convinsi che nell’interno io non doveva sperare di vedere niente di meglio . Infatti non una bella chiesa, non un bel palazzo , non una bella piazza. Ma le case che stanno nella via principale sono pero assai decenti , e quantunque modeste , non pero di miserabile aspetto, e cið indica che se non vi sono ricchi proprietari , non vi è nemmeno un ammasso di poveraglia , come si suol vedere in molti paesi dello Stato del Papa , nella Savoia , e nel Regno di Napoli. Per altro mi spiacque di vedere che la maggior chiesa intitolata a San Giovanni Battista , benchè grande , non solo è priva di quel decoro che vale ad ispirare maggior rispetto ai fedeli, ma non ha nemmeno facciata e la sua porta principale su di un fianco è nascosta per tal modo che non ti è agevole trovarla ne intendere quale sia la lunghezza o quale la larghezza della chiesa.
Questa bruttezza , dirò cosi , di strano e nuovo genere , potrebbe esser tolta alternando due o tre case di poco valore che stanno nel punto in cui dovrebbe essere la fronte del tempio principale. Nè più rispettabile per il suo aspetto è il palazzo della rappresentanza comunale ; anzi lo è così poco , che lo stesso municipio di Vicchio se n’è accorto e ha decretato di spendere una certa somma per raffazzonarlo . Delle piazze avvene una sola , piccola e mal corrispondente ai bisogni del paese. Mi fu detto che se ne voleva aprire un’altra al di fuori delle mura dal lato di settentrione. Ma io osservai che per un paese di calda esposizione fare una piazza verso il settentrione è buono ed utile provvedimento ; ma non lo è per un paese vicino agli Appennini. Avrei preferita una bella piazza dal lato del mezzogiorno, tanto più che il terreno vi si presta mirabilmente e si procurerebbe un passeggio gradevole nell’inverno. Tutti coloro che amano il tiepido sole ed aborrono il vento freddo del settentrione saranno del mio avviso , e più d’ogni altro i poveri cui fa difetto di legna e di panni. Con tali e simili altre considerazioni ragionando col prete che avevami condotto alla chiesa , io aveva passato buona parte della serata assiso nella panca di una farmacia , quando lo stomaco mi die’ avviso che era l’ora di cena ; onde io scortato dal buon prete andai in una modesta locanda ove alla meglio feci una magra cena ed una grassa dormita.
Quando io mi svegliai , vidi che l’aurora dalle rosee dita appena si affacciava al balzo d’oriente dietro al monte di Belforte. Benché fosse ora così mattutina , molte finestre del paese erano state già aperte , e da molte porte uscivano persone che andavano qua e là per le loro faccende. Notevole sopratutto era il numero delle donne e delle fanciulle , che vigilanti come le vergini del vangelo , mostravano colla loro allegria che non era loro grave il lasciare il letto a quell’ora cosi presta. Seppi che erano tutte dirette ad una filanda di seta.
Peccato , pensai io , che il lavoro a cui quelle povere donne vanno cosi lietamente incontro che più non si farebbe ad una festa , non duri che pochi giorni dell’anno ! Perchè la Provvidenza non fa venire in questo ameno e povero paesetto qualcuno di quei capitalisti industriali che portano a sè la ricchezza dando al popolo il lavoro, il benessere e la gioia e la morale ? E mi augurai di essere milionario almeno per questo. Alzatomi mi recai alla porta orientale ( Vicchio , come terra murata ha due porte, una a levante, una a ponente) e guardando in giù vidi un lietissimo paese diviso in due parti dalla Sieve e composto di vallatelle e di amenissime colline.
Allettato da quella vista , scesi lentamente al fiume , e ne ammirai le pittoresche rive e l’acqua che in molti punti ha il bel colore verdastro del mare. Traversai il ponte che fu costruito dalla Repubblica fiorentina nel 1295 , ʻe andando a diporto con sommo diletto del mio animo per la ombrosa ed amenissima riva destra della Sieve rimirava quel vago castelletto di Vicchio le cui antiche torri il sole indorava coi nascenti suoi raggi.Ripassato il ponte, e rimontando al castello, io mi soffermava sovente volgendo contento l’occhio or da questa or da quella parte, non mi saziando di ammirare tanta vaghezza di paese e cosi dilettevole varietà di terreno. Quante volte rimirando quelle collinette e quei verdi boschi di castagni esclamai col pastore di Virgilio : Come volentieri qui teco consumerei la mia vita ! Rientrato nel paese, domandai ad alcuni dei curiosi (i quali come nelle campagne avviene, mi riguardavano con attenzione) dove fosse il monumento del Beato Angelico.- Non è certo in una piazza — dissi io — la sola piazza che mi hanno detto esservi in Vicchio non ha che un povero pozzo a pompa e non vi ho scorto nè statua nè immagine nè cosa alcuna che ricordi quel sommo pittore. – Quel terrazzano a cui diressi questa domanda non mi rispose parola. Allora io mi volsi ad un prete che appunto passava vicino a me, riguardandomi non meno curiosamente nè più urbanamente di quello che gli altri mi riguardassero. Fattagli la stessa domanda, ne ottenni per risposta che nessun monumento nè statua era in Vicchio ; non esservi che la effigie di Gesù Morto alto in cera dal Susini ; e si offri di mostrarmela . Io , quantunque trovassi strano dover cambiare il Beato Angelico con Gesù Crocifisso , mi accompagnai col prete che parvemi il più semplice uomo del mondo , ma assai officioso e contento di farmi da Cicerone. Ammirai il bel lavoro in cera che mi fu mostrato nella Chiesa della Compagnia e ringraziato il prete , tornai ai miei pensieri ed alle mie meraviglie . Come non aver innalzato neppure un sasso alla memoria di quel soave pittore che meritò il nome di pittore dell’Idea e i cui dipinti sono cosi pregiati fra noi italiani e così ricercati ed ammirati in tutta l’Europa?? Che gli abitanti di questo paesetto sieno cosi profani nel culto del bello da tenere la loro principale chiesa senza facciata e le porte del castello cosi deformi é ridicole , sia loro perdonato da Dio , che più grossi peccati perdona ; ma che trascurino di onorare la memoria di cosi illustre loro concittadino quale fu il Beato Angelico è troppo gran peccato , nè so se gli uomini ne Iddio stesso vorranno perdonarlo. A queste riflessioni posi termine facendo voti (che solennemente poi ripetei nel luogo più solenne del paese , nella farmacia) | perchè gli abitanti di Vicchio si ravvedessero della loro durezza ed ingratitudine, e risolvendosi a fare una nuova piazza per decoro e comodo pubblico , vi erigessero un monumento che ricordasse la gloria del sommo pittore nato a Vicchio nel 1387 sotto il nome di Santi Tosini e morto nel 1455 a Roma sotto quello di Fra Giovanni Angelico .
Benchè il sole avesse passato solo di tre ore il suo più alto punto , l’aria era sopportabile nelle colline per un lieve e fresco venticello che alitava . Non potendo sperare di vedere in Vicchio altra cosa degna di nota, decisi di andare a Dicomano , e cercai di alcuno che mi vi portasse con qualche veicolo. Mi fu detto esser difficile trovarne a quell’ ora , per esser già partita quella diligenza che da Vicchio suol portare i passeggeri a Dicomano .Alche io risposi : – Non potrei andarci a piedi passando per vie che non sieno , come la pubblica strada provinciale, piene di polvere e di curiosi ? – Certo , – mi risposero ad una voce tre o quattro donne che , senza che io me ne avvedessi , stavano ascoltando quel che io diceva al terrazzano cui mi era diretto . Certo, ella può prendere dal ponte a Vicchio, — diceva una mentre al tempo stesso due altre dicevano : passi da Villore ; – ed un’altra : – da Riconi.- Domandai di quelle varie indicazioni più preciso ammaestramento . Intesi che secondo la prima io avrei preso il cammino più breve e più ombrato se , traversando il ponte a Vicchio, passava da Maltempo , ‘ dalle Case dalla Badia a Bovino ; ma avrei veduto assai più paese passando dalla strada più lunga che mi faceva avvicinare a Belforte e ad Alpinana. La memoria storica attaccata a questi nomi mi persuase per la via più lunga e montuosa, e poichè un leggiero venticello aleggiando rendeva sopportabile l’estivo calore, mi decisi di mettermi in cammino verso quella parte. Non ultimo dei miei desiderii , venendo in Mugello , si era quello di visitare l’Appennino e vedere quale utile rendesse all’agricoltura ed agli uomini la sua immensa superficie Con questa intenzione io mi risolvei coraggiosa mente ad una escursione, il cui termine, io prevedeva, non sarebbe stato in quel giorno. Ricordandomi con subito sussulto di gioia che io era libero del mio tempo e dei miei passi , mi compiacqui in vedere come io camminava non verso Dicomano che era la mia prima direzione. – Che m’importa – pensava io esser là questa sera o domani o domani l’altro o mai ? L’aver entro di me prefisso d’ andarci, diverrà una legge che mi sarò tirannicamente imposto ? Non sono io libero ? e la libertà non consiste ella egualmente nel volere come nel disvolere ? Vi anderò io perchè ho detto di andarci ? oh come la parola oramai è fatale : come da essa gli uomini deboli , volendo e credendo di esser forti, si lasciano trascinare a stolte con seguenze di più stolti disegni …. Cosi filosofando io procedeva con celere passo di uomo che ha presa una nuova risoluzione contro una prima , e mi trovai sul prato di una chiesa di antichissima costruzione. — Era la Pieve di S. Cassiano , costruita dicono , verso il nono secolo , e la sua architettura concorda con quella notizia . – Proseguendo ancora lietamente prima che il sole fosse nascosto al di là del monte che restava alla mia sinistra , vidi sollevata su vaga collina un’antica ed assai notevole villa che mi fu detto chiamarsi Poggio Bartoli,
ed indi a poco mi trovai nel punto in cui si avvicinano fra loro le falde del monte di Gattaia e quelle di Verruca, quando m’accorsi d’ essere al principio di un paesello , che umile e come vergognoso di sua povertà stassene rannicchiato in quel seno di montagne, dimenticato dagli uomini , dai geografi e dal sole . – Un paese quaggiù ! -dissi io meravigliato, – e che cosa può decidere un popolo a stabilirsi in cosi disgraziata positura ? Perchè fra le altre cose non gli manchi almeno la quiete e l’acqua —rispose un arguto pastore che udi ed intese la mia esclamazione , ed indicommi sorridendo il fiumicello (Muccione) che divide in due disuguali parti il povero paese. Beato quel popolo che si contenta dell’acqua e del pane guadagnato col sudore della sua fronte -risposi io , e posi carezzevolmente la mia mano sulla spalla ossuta e magra del pastore. – E come si chiama questo paesello ? – gli domandai — Santa Felicita del Fiume di Gattaia rispose l’altro . — È un povero paese ove non è un sol uomo , eccetto il parroco , che non lavori duramente per vivere miseramente. La maggior parte degli uomini vassene in Maremma , in Corsica ed in Sardegna a lavorare legname , a dissodar terre , e manda i suoi guadagni alla famiglia di cui sente tutto l’anno il peso , e solo per pochi giorni la gioia . – A queste parole, occorsemi alla mente lo spettacolo delle turbe oziose che si mi rattristarono la vista ed il cuore a Borgo San Lorenzo ed a Vicchio , e pensai cercando quale fosse la ragione per cui gli oziosi che in questi due paesi si vedevano, non erano al Fiume, e la trovai guardandomi intorno e vedendo i monti che ne circondavano erti e sterili . Allora pensando agli erbosi e fruttiferi campi di Borgo San Lorenzo e di Vicchio , fra me conclusi che gli oziosi stanno vicini alle grasse campagne come gli avvoltoi intorno ai luoghi ove è carne da mangiare , e rifuggono dai luoghi nudi ove non sono che pietre. Io non era deciso se avrei passata la notte nel Fiume o cercato più su albergo in qualche capanna. Ne domandai consiglio al pastore che mi aveva parlato , ed egli mi disse che io era davanti a due mali dei quali egli non avrebbe saputo dirmi quale sarebbe stato il più sopportabile.
Lasciai la scelta alle gambe e poichè esse erano in vena di camminare, lasciai trasportare il mio busto da esse che con facilità lo portarono in breve ora nel cuore dei monti appennini , presso una casa bassa, lunga e coperta di lastre . Il sole era allora tramontato ; il cammino del casolare gettava immensi globi di fumo; nessuno era intorno alla casa , fuorchè due grossi cani bianchi che vedendomi vennero incontro, acutamente latrando. Il loro impeto mi fece una certa impressione che si sarebbe convertita in vera paura di esser morso e straziato, se non gli avessi veduti ad un tratto soffermarsi davanti ad una siepe e ad uno steccato che io non aveva osservato , ma che pure avrebbero potuto oltrepassare, perchè il cancello era aperto e la siepe in molti punti forata e lo steccato scompaginato e rado. – Oh bella ! osservai con vero piacere , questi cani conoscono e rispettano i confini – Meravigliosa educazione che può essere equiparata a virtù , io ti benedico, per che senza questo, le ganasce di codesti cani sarebbero slale davvero all’osso delle mie gambe come i denti del Conte Ugolino al cranio dell’ arcivescovo Ruggieri. Ad un tratto una donna venendo di dietro a me con due secchie d’acqua , sgridò i cani e salutatomi cortesemente, con un sorriso m’invito ad entrare in casa , assicurandomi che ormai essi non avrebbero più attentato alle mie parti inferiori. Io non desiderava di meglio, e stringendomi, per quanto la decenza e le brocche me lo permettessero , alla fanciulla , io andava seco lei ; ma benchè le sue assicurazioni sulla fede dei cani fossero decise e ripetute, io imitava il fanciullo , di cui Il piè va lento innanzi e l’occhio indietro perchè quei quadrupedi mi venivano così da presso annasando or le mani or le gambe che io ne gli avrei volentieri dispensati. Allorchè io fui giunto alla bassa e stretta porta della casa, mi volsi indietro per prendere l’idea del luogo ove io era arrivato . In quel colpo d’occhio dato nella luce incerta del giorno morente m’accorsi che lutto all’intorno della casa a distanza di quaranta passi era una linea costituita qua di pezzi di macchia , là di grossi e rozzi pezzi di castagno a mo’ di palizzata ; poco lungi da quella da un lato alzavasi coperto di piante (che io non conobbi allora, ma che nel giorno seguente vidi essere carpini e nocciuoli e faggi) una parte di monte ; dall’altra il terreno nudo e sassoso si abbassava rapidamente per scendere in fondo a burroni profondi. Davanti alla casa erano rozzi steccati divisi in tre o quattro spartimenti e mi fu detto essere mandrie ove la notte vanno le bestie uscendo dalle stalle che restano aperte nelle notti d’estate. Con queste notizie e dopo questo esame entrai nell’umile casa preceduto dalla montanina.
pagina a cura di Luca Varlani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 aprile 2022