Un volto per Domenico Trifirò: rintracciata la figlia del partigiano ucciso a San Piero a Sieve
SCARPERIA E SAN PIERO – E’ stato un lavoro lungo di ricerca, quello di Elisabetta Boni e del gruppo sanpierino che si è impegnato a promuovere iniziative per la ricorrenza della Liberazione di San Piero a Sieve. Tra i risultati più importanti, l’aver rintracciato, grazie al Comune di Scarperia e San Piero, dopo quasi ottant’anni, la figlia di Domenico Trifirò, che quale nessuno sapeva esistesse. E a questa scoperta ne è seguita un’altra: Boni l’ha contattata, si sono parlate, la donna è stata ovviamente interessatissima ad ampliare la storia del padre, morto quando lei aveva due anni, e ha ritrovato un paio di immagini di Domenico:
Terzo figlio di Antonio e Giovanna Crisafulli, emigrati in America dalla Sicilia, Domenico Trifirò nasce a New York il 1 agosto 1921. È un ragazzo quando rientra in Sicilia con la famiglia, a Santa Lucia del Mela (ME): il richiamo della terra di origine era troppo forte per i suoi genitori. Non deve essere stato facile per lui abituarsi a un mondo così diverso da quello oltreoceano. La sua intenzione, infatti, era quella di sposare una ragazza italiana e tornare negli States, dove i due fratelli maggiori, Carmela e Giuseppe, si sistemarono successivamente con le rispettive famiglie. Gaetana, la più piccola della nidiata di Antonio e Giovanna, è sempre rimasta in Italia.
Ma il corso della vita prese una piega diversa: prima una malattia ai polmoni durante la leva, poi la guerra. Nel frattempo, però, era già nato l’amore per una ragazza del posto, Domenica Coppolino; l’incontro con lei lo aveva folgorato, come scriveva nelle tenere lettere che le inviava dal fronte. I due si sposano, e dall’unione nasce una bambina, chiamata Giovanna come la nonna, il 21 settembre del ’42. Erano momenti difficili, ma la spensieratezza dell’età aiutava a sognare un futuro migliore, tutti e tre riuniti.
Intanto Domenico il giorno dell’armistizio, l’8 settembre del ’43, si trova come aviere di stanza a Borgo San Lorenzo. Abbandona le armi, ma non se la sente di rientrare a casa; sarebbe stato impossibile schivare tutti i controlli in un viaggio così lungo. Così, per sbarcare il lunario, si impegna qualche ora come facchino all’albergo Ponte Rosso, rimanendo quindi a Borgo San Lorenzo.
Intanto anche in Mugello si va organizzando la resistenza armata contro il nazifascismo, e Domenico non si tira indietro; con la sua esperienza militare può dare una mano e, già da febbraio del ’44, collabora con la Brigata Ballerini. Più tardi sarà a San Piero a Sieve, ad implementare le fila della Formazione Fanfulla della Brigata Lavacchini. Ne fu il trentanovesimo componente, ed il suo nome di battaglia sarà appunto ‘Trentanove’. Durante una missione per reperire vettovaglie al Consorzio Agrario di San Piero, presumibilmente il mattino del 26 giugno, fu scoperto e trucidato dai tedeschi in località Castellaccio.
Fu l’unico caduto fra i partigiani sanpierini: non aveva ancora compiuto 23 anni. Il fatto fu vissuto tragicamente dagli amici e i compagni, e ancor di più dalla famiglia. La madre morirà poco dopo, pare a seguito del dispiacere dovuto alla perdita del figlio, così giovane e con famiglia. La moglie, pur se distrutta dalla notizia, e vedendo infranti tutti i suoi, i loro sogni, dovrà pur reagire con una figlia di ventuno mesi da sfamare. Si adopera in ogni tipo di lavoro ma, dopo circa un anno, quando Giovanna aveva all’incirca tre anni e mezzo, è costretta a metterla in orfanotrofio, avendo trovato lavoro come bambinaia nella provincia di Messina, a Barcellona, in una famiglia nobile. La piccola trascorrerà dieci anni in quell’istituto di Pistunina.
Non ci sta male, perché ha tutto il necessario, ma le mancherà la famiglia e, soprattutto il padre. Giovanna, infatti, non si rassegnava al fatto che Domenico fosse morto; sperava sempre in un errore, come ce n’erano stati altri. È vero che in guerra si poteva morire, ma il suo papà non poteva essere morto finché lei lo aspettava. La mamma non le parlava molto di lui, c’era soltanto una foto sul comodino, quanto bastava per colmare con la fantasia i desideri di una bambina. Le è venuto in sogno una sola volta: «Figlia mia, come stai?», per poi sparire di nuovo.
Crescendo iniziava a rassegnarsi, ma il padre era sempre presente nei suoi pensieri e, subito dopo il 15 aprile del ’67, data del suo matrimonio con Francesco Nicolò, esaudisce il desiderio di venire a Firenze per visitare la tomba del padre, sepolto insieme ad altri partigiani nel cimitero della Misericordia di Borgo San Lorenzo.
Giovani e spaesati, arrivano una mattina con il treno. Chiedono dell’anagrafe del Comune e, mentre domandano all’impiegato dove si trova il cimitero un signore, dietro di loro nella fila, si fa avanti una volta che i due sposini fanno il nome di Domenico Trifirò. Perché lo aveva conosciuto, era militare insieme a lui – o partigiano, chissà – e conosceva un altro coetaneo, anche lui combattente, che faceva il barbiere ed era in possesso delle chiavi del cimitero. Si recano così, tutti insieme, al sacrario, ed è lì che Giovanna fa presente l’errore del cognome (Trifilò, anziché Trifirò), chiedendo di correggerlo.
Forse solo allora ne ha accettato la morte, vedendo il suo nome impresso su quella lapide. Il pensiero di lui ha continuato ad accompagnarla nella vita tanto che i figli, come regalo per un compleanno a cifra tonda, le hanno fatto dono dei biglietti aerei per Firenze, per poter tornare a dire una preghiera sulla tomba del padre. Questa volta non c’è stato bisogno di andare in Comune, anzi, era in corso una cerimonia pubblica di commemorazione ai caduti, quindi fu sufficiente mettersi in colonna insieme al corteo per arrivare al cimitero.
Poi, dopo la morte della mamma Domenica, avvenuta tre anni or sono, il ritrovamento di due foto con dedica del marito, e qualche letterina romantica, che restituiscono l’immagine di un ragazzo perbene e tanto, tanto dolce. Chissà cos’avrà pensato mentre, quel giorno di oltre ottant’anni fa, si trovò di fronte ai tedeschi, nei boschi di Valdastra? Forse gli saranno passate davanti le persone importanti della sua breve vita: la mamma, la moglie, e quella bambina che lo aspettava e dalla quale non sarebbe più tornato. Non lo sapremo mai cos’avrà pensato Domenico, ma finalmente abbiamo qualcosa in più di lui: due foto con dedica, che sono un ricordo prezioso per sua figlia, ed anche per noi del Comitato 10 Settembre, che ci consente di dare un volto a un riquadro vuoto, a un partigiano al quale è intitolata una via di San Piero, e da sempre ricordato nel giorno della Liberazione.
Di Giovanna non sapevamo l’esistenza fino a pochi mesi fa. È stata rintracciata grazie a una lettera del Comune inviata al Municipio di S. Lucia del Mela. Saputo che c’era qualcuno che la stava cercando per avere notizie del padre, ci ha subito contattati con una lettera toccante, alla quale abbiamo fatto seguito inviando il catalogo della mostra e chiedendo foto e altre informazioni. Le foto ci sono; le informazioni sono più o meno queste, perché nessuno toccava quel tasto doloroso con lei, cresciuta con addosso il peso di un’assenza incolmabile. Nonostante tutto, Giovanna è una persona vivace, curiosa, intelligente, ed ha molta voglia di venire a visitare ancora la tomba del padre, e di conoscere le autorità comunali e tutti noi, che l’aspettiamo con entusiasmo insieme a suo marito e ai figli (Domenico – ovviamente non poteva che chiamare così il figlio maschio – e Nadia). Grazie Giovanna, attraverso il suo amore tenace, e il suo costante ricordo, Domenico Trifirò continua a vivere in ognuno di noi.
Elisabetta Boni
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 19 Gennaio 2025