La leggenda di Pulicciano, simbolo di resistenza medioevale – Seconda parte
MUGELLO – In questa sede proseguo nel racconto delle eroiche vicende legate al presidio di Pulicciano e, come mi è ormai consueto, cercherò di farlo con un linguaggio semplice, diretto e comprensibile al vasto pubblico; che questa strada sia quella giusta lo dimostrano i tanti ritorni positivi che voi lettori mi avete dato in questi anni. Ogni tanto un po’ di autocelebrazione non guasta, alla faccia di chi fa finta che gli autori locali non esistano nemmeno, amministrazioni pubbliche in primis.
Pensate che in Mugello ci sono soggetti che per farsi raccontare storie sulla nostra valle, chiamano esperti da fuori, magari pagati con gli scarsi soldi pubblici, per conferenze ermetiche infarcite di linguaggio accademico pieno di nomi, date e citazioni evolute; evidentemente, la lezione del prof. Barbero non tutti l’hanno compresa. E pensare che invece ci sono molti appassionati e studiosi in Mugello che lo farebbero altrettanto bene e magari gratis. Qualcuno a questo punto dirà “Nemo propheta in patria” o forse, penso io, c’è gente tra noi che soffre di un brutto complesso d’inferiorità rispetto a tutto quello che viene da fuori. Poveracci, non si accorgono che non sempre è oro quel che luccica e che per scrivere di storia bastano il cuore, la ricerca e i sopralluoghi sul campo, l’amore e la passione per la propria terra e il nostro passato. Tutto il resto è noia. Dopo questo piccolo sfogo personale che in apparenza sembra fuori luogo (ma chi deve capire, capirà) riprendo a raccontare le vicende legate a Pulicciano, luogo centrale nell’evoluzione storica mugellana (qui la prima parte).
Dopo l’assalto subito nel 1303 e già raccontato, il castello diventò protagonista di un altro assedio nell’agosto 1351 quando i soldati dei Visconti invasero il Mugello e tentarono di prendere la mitica fortezza allora fiorentina. Benché dotata di deboli difese, anche ai milanesi l’osso di Pulicciano andò di traverso in gola nonostante si fronteggiassero cento difensori contro circa tremila avversari. La morte violenta di un giovane capitano che, salito fino in cima alle mura fu buttato di sotto, scoraggiò gli assalitori che furono richiamati urgentemente in altre battaglie. Per fortuna. Ma di questo ho già parlato ampiamente in un mio precedente articolo e non voglio ripetermi. Voglio invece raccontare un terzo episodio datato 10 aprile 1440, quando il condottiero Niccolò Piccinino devastò il Mugello e arrivò sotto le mura della rocca di Pulicciano destinato per l’ennesima volta a subire un lungo assedio.
Dovete sapere che Piccinino, chiamato così non per cognome ma con ironico riferimento alla statura, impiegò un po’ di tempo per sistemare il campo rendendosi nel frattempo conto che le mura della rocca erano ben solide. Pare che allora sia diventato ancor più “piccinino” e si sia servito di un traditore, un nobile marradese ansioso di accaparrarsi il celebre castello e che già aveva indirizzato in loco l’invasore. Quel vile sapeva di poter contare su “infiltrati” suoi amici tra i difensori, tanto che il commissario Bartolomeo Orlandini scrisse a Firenze in quei giorni in maniera eloquente e contadina che tra gli abitanti di Pulicciano “alcuni non aravano diritto” e che uno dei comandanti, Francesco del Castello, aveva catturato un individuo sospetto. Voleva giustiziarlo ma gli fu impedito da un certo Tura di Francesco che, secondo il commissario, “non lo volle empichare”; evidentemente gli infiltrati godevano ancora di diversi appoggi e amicizie tra le mura. Fatto sta che, tamponato in qualche modo il tradimento interno, il 13 aprile vi fu una prima grande battaglia, ma la coraggiosa resistenza del castello respinse l’attacco. Non a caso il podestà di Vicchio scrisse che “..i nimici sono a campo a Pulicciano e ieri dettono una gran battaglia; fu loro risposto bene” e riuscì persino il giorno dopo a rubare agli assalitori ben trenta cavalli.
La stessa cosa successe nei giorni seguenti e allora il Piccinino cambiò strategia ordinando di scavare delle gallerie sotterranee per infiltrarsi sotto le mura: insomma, come una talpa. Trascorse alcune ore, però, gli scavatori si arresero davanti a una grande roccia che sembrava indistruttibile. Il condottiero, ormai esasperato dal fallimento e dalla strenua ed eroica difesa del castello (ammessa persino da un prigioniero nemico: “non si vide mai più bella difesa..”), era deciso a distruggere Pulicciano più per l’amor proprio ferito che per una effettiva necessità: “..benché avesse con grande ostinazione cercato di pigliare Pulicciano, difendendosi quelli di dentro francamente, non avea potuto far nulla di buono” (cfr.Scipione Ammirato).
Il 17 aprile Agnolo d’Anghiari e Francesco Duti, due difensori del castello, tentarono una coraggiosa sortita rompendo l’assedio e rubando ancora ad un certo Astorre da Faenza, che stazionava a nord sulle montagne, cinquanta cavalli e numerose armi, indispensabili per le difese del presidio. Per farla breve, dirò che il Piccinino perse risorse e giorni nell’inutile assedio di Pulicciano; pensate che a un certo punto il condottiero cercò anche di sollevare il popolo alla ribellione ma anche questo tentativo fallì e lui per ripicca decise di devastare la campagna circostante. Era davvero un brav’uomo, piccinino ma bravo.
Finalmente il giorno 18 se ne andò, anche perché in una riunione serale i luogotenenti evidenziarono la stanchezza dei soldati e l’esaurimento dei viveri. Si può ipotizzare che tra le ragioni della rinuncia all’assedio vi fu pure la morte a Roma pochi giorni prima del principale mentore del Piccinino, il cardinale Giovanni Vitelleschi, nonché l’avanzata di truppe fiorentine in Mugello. Secondo alcuni storici “parve a taluni che Niccolò, col perder tempo intorno a que’ castellucci (ndr:Pulicciano) si lasciasse sfuggir l’occasione di sorprendere la città” e che alla fine dirottò verso Dicomano recandosi poi in Casentino “ … non veggendo il Piccinino cos’alcuna d’importanza poter ottenere in Mugello”. Cose d’alcuna importanza? Bella scusa, sfido io che se n’andò da Pulicciano, qui aveva appena raccattato du’ sonore labbrate che ancora gli ronzavano gli orecchi!
Fabrizio Scheggi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 3 novembre 2024
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