La chiesa di San Michele a Rupecanina
VICCHIO – Appena usciti dal capoluogo in direzione Dicomano, una stradella comunale sulla sinistra si stacca dalla strada provinciale SP551 all’altezza di Osteria e punta decisa verso la catena dell’Appennino. Scavalcato l’Arsella con un piccolo balzo, la via piega a sinistra in località Mulinuccio, per elevarsi repentina di un centinaio di metri fino al culmine di una modesta dorsale che l’accompagnerà in breve al borgo di Rupecanina per proseguire poi verso le falde della montagna.
Seguire questo crinale naturale, antichissimo segnavia di collegamento alla regione oltre montana, significa addentrarsi in uno scenario naturale unico, un paesaggio incantevole disegnato ora dalle creste solenni dell’Appennino, ora da una campagna punteggiata di nostalgiche dimore poderali, ville signorili, svettanti ed ormai muti campanili di vetuste chiesette rurali.
Rupecanina con la sua chiesa di San Michele si colloca in questo ameno e semplice contesto agreste, un luogo ancora a misura d’uomo dove appaiono inalterati i caratteri ambientali di altri tempi, tipici di quest’ultima propaggine del Mugello centrale. Nella radice del toponimo Rupecanina, potrebbero riconoscersi i termini naturali per una derivazione di tipo vegetale ma ci piace supporre che il termine si proponga secondo una matrice puramente storica, spontaneamente associabile al Castrum Ripacanina o Rabbia canina, quel Castel Vecchio di Ripa canina già proprietà dei Conti Guidi nel XII secolo insieme al piccolo forte di Moriano. Tutte queste proprietà, confermate ai Guidi da Arrigo VI nel 1191 e da Federico II nel 1220 e nel 1247, sarebbero passate poi alla Mensa fiorentina per rinuncia degli stessi Conti, insieme ad un Castel Nuovo edificato sotto la giurisdizione vescovile in sostituzione della primitiva rocca ormai cadente e abbandonata.
Gli storici concordano sulla presenza della rettoria di San Michele nel XII secolo, già compresa fra i beni del vescovo fiorentino, al quale doveva un censo annuo di tre staia di grano. Da un documento notarile rogato il 1 marzo del 1333 apprendiamo che Buono rettore pro tempore, ottiene da Lapo di Guccio pittore fiorentino, un prestito di dieci fiorini d’oro per risanare la canonica danneggiata da un incendio, con l’obbligo di estinguere il debito in quattro moggia di grano. Nel 1391 era rettore in San Michele un tal Ser Giovanni e qualche tempo dopo, attorno al 1395 a Moriano di Casole nel Popolo di San Michele, nasceva Guido Tosini di Pietro poi conosciuto come il Beato Angelico, uno dei più grandi “dipintori” del Rinascimento italiano.
Dal 1418 fu nell’Ordine dei Predicatori con il nome di Giovanni da Fiesole e dal 1425 frate dei domenicani riformati nel Convento di San Domenico. Qui proseguì la sua iniziale attività artistica come miniatore di codici liturgici, fino a divenire presto uno dei maggiori interpreti della pittura sacra, adottando la sua arte come una preghiera dalla quale scaturiva il perfetto connubio fra umanesimo e religione.
Allo stesso periodo prossimo alla metà del Quattrocento dovrebbe appartenere la pittura a fresco un tempo collocata in un grande tabernacolo viario posto in prossimità della chiesa di San Michele e ora custodita a Vicchio nel Museo di Arte Sacra.
L’opera pervenutaci e recentemente attribuita al Maestro di Signa, costituisce solo il reperto staccato dalla parete di fondo del tabernacolo e se pur lacunosa conserva parte del dipinto dedicato alla Madonna del latte tra i Santi Pietro e Paolo con due angeli adoranti, mentre sembrano per sempre perdute le figure poste sulle pareti laterali di San Girolamo che si batte il petto con un sasso e Michele, Santo titolare della chiesa.
Radicali interventi di restauro se non una vera e propria ricostruzione dell’edificio, dovrebbero essersi compiuti nella prima metà del Cinquecento, momento in cui la chiesa viene dotata in una splendida pala d’altare che gli storici del nostro tempo attribuiscono originariamente al Maestro di Serumido o Aristotele da Sangallo.
L’opera riproduce la Madonna in trono col Bambino tra i Santi, Andrea (o Girolamo), Michele Arcangelo, Pietro e Antonio abate. Un’epigrafe posta sul retro della tavola ricorda l’intervento di un anonimo restauratore avvenuto nel 1706, momento in cui l’opera viene praticamente ridipinta, probabilmente con l’aggiunta dei motivi floreali e dei cardellini alle spalle della Madonna, elementi che appagano lo sguardo dell’osservatore ma pregiudicano con evidenza l’originalità del dipinto.
Oltre al restauro della tavola, nelle prime decadi del Settecento la chiesa fu interamente ristrutturata grazie al contributo dei Lorini, facoltosa famiglia originaria del luogo. Tra il 1748 ed il 1804 fu parroco di San Michele Pier Carlo Fiacchi zio di Luigi Clasio, che proprio dai suoi soggiorni a Rupecanina ottenne dal prelato i primi rudimenti della sua formazione letteraria. Come tutti gli edifici di culto a nord di Vicchio, il terremoto del 1919 spazzò via anche la chiesa di San Michele, rasa al suolo insieme a tutte le abitazione di Rupecanina.
Don Raffaello Malandrini, il parroco di allora, rimase sepolto per ore sotto le macerie della sua chiesa della quale non rimasero che pochi avanzi di muraglie. Insieme all’identità architettonica del vecchio edificio, furono perduti per sempre gli arredi sacri e molte suppellettili, ad eccezione dell’antica pala dell’Altar Maggiore. Grazie all’impegno di Don Corrado Paoletti al tempo parroco di Rostolena, la chiesa fu interamente ricostruita negli anni immediatamente successivi il 1925 dall’impresa edile di Vittorio Cipriani, secondo il progetto dell’Ing. Prof. Sante Cecchi, architetto e direttore dei lavori.
L’11 novembre 1928 giorno di Domenica, la chiesa nuova fu consacrata da Mons. Benvenuti dell’Arcidiocesi fiorentina, coadiuvato in una celebrazione solenne dai sacerdoti delle parrocchie vicine. L’evento ebbe carattere di eccezionalità per il borgo, con un Comitato di parrocchiani che si adoperò per addobbare la chiesa e tutte le case del paese con fiori e gagliardetti.
La Sig.ra Angioli mise a disposizione gli ambienti della propria villa per l’allestimento di un banchetto cui presero parte il Podestà di Vicchio, il Segretario comunale, forze dell’ordine, ingegneri, tecnici e l’Ing. Roster, uno dei maggiori contribuenti all’arredo della chiesa. Nel pomeriggio, accompagnata dalla Banda Musicale di Vicchio, fu tenuta una processione solenne cui sarebbe seguito un commovente quanto inatteso concerto musicale, coronato da una girandola serale di fuochi d’artificio.
Il nuovo ambiente di preghiera si mostrava certamente con un aspetto del tutto nuovo ed in linea con i tempi, impreziosito dall’opera dei Chini che lo avevano decorato interamente con motivi geometrici e floreali. Dopo alcuni danni provocati dal secondo conflitto mondiale e prontamente riparati, la chiesa è stata oggetto del consueto adeguamento liturgico nel 1986, con ulteriori interventi di restauro che tuttavia non hanno alterato il suo aspetto ed i suoi caratteri di gusto neoromanico. La facciata è a capanna, delimitata da pilastri laterali e sormontata da una Croce di pietra, con una serie di archetti tamponati che segue il profilo di copertura.
La porta d’ingresso è di legno intagliato con motivi a rosoni e gigli fiorentini. Sopra la trave una lunetta a tutto sesto reca una Croce greca.
Nella parte mediana si apre l’oculo circolare chiuso da una vetrata policroma raffigurante San Michele Arcangelo.
Il campanile a vela con apice cuspidato e due campane è posto sull’angolo posteriore destro della struttura.
Sempre all’esterno sulla parete destra della chiesa, una piccola tettoia metallica protegge l’immagine cuspidata di una Madonna col Bambino e angeli, dipinta da Alfredo Cifariello. L’interno è a navata unica coperta a capriate; un vero trionfo dell’arte decorativa chiniana, come detto realizzato a motivi geometrici e restaurato da un allievo di Chino Chini negli anni ottanta del Novecento.
La decorazione si propone con una balza a pannelli verdi e rosa e un motivo ad archetti che segue il perimetro di copertura.
Le quattro monofore, due delle quali tamponate e due munite di vetrata policroma, recano il nome del benefattore, la Famiglia Angioli e la data 1928 in numeri romani, probabile riferimento per la datazione dell’intero decoro della chiesa. Le quattro aperture sono caratterizzate da un disegno speculare, incorniciate da una finta mostra con colonnette tortili laterali dipinte e con l’arcata superiore colorata a settori bianchi e neri.
Lo stesso motivo ad inserti bicolore si ripete nell’occhio della controfacciata. Sulla parete di fondo si contrappone il disegno di un quadrilobo toscano con quattro stelle ad otto punte ed una Croce greca. Altri disegni stilizzati ornano i semipilastri che delimitano le campate dell’aula.
La controfacciata destra ospita un quadro di Gesù Bambino che appare a Sant’Antonio da Padova, olio su tela del XVIII secolo.
Nella campata centrale della parete destra è il quadro di Silvano Campeggi dedicato al Beato Angelico, dipinto negli ultimi anni del Novecento.
Sulla parete sinistra invece è la Madonna del Rosario fra Sant’Antonio da Padova e San Francesco, olio su tela realizzato da Francesco Conti nella prima decade del Settecento.
Sulla parete tergale del presbiterio a destra della celebre pala d’altare, si colloca l’elegante tabernacolo per il Santissimo e sulla sinistra uno splendido Crocifisso ligneo di scuola fiorentina databile alla metà del Cinquecento.
foto e testo di Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 13 Aprile 2024