Bianca Bianchi tra ricostruzioni storico-politiche e ricordi personali
MUGELLO – Bianca Bianchi è stata una delle figure femminili più significative del panorama politico del nostro Novecento, sebbene non adeguatamente riconosciuta, al pari di altre donne anche di altri, nel valore reale del suo apporto dato al processo di ammodernamento e di civilizzazione del Paese.
Bianca Bianchi è una figlia del nostro territorio. Nacque infatti a Vicchio il 31 luglio 1914 da Adolfo, vicchiese, e Amante Cafaggi, rufinese. Nel paese mugellano, di cui era originario il padre – un fabbro di idee socialiste molto attivo a livello politico locale – trascorse i primi anni della sua vita, fino a quando, morto prematuramente il genitore, si trasferì a Rufina, dove vivevano i nonni materni.
Nonostante la sua precoce scomparsa – avvenuta quando Bianca aveva appena sette anni – il padre lascerà un segno profondo nell’esistenza di questa donna combattiva. Ѐ stata lei stessa a ricordare che “In una breve stagione mio padre mi aveva regalato secoli d’amore”; non solo, ma gli aveva trasmesso anche la passione per la politica e per il socialismo che, spiega alla figlia, vuol dire “amare i più poveri e fare qualcosa per loro”.
Dopo il diploma magistrale, conseguito alla Scuola Superiore “Gino Capponi” di Firenze, si laureò nel 1939 in Pedagogia e Filosofia, presso la Facoltà di Magistero dell’Ateneo fiorentino con una tesi su Il pensiero religioso di Giovanni Gentile; relatore fu il grande pedagogista Ernesto Codignola, che del pensiero religioso fu appassionato studioso e del filosofo neoidealista prezioso collaboratore. Insieme a Giuseppe Lombardo Radice, fu infatti uno dei padri della riforma scolastica del 1923, che porta appunto il nome del suo maestro filosofo. Staccatosi poi dal fascismo, Codignola divenne un attivo antifascista e, sul piano pedagogico, un fautore dello spostamento della pedagogia italiana dall’idealismo gentiliano al pragmatismo statunitense, allo strumentalismo di Dewey, il pedagogista americano che aveva sintetizzato la sua visione dell’insegnamento nella formula to learn by living and by doing. Ernesto Codignola fu poi padre di Tristano, per gli amici Pippo, esponente, spesso critico, del Partito socialista e fautore della riforma della scuola media unica del 1962.
Queste digressioni storico-pedagogiche sono funzionali alla comprensione dell’dea di scuola e di insegnamento che Bianca bianchi cercò di attuare quando iniziò la sua attività di insegnate. Eravamo in piena epoca fascista e negli anni immediatamente successivi all’emanazione delle leggi razziali e la giovane professoressa destò subito più di una preoccupazione nelle autorità scolastiche – ma pure in quelle politiche – per la sua attività didattica improntata all’insegna della libertà e dell’indipendenza: ad esempio, dava spazio nel corso delle sue lezioni alla storia, alla cultura ed alla civiltà ebraica, rigorosamente espunte dai programmi ministeriali.
L’esclusione, per tali ragioni, dall’insegnamento la spinse ad accettare, nel dicembre 1941, la proposta di andare ad insegnare lingua italiana in Bulgaria, dove rimase circa sei mesi. Nel giugno 1942 rientrò in Italia, prima a Rufina poi a Firenze, e all’indomani della caduta di Mussolini (luglio 1943), iniziò la sua attività politica antifascista, che si concretizzava in particolare nel promuovere azioni clandestine di volantinaggio, nel portare le informazioni ai diversi reparti partigiani, nel mantenere un minimo di contatto tra i combattenti alla macchia e le loro famiglie, nel rifornire di armi e munizioni i resistenti.
A liberazione avvenuta si iscrisse al PSIUP e collaborò a giornali di carattere politico, come La difesa, Iniziativa socialista, Il socialismo toscano, del quale, nel 1947, ricoprì anche la carica di direttore. In occasione delle elezioni del 2 giugno 1946 si presentò nel collegio di Firenze-Pistoia e venne eletta all’Assemblea costituente, riportando uno straordinario successo in termini di consenso e andando così a far parte del ristretto gruppo delle 21 donne deputate, su un totale di 556 membri.
Si tratta di figure che, nonostante l’esiguità del loro numero, parteciparono, con contributi spesso rilevanti, all’elaborazione della carta costituzionale. Solo per fare alcuni nomi delle più note, oltre Bianca Bianchi, vi erano Maria De Unterrichter, democristiana, pedagogista, presidente della FUCI (Federazione Universitaria Cattolici Italiani), moglie del futuro Ministro Angelo Raffaele Jervolino e madre di Rosa, anch’essa più volte ministro e poi sindaco di Napoli; Nilde Jotti, comunista, successivamente prima donna ad essere Presidente della Camera; Teresa Mattei, comunista, giovane comandante partigiana, tra gli organizzatori dell’uccisione del filosofo Giovanni Gentile, di cui era stata allieva; Rita Montagnana, tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, che partecipò alla guerra civile spagnola e fu moglie di Togliatti; Lina Merlin, socialista, attivo membro della Resistenza e madre della legge che abolirà la prostituzione legalizzata in Italia.
Insomma Bianca Bianchi era in buona compagnia di genere sui banchi dell’Assemblea Costituente. Il primo periodo di attività parlamentare tuttavia fu certamente non facile, soprattutto per le rigide ed antiquate regole che esistevano all’interno dei partiti e per il suo essere donna, per di più elegante e bella, tanto da “meritarsi” – lo dico tra ironiche virgolette – l’appellativo un po’ frivolo di “angelo biondo”. Di fronte alle difficoltà di intervenire in aula e alle ragioni che le avevano determinate, all’inizio però Bianca non capisce, ma poi, come scrive nel suo libro autobiografico,
La storia è memoria, ti racconto la mia vita, (Firenze, Giorgi & Gambi, 1998) “metto insieme il mosaico di parole e di sguardi e: Dio, ce l’hanno con me. Sono io l’accusata. Non vogliono che parli sulle dichiarazioni del Governo. Chi mi ha autorizzato? Ho avuto forse l’incarico dal partito? Non so che ogni intervento in aula deve essere discusso e approvato dagli organi direttivi? […]. Non si può parlare quando si vuole […]. Posso essere brava a fare un comizio ma, che diamine, parlare alla Camera è un’altra cosa […]. La più accanita contro di me è Lina Merlin: ma guarda, penso, una donna contro un’altra donna, dovrebbe sostenermi, aiutarmi. Sono ferita nell’amor proprio e decido di non permettere nessun boicottaggio su di me. […] è diventata una sfida. Ingoio saliva amara, la pelle mi brucia addosso come fosse stata frustata, ma resto in silenzio. Non siamo i rappresentanti di coloro che ci hanno dato il voto? Per loro parlerò” [1] .
E parlerà. Il 22 luglio 1946, quando le viene data la parola, inizia a parlare, scrive sempre Bianca nel suo libro autobiografico, – “con calma e saggezza come si addice a un’aula parlamentare, quasi che una sapienza antica guidi il pensiero che non ha più paura. Quando finisco il presidente si alza, viene verso di me, mi stringe la mano e si congratula: l’assemblea si leva in piedi con un applauso prolungato. I miei colleghi di partito mi accolgono sorridenti” [2] .
Nel complesso il contributo che Bianca dà ai lavori dell’Assemblea Costituente fu particolarmente prezioso sui temi della scuola – riguardo ai quali tenace fu la sua battaglia a favore della scuola pubblica e contro la parificazione tra scuole pubbliche e private -, dell’occupazione e delle pensioni. Nel gennaio 1946, in occasione della scissione di Palazzo Barberini, seguì Giuseppe Saragat e aderì alla nuova formazione politica, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), poi, dal gennaio 1952, Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).
Questa scelta le procurerà più di un’amarezza, come ebbe a confessarmi, perché soprattutto i suoi ex compagni di partito nonché i comunisti, si presentavano ai suoi comizi con la giacca rivoltata, imputandole un’azione di “voltagabbanismo”. Del resto erano gli anni di pieno clima di Guerra fredda e il Partito socialista di Nenni e Morandi era di fatto un partito ausiliario del PCI, tanto che il suo segretario, nel 1951, si era pure meriato il premio Stalin per la pace; premio che restituirà nel 1956, all’indomani dei fatti di Ungheria.
Alle elezioni del 18 aprile 1948, Bianca Bianchi venne eletta nel collegio di Catania e, come deputata, sottoporrà al dibattito e al voto del Parlamento proposte di legge sulla tutela giuridica dei figli naturali e sul riconoscimento della paternità, sui servizi assistenziali dei figli illegittimi. Con la conclusione della I Legislatura, Bianca Bianchi pose termine alla sua attività parlamentare, dedicandosi allo studio dei problemi relativi all’educazione ed alla scuola, avanzando idee sperimentali ed innovative. Sempre di scuola si occuperà in Occhio ai ragazzi, una rubrica dedicata all’educazione che curò sul quotidiano fiorentino, La Nazione.
Negli stessi anni diede vita alla “Scuola d’Europa”, un centro educativo di sperimentazione didattica per ragazzi in età di scuola elementare e media, ispirato ai principi e al metodo Pestalozzi.
Dal 1970 al 1975 tornò ad occuparsi di politica, ma questa volta a livello locale; in quella legislatura venne infatti eletta consigliere comunale di Firenze nelle liste del PSDI e ricoprirà la carica di vicesindaco e di assessore alle questioni legali e agli affari generali nella giunta presieduta dal democristiano Luciano Bausi.
Finito il mandato amministrativo, non si ricandiderà e si dedicherà alla scrittura, con opere soprattutto di carattere autobiografico, ed alla pittura. Tornerà ad abitare nel Mugello, a Vicchio, fino alla morte avvenuta il 9 luglio 2000, all’età di 86 anni. E’ sepolta nel cimitero comunale di Rufina, dove espressamente chiese di riposare, quasi a legare con un filo simbolico i suoi due “luoghi dell’anima”: il paese mugellano e quello della Val di Sieve.
E’ stata una donna animata da grande entusiasmo, da decisa determinazione, da spiccata concretezza, Bianca Bianchi o “la Bianca”, come veniva chiamata da mio padre – sindaco socialista di Vicchio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta – in segno di stima, di amicizia, di affetto e pure di una sostanziale comunanza di idee politiche. Una donna dotata di una personalità forte, capace di reagire con successo anche alle difficoltà e alle amarezze che la vita le aveva riservato; una persona dal carattere forte, appassionato, non raramente anche spigoloso e rabbioso.
Nei miei ricordi personali, legati a Bianca, c’è il grande sostegno datomi nella campagna elettorale per le amministrative del 1995, che contribuì a portarmi una messe immane di preferenze; ci sono anche però le furiose telefonate che mi faceva, quando ero vicesindaco ed assessore del Comune di Vicchio, nel corso delle quali, come un fiume in piena, rotti gli argini, mi inondava di parole di fuoco che manifestavano il suo dissenso nei confronti di qualche scelta amministrativa, soprattutto legata alla cultura o all’assetto del territorio, settori di mia competenza; in quelle circostanze era praticamente impossibile interloquire, tanto che la comunicazione si risolveva in un iroso monologo. Dopo qualche ora o comunque non più tardi del giorno successivo ecco un nuovo squillo del telefono di casa e Bianca, affettuosa e forse anche un po’ turbata, mi dice: “Vieni da me, ho preparato il tè!”. E così, arrivato nel suo appartamento, mi parlava del libro che stava scrivendo, mi chiedeva pareri su qualche particolare aspetto della forma, dello stile e pure su passi del contenuto; mi informava dei suoi progetti editoriali; oppure mi faceva veder il quadro che stava dipingendo o l’ultimo appena finito. Da tutto ciò mi sentivo gratificato, perché anche questa era un’occasione per stare insieme ad una persona un po’ umorale, diretta, ma sempre corretta e mai banale.
Con Bianca ho fatto anche tante passeggiate per viale Beato Angelico, quello alberato che dalla stazione di Vicchio porta in paese; impiegavamo dalla mezz’ora ai quarantacinque muniti a percorrere quei 300 metri; camminavamo a passi lentissimi, con soste lunghe e frequenti, nel corso delle quali, tenendomi sotto braccio, mi parlava di politica nazionale. Erano i tempi dei Comitati Prodi e della fase di gestazione dell’Ulivo nei confronti dei quali, sia lei che io, guardavamo con interesse, ma non senza qualche dubbio e perplessità.
Insomma, al di là di queste note un po’ deamicisiane, Bianca Bianchi è stata una figura a tutto tondo, competente in molti settori, animata da molteplici interessi: la politica di alto livello, quello nazionale, l’attività amministrativa in ambito fiorentino, ma anche i diritti civili, la scuola, lo stato sociale, la pedagogia, la filosofia, la scrittura, la pittura.
Per questo e per altro ancora, credo “è cosa buona e giusta” ricordare una donna che, in nome di quegli ideali di socialismo dal volto umano, non si è mai risparmiata nel cercare di portare avanti, chi era nato o comunque si trovava più indietro. Pertanto se l’Italia degli anni che vanno dal dopoguerra all’ultimo quarto del secolo scorso, è diventata – e questo è innegabile – un Paese per molti aspetti più libero, più giusto, più civile di quello del periodo precedente, lo si deve anche a persone come Bianca Bianchi, alla quale va oggi con merito tutta la nostra gratitudine.
[1] – B. BIANCHI, La storia è memoria, ti racconto la mia vita, Firenze, Giorgi & Gambi, 1998. [2] [2] – . Ivi.
Bruno Becchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 17 Settembre 2023
Grande Bruno….. com’è cambiata la società e le persone….il socialismo era andare dal sindaco di qualsiasi colore ….e esseresicuri di essere aiutati….un abbraccio