Il sindaco ed il priore
VICCHIO – Sembra quasi che fosse scritto sul libro delle stelle che si dovessero incontrare, il sindaco contadino e il priore dei poveri; che fosse un gioco del destino, un disegno della Provvidenza.
E cosa unisce le stelle leopardiane, il fatum degli antichi, la Provvidenza manzoniana se non l’imperscrutabilità? E c’è davvero molto di imperscrutabile nelle abissali differenze ed ancor più nelle stringenti analogie che hanno caratterizzato queste due importanti figure dei nostri luoghi e di un tempo, ormai per molti, non più tanto nostro. Mario e Lorenzo, il sindaco socialista di Vicchio e il priore maestro di Barbiana.
Certo il retroterra familiare e socio-culturale da cui provenivano non avrebbe potuto essere più diverso. Infatti non era davvero la stessa cosa nascere in una famiglia di mezzadri della campagna mugellana, nella piana della Sieve, di bassissimo livello di istruzione, che abitava in una casa “del padrone”, senza neppure il gabinetto – lo farà Mario, con le proprie mani, alla fine degli anni quaranta, quale regalo di nozze a sua moglie – , che viveva con il lavoro delle braccia e di ciò che producevano la terra e gli animali oppure e vedere la luce in un ambiente di laureati e professori universitari, che viveva in un elegante palazzina in stile neoclassico di viale Principe Eugenio, oggi viale Gramsci, a Firenze, con cameriere e fantesche, e possedere più case e più poderi da far lavorare ad altri; così come non era di sicuro uguale fare le vacanze invernali in Val Camonica o a Saint Moritz e quelle estive nella casa di proprietà di Castiglioncello o nella villa di famiglia “La Gigliola”, a Montespertoli, da un lato, e potersi concedere tutt’al più un bagno nel fiume che scorreva a pochi metri da casa ed asciugarsi, caracollando a piedi scalzi, sul greto della Sieve.
Eppure, data questa profonda non marginale diversità, per una specie di scherzo del destino, Mario e Lorenzo avevano anche molto in comune. Erano nati a poco più di una settimana di distanza, nel maggio del 1923 – il primo il 15, il secondo il 27 – e tutti e due – e qui il destino si fa cinico – moriranno qualche anno prima di arrivare a compierne cinquanta: don Lorenzo nel giugno del 1967, Mario nell’aprile del 1972. Entrambi di personalità forte, intelligenti, sensibili, capaci, altruisti; così, una volta che la sorte li aveva avvicinati anche fisicamente, poco più che trentenni, nello stesso territorio, tali caratteristiche individuali hanno fatto sì che si incontrassero, si stimassero, collaborassero, avessero un unico fine prioritario: il miglioramento delle condizioni di vita dei poveri; quei poveri da cui uno proveniva e a cui l’altro, una volta prete, aveva scelto di appartenere.
Del resto i loro diversi orizzonti valoriali, il socialismo per Mario ed il cristianesimo per don Lorenzo, avevano finalità coincidenti: “Il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro”, ripeteva Mario, facendo proprio il celebre detto di Pietro Nenni, oppure diceva “Socialismo significa fare qualcosa per sollevare i poveri dalla loro miseria e migliorarne le condizioni di vita!”; qualcosa di analogo si legge in Lettera a una professoressa: “Fai strada ai poveri senza farti strada” (1)
Quindi la loro attenzione agli ultimi era collocata in una prospettiva comunitaria, in sintonia con la visione collettiva della società e dei rapporti tra le persone propria del socialismo e della Chiesa. A tali comuni finalità, proprie del patrimonio ideale e morale di Mario e di don Lorenzo, faceva riscontro l’individuazione di una stessa via per perseguirle: la scuola; la scuola intesa come strumento di emancipazione e di liberazione dalla povertà – in tutti i sensi -, vista come occasione di educazione alla vita, concepita quale mezzo per dotare le persone di indipendenza di giudizio e di autonomia di scelta. Ѐ proprio sulla base di questa sintonia e di una comune sensibilità, che si fa concretezza, che il priore poteva riconoscere al sindaco di aver “fatto di Vicchio un Comune pioniere nel campo della scuola” (2)
Mario saliva periodicamente a Barbiana, anche per sedersi tra i ragazzi e, insieme a loro e a don Lorenzo, parlare di politica, di normative e problemi dell’amministrazione locale e, non raramente, perfino di argomenti legati alle abitudini paesane e all’impiego del tempo libero da parte dei giovani, compreso naturalmente lo sport, da entrambi non amato, in quanto ritenuto una deviazione dall’obiettivo di recuperare secoli di arretratezza culturale maturati, soprattutto dalle persone povere, attraverso il susseguirsi delle generazioni. Da questo punto di vista interessante è la lezione sul ballo, trascritta e pubblicata da Michele Gesualdi (3) .
L’occasione era stata suggerita dalla stretta attualità. Don Lorenzo aveva accolto con non poco disappunto l’informazione che, nei giorni del Carnevale del 1965, il Preside della scuola media di Borgo aveva concesso l’autorizzazione a tenere una festa da ballo in classe. Riteneva che una “ragazzetta di 15 anni non poteva perdere il suo tempo a ballonzolare” (4).
Sul finire degli anni cinquanta, desiderando una nuova vita per sé, per i suoi cari, per i suoi figli, Mario aveva abbandonato il podere dei “Bottini” – la cui casa colonica, di nuovo sembra un gioco del destino, si trovava a poche centinaia di metri dal bivio per Barbiana -, e, con la sua famiglia e quella di suo fratello Paolo, aveva iniziato un’attività commerciale, aprendo un bar alimentari con una sala da ballo ad essa collegata. Don Lorenzo lo aveva chiamato a Barbiana proprio perché, come diceva con fine ironia, “corruttore di gioventù”. Rispetto alle sue idee, il priore dice: “Mario invece, ho fatto ieri poche parole con lui, non la vede così nera. Anche perché lui ha la ditta. Però Mario noi lo stimiamo un nostro grande amico e le bugie a noi non le dice” (5) .
Le posizioni e le idee sull’argomento certamente non coincidono, talvolta sono frontalmente opposte, talaltra sono confliggenti, ma la trascrizione dei contenuti di quell’incontro è da leggere per la ricchezza e la logica delle argomentazioni, la fermezza delle convinzioni, il rispetto e la fiducia reciproca che traspaiono dalle parole dei protagonisti. Il bar di Mario era vicino alla stazione ferroviaria ed aveva uno dei due soli telefoni pubblici dell’intero paese, l’altro lo aveva il giornalaio Amilcare.
Siccome a Barbiana, a quel tempo, non c’era 3 telefono – anzi, come è noto, non c’erano neanche l’acqua e la luce elettrica nelle abitazioni -, don Milani andava spesso, con una vecchia lambretta, al bar dell’amico per aspettare le telefonate dei ragazzi che si trovavano all’estero. Il sindaco socialista ha avuto un ruolo fondamentale nella risoluzione dei problemi anche logistici che attanagliavano quell’austera scuola di montagna. Oltremodo significativa è, al riguardo, la vicenda del “ponte di Luciano”, raccontata da Michele Gesualdi nell’omonimo libro (6) .
Il racconto è così eloquente che merita una citazione piuttosto ampia, anticipata però da una necessaria premessa. Luciano, “un scricciolino di undici anni”, faceva un’ora e mezza di strada due volte al giorno per andare a scuola a Barbiana e per due volte al giorno attraversava un ruscello saltando di sasso in sasso, quando l’acqua era bassa, o passando su un tronco di castagno quando l’acqua ricopriva le pietre (7).
In un giorno di un freddo febbraio, dopo piogge più abbondati del solito, che fecero galleggiare il tronco, Luciano cadde in acqua. Arrivato a Barbiana tutto bagnato ed infreddolito, don Lorenzo disse “Non è mica giusto che i ragazzi di Vicchio abbiano un pulmino sotto casa per andare a scuola, le aule ben riscaldate e la refezione, mentre il mio bambino nemmeno un ponticello per venire a scuola senza rischiare di cadere nell’acqua. Ragazzi prepariamoci, andremo a Vicchio a manifestare di fronte al Comune per chiedere al sindaco di costruire il ponte per Luciano”.
Quindi prepararono i cartelli ed il discorso da fare al sindaco. Un giovedì, il giorno scelto per la manifestazione, anche perché giorno di mercato, di fronte alle voci di protesta che si sentivano provenire da fuori il Municipio, “uscì dal Comune il sindaco: ‘Cos’è questo chiasso? (…)’ ‘Vogliamo il ponte per Luciano’ (…) Inizialmente il sindaco non capì. Quando afferrò la richiesta disse:’ E per una passerella tutto questo chiasso?’ Fece chiamare il capo stradino e gli ordinò di andare a vedere di cosa si trattasse e di accertarsi della fattibilità della passerella. (…). Salirono su il capo stradino e un muratore. (…) ‘Si può fare. Torneremo nei prossimi giorni’. (…). La sera dopo [l’inizio dei lavori] la passerella, come dicevano loro, era già finita. Lunga, stretta, sicura. Luciano era raggiante. Per la prima volta aveva una cosa tutta sua: allora se la dedicò, scrivendo con il dito sul cemento fresco ‘a me’” (8).
Concluso il suo mandato amministrativo, Mario era rimasto in Consiglio comunale, come capogruppo socialista, continuando ad essere un punto di riferimento per don Lorenzo e la scuola di Barbaiana. Ne è una dimostrazione la vicenda del pulmino. Don Milani voleva far fare ai suoi allievi più piccoli un viaggio in Francia e per questo aveva chiesto la concessione al Comune dell’uso di uno dei pulmini per il trasporto scolastico che, in tutta evidenza, nel periodo estivo non sarebbe stato usato. La risposta del Comune e del Patronato scolastico era stata negativa. Evidentemente, con il cambio di sindaco erano mutati anche i tempi e la priorità delle scelte. Così in una lettera scritta il 15 maggio 1964, si legge: Caro Mario, le accludo copia della lettera che ho mandato al Sindaco perché lei muova.
Ma Mario era per don Lorenzo anche un punto di riferimento per la risoluzione di questioni ancora più pratiche e più piccole del ponte che consentiva a quel ragazzino gracile gracile di attraversare il torrente per andare a scuola, tuttavia sempre di una certa importanza per il buon funzionamento della comunità “barbianese”. Avendo deciso di mettere una lavatrice a Barbiana, “perché l’Eda [la perpetua] è piuttosto invecchiata e piena di dolori”, ed essendoci problemi per la debolezza della corrente, che a Barbiana era arrivata poco più di un anno prima, si cercava una soluzione. All’inizio si era pensato ad una lavatrice con “motore ed avvolgimento trifase e programmazione più lenta”, poi si era deciso di sentire il parere di Mario. In una lettera a Francesco Gesualdi del febbraio 1967, don Lorenzo scrive, “Caro Francuccio, … Stasera c’è stato Mario Becchi ed ha proposto di muovere invece il canone perché ci sia rinforzata la linea così si potrebbe mettere una lavatrice normale” (10).
Data la sua origine popolare e di campagna, Mario era un punto di riferimento per don Milani anche per testare l’efficacia dei suoi scritti. Scrive Adele Corradi, l’insegnante, preziosa collaboratrice del priore, negli ultimi anni della scuola di Barbiana: “La Lettera [a una professoressa] era quasi finita e don Lorenzo la faceva leggere agli amici. ‘Abbiamo fatto centro!’ mi diceva quel giorno, ‘Abbiamo fatto centro, perché piace a Mario e a Daniele. Gli piace tutto, gli piace moltissimo a tutti e due’. Mario Becchi era stato sindaco di Vicchio, ma era nato contadino. Daniele Njai era diventato medico, ma era nato in una capanna in un villaggio del Kenya. Ricordavano bene, tutti e due, i giorni della loro infanzia” (11).
Intorno alla metà degli anni sessanta, si verificò un aggravamento della malattia che aveva colpito don Lorenzo qualche tempo prima. E Mario tornava a casa da Barbiana con tutta la preoccupazione, la tristezza, la sensazione di impotenza dovute alla constatazione di questo peggioramento. Usciva profondamente affranto dall’aver visto il suo amico prete, seduto su una vecchia sdraio da spiaggia con fogli in mano che si ostinava a voler fare lezione ai suoi ragazzi, pressoché soffocato dai continui attacchi di tosse. La malattia aveva iniziato l’ultima fase del suo inarrestabile percorso, il quale si concluderà nell’estate del 1967, dopo inenarrabili sofferenze. Nei miei ricordi legati a quel tempo e a quei fatti, c’è Mario, mio padre, che, vestito di scuro, si sta preparando per il funerale di don Lorenzo ed io, bambino di poco più di sei anni, gli sono vicino. E lui, mentre si fa il nodo alla cravatta mi dice senza distogliere lo sguardo dallo specchio: “Oggi è un giorno molto triste, perché diamo sepoltura ad un grande uomo, ancora da pochi capito e da tanti contrastato. Dovranno passare ancora tanti anni per poter apprezzare appieno la sua grandezza”.
Non passerà invece molto tempo dalla morte di don Lorenzo, che lo stesso fato, con i suoi dadi beffardi, tornerà a segnare la sorte anche dell’amico del priore. Pochissimi anni dopo, pure lui verrà colpito gravemente da una patologia del sistema circolatorio cerebrale e la Parca Atropo ne reciderà il filo della vita in una domenica primaverile del 1972. Ed oggi, a cento anni dalla loro nascita, piace immaginare i due amici di nuovo insieme, che, alla presenza dei “barbianesi” – in senso lato – che non sono più tra noi, facciano lezioni sui grandi temi riguardanti la dignità della persona che poi sono quelli sempre centrali nel loro pensiero, nella loro azione, nella loro proficua collaborazione.
1 ) Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1996 (1° ed. 1967), p. 97.
2) Lettera a Mario Becchi, in data Barbiana, 12 maggio 1963 in B. Becchi, Lassù a Barbiana ieri e oggi. Studi interventi, testimonianze su don Lorenzo Milani, Firenze, Polistampa, 2004, p. 295. Le
3 ) Una lezione alla scuola di Barbiana, in Don Milani maestro di libertà, a cura di M. Gesualdi, Firenze, s. e., 1987 e ora anche in L. Milani, anche le oche sanno sgambettare, Roma, Stampa alternativa – Nuovi Equilibri, 1995.
4 ) Una lezione alla scuola di Barbiana cit. p. 10.
5 ) Ivi, p. 27.
6 ) Il ponte di Luciano a Barbiana, a cura di M. Gesualdi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2008.
7) Ivi, pp. 5 e 8.
8 ) Ivi, pp. 8-13.
9 ) Lettera a Mario Becchi, in data Barbiana, 15/5/1964 in Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di M.
Gesualdi, Milano, Mondadori, 1970, p. 192.
10 ) Lettera a Francesco Gesualdi, in data Barbiana, 22/2/1967, in L. Milani, I care ancora. Inediti. Lettere, appunti e carte
varie, a cura di G. Pecorini, Bologna, Editrice Missionaria Italiana, 2001, p. 391.
11 . A. Corradi, Non so se don Lorenzo, Milano, Feltrinelli, 2017 (1° ed. 2012), p. 106.
Bruno Becchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 15 Giugno 2023