Cinque anni fa morì Nada, la “ragazza di Bube”: il ricordo di Massimo Biagioni
BORGO SAN LORENZO – Quando cinque anni fa Nada Giorgi -la “ragazza di Bube”- morì, si spense una donna forte, di saldi principi, coraggiosa, fiera, battagliera, fedele. Una di quelle donne con uno smalto differente, di quelle che è raro trovarne. E -ci teneva a dirlo- del tutto diversa dalla ragazza di Bube, raccontata da Cassola e Comencini. Col suo libro “Nada, la ragazza di Bube”, Massimo Biagioni ha tentato di ristabilire quella verità a cui Nada tanto teneva. E così all’interno della trasmissione di Rai 2, “Viaggio nell’Italia del giro”, proprio Biagioni è stato invitato a raccontare questa storia. Lo abbiamo incontrato, per approfondire il tema, in occasione dell’anniversario della morte di Nada, che avvenne il 24 maggio 2012.
Nei giorni scorsi il Mugello ti ha visto su Rai Due nel programma “Viaggio nel 100esimo Giro”. Eri sulla riva della Sieve, davanti alla casa di Nada Giorgi, la ragazza di Bube. Chi era Nada? Ci racconti brevemente la storia di Nada e Renato? Nada era, è, bisogna dire, la ragazza di Bube. Indelebilmente ormai. Protagonista, con il grande amore della sua vita, di una storia grottesca che prese il via da una sparatoria al Santuario della Madonna del Sasso, comune di Pontassieve, dove rimasero uccisi un partigiano, un graduato dei carabinieri e il figlio, e conclusa con la condanna di Renato Ciandri che fu l’unico a pagare, accusato di aver colpito le vittime. Fuggito in Francia, venne catturato dall’Interpol, estradato e imprigionato a Alessandria, Porto Azzurro e San Gimignano. Nel 1961 ebbe la grazia e rientrò a casa dove Nada lo aveva aspettato, per quindici anni, avendolo sposato in carcere, ed essendo andata a trovarlo con trasferte faticose e lunghissime. “Una giornata dal buio della mattina al buio della sera per stare mezz’ora insieme”, mi diceva. La storia della sparatoria fu raccontata a Carlo Cassola, comandante partigiano che l’ambientò nel Volterrano, cambiò personaggi e sceneggiatura conquistando il Premio Strega con numerosi traduzioni all’estero, e dal suo libro fu tratto l’omonimo film.
Alle figure di Nada e Renato, si sono dunque sovrapposte quelle di Mara e Bube del libro di Cassola e del film di Comencini, quasi rovesciando il loro carattere, i loro valori e la loro grande storia d’amore. Tu hai cercato di ristabilire la verità: qual è questa verità, ovvero cosa hai riportato nella giusta luce? Il racconto subito venne respinto dai due veri protagonisti, e ancora di più il film, che catalizzò l’opinione pubblica su Pontassieve e sulla coppia, sbattuta in piazza senza tanti complimenti: erano i primi anni dei rotocalchi. Bube cercò di bloccare la proiezione del film e poi volle dimenticare tutto. Passarono neanche vent’anni, dopodiché una morte prematura lo strappò alla moglie e al figlio che nel frattempo era arrivato. Ma il romanzo è stata una persecuzione soprattutto per Nada, che era stata dipinta come una sciocchina, attenta ai complimenti e alla vanità, e protagonista di storie amorose sulle quali non voleva assolutamente transigere attaccata ai valori della fedeltà, del rispetto, dell’amore per Renato. Sembra ridicolo oggi porsi questi problemi, e tante volte ne abbiamo parlato con Nada, ma lei non fletteva: “Lo so che è un romanzo, sì, ma quella è la vita mia, e le cose non vere non si devono scrivere!” Morto Bube, “la ragazza” ha predicato per anni la sua verità, con i giornalisti, le scuole, i compaesani, finché non si è incrociata con la mia curiosità. Ha cercato di far rifare il processo, ha chiesto aiuto ai compagni di Renato, ma non è mai riuscita a ristabilire l’onore della loro storia. Alla fine, parzialmente almeno, Nada ha scacciato la Mara del romanzo, e con Renato ha voluto tornare ad essere persona e non personaggio. “Ora posso anche morire!”, mi disse stringendo la prima copia uscita dalla Polistampa. Così anche il figlio Moreno, a un certo punto ha vinto il riserbo, e il desiderio del padre che non ne aveva voluto parlare più, per dare spazio invece al volere della mamma. Facendola felice.
Dopo undici anni dall’uscita del tuo libro e cinque dalla sua morte, che ti è rimasto di Nada e di questa esperienza umana e letteraria? Conservo un ricordo nitido e di grande contentezza. La vicinanza con questa donna mi ha reso più ricco umanamente, mi ha dato entusiasmo nello scrivere perché la sua forza e la sua speranza erano sempre con me. Conservo e conserverò per sempre i lunghi viaggi, spesso noi due soli, a Bologna, a Grosseto, Milano, in provincia di Firenze, in Toscana, alle riduzioni teatrali, le confidenze che mi faceva, i consigli protettivi, le battute, il vigore con cui a quell’età si sottoponeva a stress e appuntamenti faticosi.
Era una missione, e in decine e decine di serate non ha mai confuso una data, mai sbagliato un dettaglio, mai confuso un ricordo. Parlava come se davanti a lei scorressero immagini di quel tempo, che raccontasse fotogrammi sopra uno schermo. E ho visto tanti occhi che si inumidivano per la passione che ci metteva, per l’amore che trasmetteva, per la forza che questa piccola donna emanava. E poi con i ragazzi si superava, naturalmente, gioiosamente. Come se soprattutto alle nuove generazioni volesse raccontare “la” storia, cancellando cattiverie, bugie e sofferenze.
Michela Aramini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 maggio 2017
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